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fu soggiogata in trenta giorni dal Pretore Anicio, e divenne già provincia Romana. Se non che la sua condizione fu assai meno vantaggiosa di quella dei, Macedoni. Esposta ai capricci de governatori che le si mandavano da Roma, essa ricordavasi pur troppo della sua antica grandezza e certo non potea durar senza lamenti e senza fremito il giogo che le pesava sul collo. Perciò più e più volte addoppiò i suoi sforzi e sollevossi contro gli oppressori. Ma vinta sempre, la sua fortuna ognor più peggiorava; imperocchè insolentiti quei tirannetti romani per la tolleranza del Senato e per le provocazioni de' governati, accrescevano le imposizioni e sfogavano iu mille modi lo sdegno, l'orgoglio ed il capriccio,

Epiroti.

L'Epiro comprendeva anticamente la Caonia detta anche Molosside (1) sita da oriente a settentrione, la Tesprozia sul mar Jonio e l'Acarnania a mezzogiorno. Nel seno di queste provincie però vi erano 14 nazioni (2): i Caoni cioè, i Molossi, i Tesproti, gli Amfilochi, gli Atamani ( fra i quali vi erano anche gli Orici), gli Etici, i Tinfei, gli Oresti, i Parorei, gli Alitani, i Talari, i Pelagoni, gli Emilioti, i Perrebi: ma secondo Strabone, alcune di esse conviene attribuirle con più fondamento alla Macedonia, riponendo le altre sulle rive del Jonio.

Le più illustri fra tutte furono quelle de' Tesproti e de' Molossi (3). Raccontasi dagli storici che il pri mo che signoreggiò sopra di essi dopo il diluvio,

(1) Strabone distingue la Caonia dalla Molosside, ma noi crediamo che fossero state una sola regione, imperocchè la loro corografia è del tutto identica.

(2) V. Strab. L. VII. Plut. Vit. di Pirro. (3) Strab. L. VII.

si fu Faetonte, che uno era di quelli che passarono insieme con Pelasgo in Epiro; ed alcuni vogliono che ivi tra i Molossi fermati siensi ad abitare Deucalione e Pirra, dopo che fondato ebbero il tempio di Dodona (1). Sia qualunque il valore, che si crede dare a queste autorità, spogliandole della parte favolosa, egli è certo che il fatto storico riguardante i Pelasgi in Epiro e la loro antichità che si attiene alle prime trasmigrazioni dall' oriente, rimane sempre fermo e irrefragabile. In progresso di tempo Pirro Neottolemo figlio d'Achille, menandovi gente, occupò quel paese e vi lasciò una schiatta di regnanti che l'origine traevano da lui e che chiamati furon Pirridi. Distrutta Troia, accolse presso di se Eleno figlio di Priamo, e lo fe Signore della Caonia, dandogli per sposa Audromaca vedova di Ettore (2). Da qui provennero le colonie Frigie e Dardane in Epiro, e da qui l'accoglienza fatta ad Enea, allorchè di là passando muoveva a cerca delle terre latine. La dinastia de' Pirridi non corse la sorte comune, che anzi durò più di ogni altra senza essere mai molesta la o scossa, e per nove secoli sempre nella discendenza di Achille. Dopo i primi di quei Re, dice Plutarco (3), gli altri che seguirono fino a Tarrita, divenuti barbari, sì oscuri furono, che non si sa qual ne fosse nè il potere nè la vita: e narrasi che questo Tarrita fu il primo, che ornato avendo le città di costumi greci, di lettere e di leggi soavi ed umane, si fece famoso. Da Tarrita nacque Alceta, da Alceta Ariba, e da Ariba e da Troiade nacque Eacide che sposò Ftia, la figliuola del Tessalo Menone, personaggio che si rendè il

(1) V. Plut. V. di Pirro.

(2) Justin. Hist. L. 1 §. XVII. (3) V. Plutarco, Vita di Pirro.

lustre nella guerra Lamiaca e che dopo Leostene somma dignità ebbe fra' commilitoui. Ad Eacide nacquero da Ftia due figliuole, Deidamia e Traiade, ed un figliuolo appellato Pirro; quell'altro Eroe dell' antico popolo albanese che pari a Filippo ed Alessandro lasciò così chiara la fama di se negli annali della storia, e che per ben tre volte fu il tormento de' Romani; quel vincitore temuto che raccolse allori gloriosi sopra i Cartaginesi e i Macedoni; quell' aquila dell' Epiro (1) celebrato per l'aria terribile e guerriera, per la fortezza di braccio sorprendente, la scienza nell'arte militare e l'intrepidezza (2). Pirro mori nell'anno 272 avanti nostr' êra. Gli successe al trono suo figlio Alessandro II, ed a costui i figli Pirro e Tolomeo, ultimi di quella schiatta illustre.

or

I Re dell' Epiro vengon meno circa l'epoca della discesa de' Galli in Grecia (3). Da questo tempo gli Epiroti ci si mostrano alleati or de' Macedoni, degl' Illiri, or de' Romani istessi, indipendenti però sempre. Ma quando P. Emilio s'impadroni della Macedonia, perchè l'Epiro fioriva per ricchezza e potenza, Roma a trarlo sotto di se, con un senatoconsulto (an. 585) dichiaravalo preda del furibondo ed insaziabile soldato. Questa politica distruttrice ebbe il suo effetto, e l'Epiro fu domo.

Presso i Molossi quando un nuovo principe ascendeva al trono, la nazione radunavasi nelle città principali, e dopo le cerimonie prescritte dalla religione, il sovrano e i sudditi s'impegnavano con giuramento pronunziato innanzi gli Dei, l'uno di regnare secondo le leggi, gli altri di difendere l'au

Cosi veniva appellato. V. Plut. V. di Pirro.

(2) V. Plut. 1. cit.

(3) Justin. loc. cit.

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torità reale conforme a quelle (1). È ben noto che, la nazione istessa educò in Atene il suo Re Arriba, donde poi egli tornato stabili talmente le cose del governo, che in breve le lettere e le scienze non che i costumi resi civili, diedero a quei popoli su le altre nazioni dell' Epiro quell'ascendente che procuraronle le cognizioni (2).

Gli Epiroti erano d'indole oltre modo sensibile: bastava un nonnulla per farli andare in furore (3). Avevano de' giuochi, esercizio prediletto de' popoli guerrieri, e fra quelli distinguevansi i giuochi della corsa e della lotta celebrati ogni cinque anni in onore di Apolline Azio, ne' quali il premio de'vincitori era come negli Olimpici, uua corona (4). Non altrimenti che i Macedoni vestivano la clamide e tagliavano i capelli. Sono rinomati i loro belli destrieri e le cavalle celebri ne' giuochi d' Olimpia (5), i cani Molossi, e la gente bella fiera che ancor si conserva; poichè è pur troppo famosa nelle campagne d'Italia, verso il XV. secolo, la cavalleria albanese de' Stradioti (6), ricercatissimi que' cani ed ammirata quella gente anche oggi per la bellezza maschia e il sostenuto contegno.

(1) Plutarco, V. di Pirro.

(2) Barthelemy, Viag. di Anac. ec.

(3) Idem. Op. cit.

(4) Plutarco, V. di Eumene.

(5) Eliadum palmas Epirus equarum. Virg. Georg. L. 1 c. 59. (6) V. Comines, Memor. Lib. VIII. cap. 5.

CAPITOLO V.

L'Albania dai Romani a Scanderbek.

A' tempi di Giulio Cesare le tre provincie componenti l'Albania erano piene di società romane e di città illustri. Celeberrime fra tutte, e libere fino a che durò libera Roma, si ricordano Durazzo che accolse Cicerone nell'esilio, e Apollonia per gli studi di ogni maniera coltissima, educatrice di tanti nobili Romani e di Augusto (1). Le grandi questioni della repubblica ivi aveano il loro centro e si agitavano, ed ivi quindi ebbero la soluzione nelle tre grandi battaglie di Farsalia, Filippi ed Azio. Sotto gl'Imperatori per trecento anni si stettero nella condizione comune delle altre provincie, soggette al governo de' Prefetti del Pretorio. Se non che importa rilevare che, esse furono le prime ad accogliere in Europa la fede della Croce, predicata dagli Apostoli stessi, come se la Provvidenza negli arcani eterni avesse disposto che s'innestasse dapprima sul vecchio tronco pelasgico. S. Paolo partito dalla Licaonia e giunto in Troade, per una visione colà avuta (2), si decise cominciare in Macedonia la predicazione del Vangelo. E ciò ha praticato insiememente con Timoteo, Sila e Luca, i quali tutti si fermarono in Filippi, città primaria della provincia macedone. Di là passando per le città di Amfipoli ed Apollonia, giunsero a Tessalonica, altra distinta città di quella provincia, e in essi luoghi tutti raccolsero frutti abbondantissimi della loro missione. E bastino a ciò rilevare i soccorsi prestati a

(1) Velleius, Lib. II.

Atti degli Apost. c. 16 v. 9.

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