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merio (1), opinano che l'Albania chiamossi così dalle alte montagne, che i Galli antichi colà giunti dissero alpi nel loro linguaggio. Questa seconda opinione è speciosa, benchè sostenuta dalla rispondenza alla natura di quella terra. Frattanto Tolomeo c'indica nella Macedonia un monte Albanus, de' popoli Albani, una città Albanopolis, ed ivi stesso Strabone ricorda un monte Albia o Albion. Perchè non riposar dunque su questa traccia? Traccia solitaria sì, ma splendidamente parlante, questa per noi è come la stella polare ai naviganti nell' oceano; ed io non dubito di creder quel nome appunto il principio generatore della parola Albania. Io veggo che la genesi di una tale parola non rimonta oltre l'epoca della invasione romana, e veggo nel Lazio un'Alba, città sacra, vetusto retaggio della discendenza di Enca. Questi due fatti avvicinati e riguardati insicme, inducono a ragionare così I Romani venuti nella Macedonia e nell' Epiro, alla vista di una città Alba o Albanopolis, han dovuto ricordarsi naturalmente dell'Alba di loro patria. Perciò tratti a distinguerla da quella, han detto questa Alba-nia, cioè Alba-nuova (via, nuova ), come appunto dissero Roma-nia, Roma-nuova la terra sede del nuovo Impero. E poichè tale denominazione di Bizanzio si distese col tempo ad indicar la provincia che le stava immediatamente soggetta, come ognora si è naturale che anche la voce Albania si fosse a gradi distesa intorno intorno, abbracciando tutta quella sfera di terra che oggi porta appunto quel nome.

osserva,

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Per Albanesi adunque non debbonsi intendere che gli abitatori della Macedonia dell' Epiro, così

(1) Graccia autiqua, Lib. 1. Cap. 14.

non

denominati, poichè del nuovo nome fu rivestito il loro paese. Onde si dissero anche Albanitae, che Arvanitae o Arvanesc, corruzione di quella parola. Anna Comneno fu la prima che chiamò l'Albania to Agßavoy (1). Dufresne dice, aver letto in un poema manoscritto sopra la presa di Costantinopoli, quel paese denominato Arbanitia (2). D'altronde, secondo Malte-Brun, può dedursi anche dalla voce illirico-schiavone arvaniè, che vuol dire guerra combattimento, come se volessero appellar que' popoli guerrieri, poichè infatti gli Albanesi furon distinti sempre nel valore e nelle armi. I Turchi li dicono Arnauti, ed essi fra loro chiamansi Skipetari. Questo secondo nome ci menà alla voce oxipos, che Esichio spiega pos spada, maneggiatori di spada, OVvero da aunro's fulmine, fulminatori perchè abitanti del paese del fulmine (i Cerauni ).

(1) Anna Comn. Alex. pag. 98, 132, ec. (2) Dufresne, voce Arvanon.

CAPITOLO II.

Antichità della nazione albanese. Se è da confondersi o distinguersi dalla nazion greca.

T

Nello indagare l'antichità del popolo albanese lungi di vagheggiare i sogni onde i panegiristi delle nazioni han per costume di contraffare le sparse reliquie tradizionali delle origini e de' fatti, io non dirò che quanto ci avviene leggere ne' storici monumenti ricevuti da una critica foudata e sincera. Passò la stagione che si credeva alle genealogie celesti, ai zodiaci egiziani, ai millenari iudiani e caldei. In Erodoto parlano omai le nove Muse, e in Livio l'eloquenza epica esageratrice. Il tempo è lo scopritore misterioso e inesorabile delle verità.

Nonpertanto trascorrer franchi oltre l'epoca troiana, e pretendere di sollevare il lembo mitico e favoloso ai secoli che la precessero, si sforzino gli studi e lo ingegno dell'uomo fino al tormento, ella è una follia non dissomiglievole dal progresso indefinito o dalla banca umanitaria. Questa età nostra, perchè avvezza a trascendere coi voli oltre-alpini, si avventura a qualsiasi anche impossibile impresa: ma se non si piacesse di riposare su le lusinghe abbaglianti delle congetture, essa vedrebbe a chiari occhi come l'opprima lo spirito di sistema e la potenza narcotica delle passioni. Come in fatti si può star sicuri nello investigar le origini delle favole e da esse rilevare la storia, se le favole non sono che de'mosaici raccapezzati, al cui lavorio posero mano cento luoghi, cento popoli, cento tempi diversi, una infinità di combinazioni, di pensieri discordanti, di artefatti viluppi? L'ingegno forte e le vaste dottrine del Creuzer potranno divertirci e dare un riposo alla nostra curiosità inquietą, ma non potranno

farci sicuri e certi giammai. Quando Varrone disse che, i tempi certi incominciano dalla guerra Iliaca, quella mente somma nelle dottrine istoriche e filologiche, si avvide della impossibilità di persino tentare lo schiarimento de' tempi anteriori, e non isbagliò forse nell'ardito vaticinio. Corsero venti se→ coli, ed altri ed altri correranno, e quel vaticinio non cadrà.

Lasciam da parte quindi le investigazioni inutili ei sogai degli archeologi entusiasti. Attacchiamoci invece a un fatto che, oscuro per le origini, è certo però e conosciutissimo per la esistenza. Intendo parlare del fatto dei Pelasgi. Questo popolo che si mostra come l'enigma dell'antichità, ha richiamato l'attenzione più seria fra gli scrittori del secolo, ed è come la chiave della storia anti-iliaca e come il punto del problema più rilevante di quei tempi. Tutti lo riconoscono ne' monumenti, tutti lo vedono nelle emigrazioni, ma non tutti concorrono poi a stabilirne l'origine, i! punto di partenza, il corso che seguirono nella vita raminga. Io non amo le lunghe digressioni, perocchè non interesserebbero sostanzialmente lo scopo del libro. Premetto solo poche considerazioni, le quali gli arrideranno forse.

Dico adunque. È riconosciuto universalmente che i Pelasgi furono il popolo più antico che si vegga risaltare nella storia gentile posdiluviana. Noi li vediamo apparire sul mondo greco verso il 2000 av. G. C. (1), cioè a dire presso a poco ne' tempi di Abramo. È chiarissimo ancora che sieno discesi dal

(1) V. Clavier, Hist. des premiers temps de la Grèce, v. I. Larcher, Cronolog. di Erodoto T. VII. Petit.-Radel, Tav. comparativa dei sincronismi dell' ist. de' tempi eroici della GreciaMarsh. Horae Pelasgicae. C. Balbo, Med. Stor.

l'oriente e abbian vagato di luogo in luogo, come avessero l'alta missione di popolare la terra. Non v' ha dubbio in ultimo ch'essi furono tra i gentili i soli conservatori delle credenze ortodosse. In vista di questo quadro di documenti e ragioni, io son tratto a riflettere quanto siegue. Storie di quei tempi antichissimi ne mancano, e la sola che vive e soddisfa è la Mosaica. Stando a questa, bisogna accettare quanto essa racconta, e creder quindi che le origini dei popoli sieno derivate tutte dalla terra che si estende fra il Tigri e l'Eufrate, la qual cosa confermano eziandio le tradizioni dell' Europa e quelle dell' Asia Orientale (1). È certo inoltre che le credenze si mantennero alquanto più pure nei popoli che, nella dispersione de'tre rami noachidi, stanziaronsi lungo le due valli del Tigri e dell'Eufrate, quali furono gli Assiri della discendenza di Sem. Si ha dalla Bibbia ancora che, le genti semitiche di Aram s'inoltrarono ad abitare verso il Ponto e l'Asia minore (2); ed è fuor di dubbio che l'Asia minore fu il primo stanziamento dei Pelasgi e il luogo donde mossero ad inondar l'occidente. Dedurremo quindi in termini generali che, i Pelasgi non furono altri che i discendenti noachidi, i quali cresciuti innumerabilmente nel primo luogo di loro stanza, si diffusero a colonizzare nelle contrade che ritrovarono quasi disabitate. Passarono perciò in Grecia e regioni vicine, e quindi si diramarono per l'Italia.

Chiarito ciò, la quistione sarebbe, fissare il corso di quella famosa emigrazione. Una gran parte di scrittori capitanati dal Clavier sostengono essere ap

(1) Balbo, Meditaz. Storiche, Med. VI. §. 4. (2) Id. op. cit. Meditaz. VI. §. 9.

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