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col proprio sangue, Melito sola era stata acconsentita dall'avaro fratello. In breve dopo alquanti diverbii s'inacerbi la cosa di maniera, che Ruggiero, disdetta fra 40 di l'amicizia a Guiscardo, si ritrasse a Melito, Guiscardo (che per essere il più forte si credeva l'offeso) accorse ad assediarvelo. E già, circondata la rocca di bastite, gli appariva vicinissimo il termine d'impadronirsene per fame; allorchè inaspettato nunzio gli reca Ruggiero, sfuggito non si sa come da Melito con cento compagni, essere entrato in Gerace, averla rubellata, e tenerla in sua mano. - A questa nuova Guiscardo scioglie l'assedio, copresi di mentite spoglie, s'introduce furtivamente in Gerace, e mediante l'opera d'un Basilio, ospite suo e principal cittadino, muove occulto trattato per ridurla nella pristina soggezione. Ma sul più bello le ciancie d'un servo scopersero ogni cosa: Basilio e la moglie a furor di popolo vennero uccisi ; il duca stesso fu preso e stretto in catene; nè avrebbe cansato ugual supplizio, se Ruggiero, dando a divedere di volerne pigliare ei medesimo alto castigo, non lo avesse strappato agli artigli della furibonda moltitudine. Narrano le storie che i due fratelli, al primo mirarsi in tanto cambiamento di fortuna, ristettero come sospesi: poi piangendo e gridando si precipitarono nelle braceia l'uno dell'altro. Da quell' istante ogni dissapore svani (1).

Altri pericoli e non men fieri travagli attendevano Ruggiero nella Sicilia. Era stata sempre massima dei capi. Normanni di cominciare le loro imprese col raf

(1) G. Malat. II. 23-29.

forzarsi in un luogo; quivi aspettar poi l'occasione o procacciarsela per allargarsi allo intorno. Ruggiero svernava quell'anno in Traina, città abitata quasi tutta da Greci, col disegno di stender di colà il suo braccio nel cuore dell'isola; quand'ecco i cittadini, non so se più stanchi della insolenza soldatesca, o vogliosi di libertà, levare tumulto, chiamare dentro i Mori, e con tant'impeto erompere sulla guarnigione, da darle appena tempo di ridursi in un piccolo quartiere e trincerarvisi. Trecento erano i Normanni, e tutto il verno si difesero da cinquemila Saraceni e dalla cittadinanza ribelle. Quali molestie di freddo e fame vi tollerassero, non è a dire. Continuo era di e notte il dare all'arme, continuo l'assaltare e il respingere; pur le membra de' forti campioni, per quanto esinanite dalla fame, non davano segno di stancarsi. In tanta miseria fu visto talora Ruggiero colla giovinetta sua sposa cucinar il pranzo alla brigata intesa a custodire i serragli, e, non avendo tra marito e moglie che una sola veste, or l'uno or l'altra prestarsela per uscir di casa. Un di i nemici, uccisogli sotto il destriero, già s'erano precipitati ad afferrarlo; quando egli, rizzatosi in furia e menando a tondo la spada, s'apre la via di mezzo alla folla, e colla sella in ispalla sano e salvo si riconduce a'suoi (1).

Alla fine un'audace sortita di nottetempo sciolse i A. 1074 Normanni dal grave travaglio; e tosto gli tennero dietro sempre maggiori e quasi incredibili vittorie. Per conseguenza delle quali Roberto Guiscardo investi il fratello della Sicilia, e ne ricevette appoggio, onde

(1) G. Malat. I. 29. 30.

sottomettere le signorie indipendenti del regno di Napoli. Morto poi Guiscardo in Albania, quando già A. 1035 si preparava ad espugnare Costantinopoli e a cingersi, dicevasi, la corona d'Italia, in tre dominazioni restarono divise le provincie conquistate da'Normanni; la Sicilia a Ruggiero, la Puglia alla stirpe di Guiscardo, Aversa a quella di Rainolfo Drengot. Indi a 42 anni un Ruggiero, nato di quel primo famoso, riuniva sotto di sè la Sicilia, la Puglia e le Calabrie; e, soggiogata Napoli ed espulso da Capua e Aversa chi vi signoreggiava, distendeva con regal titolo l'imperio su tutte le terre comprese dipoi sotto il nome delle Due Sicilie. A questa altezza molta bravura, somina fortuna, lecite ed illecite arti d'ingegno condussero la prole di quel buon Tancredi d'Altavilla, che teneva feudo di dieci militi da Riccardo duca di Normandia.

VIII.

Ungheri, Saraceni, Normanni non furono i soli venturieri, che militassero per mercede in Italia prima dell'instaurazione de'Comuni. La piaga de'mercenarii era realmente ingenita a qualsiasi reggimento feudale. Infatti, quando i vassalli ribellavansi in massa, quali altre forze se non se le stipendiarie, poteva il principe adoperare a soggettarli? Ed essendo il servigio feudale limitato per tempi e luoghi, quali altre armi, oltre quelle, potean vegliare nella stagione di pace alla persona di lui, alla esecuzione degli ordini più delicati, alla guardia de luoghi più cari, infine all'adempimento d'imprese non contemplate ne' patti d'infeudazione? Nè da questa necessità furono esenti i principi di stirpe normanna: ma

allorchè le grandi venture e gli splendidi guadagni della conquista furono cessati, e i discendenti di Guiscardo e di Ruggiero presero a regnare sopra sudditi, lasciando il primeggiare tra compagni, apparvero nel regno le armi mercenarie; e qual re cominciò a ricettare a soldo venturieri nostrali e francesi, quale a mantener di continuo co'denari suoi proprii le squadre armate di questo o quel barone (1). Gli effetti di siffatto consiglio furono quali quest'istoria nostra per lunga serie di esempi mostrerà: abbiezione da una parte, insolenza dall'altra: or gli stipendiarii unirsi A. 1160 a'sudditi per imprigionare il re: ora innalzare con sovversione dello Stato uomo indegnissimo a massimo potere (2): ora star devoti all' obbedienza d'un euA. 1166 nuco, e quest'eunuco aver la somma delle cose; ora far massa con altri venturieri accorsi di Spagna al rumor de' tumulti (3).

Quando gli anatemi di Gregorio VII ebbero concitato l'Alemagna contro Enrico IV, con nessun altro nerbo che co'venturieri raccolti al suono dell'oro bisantino trovò egli modo non solo di difendersi, ma porre l'assedio alla mole d'Adriano (4). Un secolo

(1) Abb. Telesin. Hist. II. 70. — Gaufr. Malat. II. 20. 34, e V. il §. 25 della nostra mem. su' mercenarii ( Atti dell'Accademia di Torino, serie II. t. II).

(2) Romuald. Salernit. p. 201 (R. I. S. t. VII).- Hugon. Falcand. Hist. p. 270 C (ibid.).

(3) Hugon Falcand. p. 307. 312. 328 (R. I. S. t. VII ). Verso questi tempi cominciansi a chiamar Conestabili i capi degli stipendiarii.

Milites stipendiarii cum Comestabulo suo .... p. 307 D.

Hug. Falc. (4) Petr. Diac. Chr. Cassin. III. 70 (R. I. S. t. IV ). – Ann. Comnen. L. III.

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dipoi ne rinnovava gli esempi Federico Barbarossa, allorchè, consunte già le forze e la pazienza de'vassalli, confidava a mercenarii la guerra contro i Comuni italiani. Altri di costoro assoldò di qua dalle Alpi, altri menò seco da fuori. E fu tutta italiana quella schiera, detta per istrazio de'figliuoli d'Arnaldo A.119 (Arnaldo era stato arso qualche anno avanti per eretico, e il mondo lo giudicava dal fine toccatogli), la quale pel sicuro maneggiar delle fionde generò tra' difensori di Crema superstiziosa esagerazione, che ogni loro ferita fosse mortale (1).

Del resto sia nella Germania sia nella Francia la milizia a piè, sdegnata da'vassalli, era esercitata quasi unicamente da'venturieri. Chiamavansi coterelli, brabanzoni, ruttarii e ribaldi; alla qual ultima voce, spogliata che fu del significato militare, rimase perciò sempre quello d'uomo di perduto costume. Il servigio che que❜principi ne ricavavano, era molto grande; lo sperpero, che ne derivava su' popoli, infinito. S'avvisarono di porvi rimedio Luigi vi re di Francia e Federico 1 imperatore di Germania, stipulando a Tulle A. 1170 speciale trattato a sterminio dell' infame semenza. Proibiva il trattato a'due re, ed a tutti i baroni loro sottoposti, di assoldare o favorire o ricettare qualsiasi venturiero che non pigliasse presso loro ferma stanza o servigio: chi de' baroni contravvenisse, avrebbe bando dallo Stato, guerra continua e divieto dal dir sue ragioni, sinchè non licenziasse le sue genti, e non compensasse i mali da esse arrecati (2). Tali furono le parole: quali fatti ne conseguitassero ve(1) Othon. Moren. p. 1031 (R. I. S. t. VI).

(2) Pertz, Monum, germ. hist. p. 142 (legum, t. II),

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