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Lo storico Gibbon (1) non crede a quanto di maraviglioso raccontasi di Scanderbek, e dice che le imprese di lui siano state magnificate dall' entusiasmo e dalla ignoranza de' suoi nazionali, i quali certo non potcano misurarne il valore; e adduce per pruova l'esser ricorso a Paolo II Papa per un'alleanza contro i furori di Maometto. Disapprova inoltre ch' egli abbia impegnata una lotta con forze immensamente superiori alle sue, non che l'atto con cui ha strappato al Segretario del Bassà l'ordinanza per la resa di Croia, e l'altro atto onde gli è riuscito liberarsi dal suo Signore.

Io non so come il Gibbon abbia in questi tratti dimentico le sue solite avvedutezze nella storia. Ei pare che voglia negar tutto, quando s'impegna a sceverare dal falso il vero, e che voglia gettare il biasimo e il disprezzo dove l'occhio del savio ritrovą necessità e virtù. I fatti di Scanderbek furono magnificati da' suoi nazionali, è vero: la fantasia di que' soldati entusiasti ha potuto crear delle cose che forse non furono ; ma è verissimo egualmente che 'Eroe di Croia con un esercito di non più che 15.000 uomini, ha resistito per tanti anni a 100.000 Maomettani nè v' ha dubbio che i Papi e i Priucipi di Ungheria e di Transilvania, i Re di Napoli, e i Veneziani domandarono il suo braccio per abbattere fatali nemici. E poi, se Marino Barlezio (2) fu piuttosto un panegerista che uno storico sincero de' fatti di Scanderbek, non son compri certamente e ingiusti gli elogi a lui prodigati dai So

1) Storia della decad. dell'Imp. T. IV. cap. 67.

(2) Questo Autore, vivente una generazione dopo Scanderbek, fu il primo che scrisse la vita di quell' Eroe. Era Sacerdote Albanese di rito greco, ed è conosciuto come scrittore di più opere, V. Rodola, Rito Greco in Italia, T. III, cap. 2.

vrani di allora, e dai Pontefici Callisto III, Pio II (1) e Paolo III (2), i quali lo salutano, antemurale del Cristianesimo, campione il più prode di Cristo, difensore instancabile della religione. Nè rileva, per dirlo un capitano avvilito e tremante, il suo ricorso a Paolo II. Per un capo di eserciti impetrar forze quando dee resistere a un nemico che lo avanza a più doppi nel numero delle truppe e ne' provvedimenti di guerra, è prudenza giusta e consigliata avvilimento non mai. E in tale situazione trovavasi appunto Scanderbek nel caso in cui lo attacca lo Storico della decadenza dell' Impero. Ma forse, riuscitagli vana la speranza del soccorso, non ritornò ne' suoi stati formidabile quale era in prima? nou ruppe anche allora le forze Ottomane?

Che poi Scanderbek non sia da commendarsi per aver intrapreso una lotta immensamente disuguale osservo che il Gibbon mal si appone. Il tentare è il principio dell' opera: opera: e poi la oppressione e il fremito dell'Albania e l'odio atroce che nutrivano contro il Musulmano le potenze vicine, lo rendean fidente di un avvenire florido e sicuro. La Grecia ultima mordeva le sue catene, e la Grecia un pugno di prodi tentò e risorse dalla polve gloriosa degli avi suoi.

Infine non è degno di taccia il modo onde si sottrasse dall'armata del Sultano per riacquistare il suo regno, e l'altro di che si è servito per farsi consegnar Croia. Il Gibbon è storico profondo e fi losofo acuto : nulladimeno non vide all' цоро, che la conquista non costituisce dritti, e che la strategia in guerra è permessa come lo è la forza. Scanderbek era stato privo del soglio paterno dalla spada

1) Apolog. ad Martinum Meyer, p. 668.
Ad Ducem Burgund. ap, Cardin. Papiens.

di Amurat; avea dritto perciò riacquistarlo, e tantoppiù, poichè il barbaro vincitore, avea rotto la fedeltà di un trattato con cui prometteva rivestir della proprietà uno de' fratelli di lui. Dietro questi fatti, io non saprei indicare quale avrebbe potuto essere il modo più opportuno e giusto per ripetere il proprio regno in faccia a un conquistatore, per cui taceano e leggi e giuramento, in faccia a un assassino de' suoi fratelli. Aggiungi inoltre, che Scanderbek trovavasi in palpiti continui per la sua vita, che invitavalo la Croce maltrattata dai novelli stendardi della Luna; che ferveagli potentemente l'amor d'Albania, il cui stato era più che morte durissimo.

CAPITOLO VII.

Stato dell' Albania dopo Scanderbek. Emigrazioni degli Albanesi.

Morto Scanderbek, benchè privi di questa bussola maravigliosa del loro braccio e lacerati dal dolore, gli Albanesi continuarono per più tempo a ribattere le forze Ottomane: e si sa, che Maometto istesso, il quale erasi avanzato personalmente a dirigere l'assedio di Croia dopo gl' inutili sforzi dei suoi capitani, fu costretto a levar l'assedio e vergognosamente ritirarsi. Croia però finalmente cadde, ma dopo undici anni di eroica resistenza, poiche il Sangiacco Matet ne riprese e continuò fino alla disperazione l'assedio, ed ebbe fatto prigionieri un Francesco Contadino e un Lecca Ducagino capitani distinti e i quali eransi ivi conferiti per sostenere il valore degli assediati.

Questa fu la ventura estrema dell'Albania, tura che decise la sua fatale rovina. Il vincitore da lungo tempo ne sopirava la conquista, e il furor. della vendetta raccolto nel cuore aveva aggiunto l'im-' peto del delirio per non potersi frenare; si che le atrocità del barbaro Musulmano avanzarono il più nefando orrore.

L'Albania fatta provincia turca, seguì nel resto de' suoi tempi la politica e le vicende di quel governo. Non però i paesi delle montagne, i quali rimasti invincibili, proseguirono la loro vita indipendente, protetti dalle barriere dei monti e dal coraggio alimentato dai loro fieri costumi. Frattanto i Gueghi popoli dell'alta Albania aveano abbracciato la religione maomettana, e i Mirditi veniauo a ciò costretti per non soggiacere alla morte. Quando

sull'uomo comanda la forza, i fatti vogliono rignardarsi con altra norma di quel che si suole nell' ordine comune delle cose. Perciò non maraviglino coloro che veggono in questo fatto una incostanza da parte degli Albanesi. La fede maomettana poggiata su lo spavento delle armi, anzichè su la parola, infieriva da per tutto come nembo infernale che desòla ed estermina le genti: e quindi solo una forza irresistibile ha potuto infettare quei popoli del maligno contagio. Ma oh! se la storia avesse registrato più chiaramente quei tempi! L'Albania eleverebbe anch'essa un grido di vittoria al vessillo della Croce, mostrando il sangue de' suoi martiri caduti in furori. Nulladimeno tra gli avanzi de' fortunati dura tuttavia e durerà, l'attaccamento, la fedeltà, la sommissione alla legge santa del Vaticano, beuchè cinti da nemici frementi e tuttogiorno tentati ed oppressi.

È questa l'epoca delle rilevanti emigrazioni albanesi. È questo il tempo della dispersione de' figli d'Albania. Tolsero contrade peregrine per fuggire i disastri della patria, ma della patria però non si scordaron giammai. Nutrirono sempre la speranza di risalutarla e chiuder gli occhi alla vita accanto l'ossa de' loro padri : confidarono sempre in quella mano incomprensibile che regola sapientemente il giro degli eventi umani. Ma se quattro secoli di lontananza han reso vani i loro desideri generosi, è bello veder questi popoli ravvicinati ne' pensieri e negli affetti.

Quando gli Albanesi videro il bisogno di abbandonare la patria, mossero per contrade diverse. Venezia ne fu piena, accolse molti l'Italia, e non pochi la Spagna ed altre parti d' Europa. Il Regno delle Sicilie però fu quello che n' ebbe la più gran parte, e poichè in esso vivono ancora i loro figli,

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