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di quella: pure il definire quanto sia alta, come giri, come poggi, a lui non è dato, se non se per parole più o meno generali. Così nelle grandi ricerche storiche quasi un segreto istinto ne avverte, quella tal verità celarsi in molti elementi; ciascuno di essi di per sè non esser possente a darne verun preciso risultato; ma nel loro concorso dovere star riposta la cagione occulta di quel mutamento: altra cagione od occasione o manifestazione apparirne poi materiale (come sarebbe legge, trattato, battaglia o rivolta), e il fatto pigliar tempo da essa, quando da secoli le sue radici eran gittate.

Ecco quelle cose che possono accennare a futuro stabilimento di feudi presso i Longobardi.

1° L'uso antico germanico d'intrattenersi attorno certa comitiva di compagni e dipendenti sotto nome di gasindi, è serbato da' più potenti, eziandio dopo la conquista. Il re, i duchi, i fedeli del re continuano ad averne: chiamasi gasindio fin la servitù del liberto verso il signor suo, quando questi è duca (1): sonvi de'gasindi maggiori, sonvene de'minori: l'una e l'altra classe ha speciali privilegi di foro la composizione del menomo gasindo regio avanza di 50 soldi quella d'un semplice esercitale. A cotesti gasindi, compagni d'ogni suo pericolo, ministri d'ogni suo volere, vengon dal signore impartiti più specialmente gli uffici che stanno in sua balia. Il re sceglie tra essi i duchi, i messi, il marescalco, lo scudiero, il maggiordomo della propria curia: i duchi più potenti consegnan loro con titolo di conte

(1) Rothar. 225 (ed. Vesmio).

il governo di alcuna parte della propria giurisdizione. Quindi il conte, come uomo al tutto dipendente dal duca, non appare nelle leggi; presso le quali il duca solo è garante di tutta l'amministrazione della provincia.

2o Lo stipendio de'pubblici ufficiali non è denaro, ma godimento di beni. Vi si aggiungono i dritti delle multe. Però ad ogni ufficio va assegnata certa tenuta. Chiamasi poi onore sia la carica, sia l'usufrutto proveniente da essa. Ma questi onori non sono a vita, lo stesso duca potendo anzi venir mutato dall'una all'altra provincia. Questi onori non son nemmanco trasmessibili a'figli, la volontà del re distribuendoli a piacere. Che se l'impotenza o bontà de'principi permette talora e l'una e l'altra cosa, mille fatti contrarii stan pronti a provare che è opra di accidenti, non istituto. D'altra parte che l'onore sia cosa diversa da beneficio o feudo riman chiaro dalle leggi de'Carolingi; le quali ne lo sceverano, allorchè esistevano gli uffici pubblici, esistevano i beneficii; ma quelli non si essendo ancora infeudati, onore e beneficio suonavano diversamente (1). Col tempo si confusero insieme.

3o Cresce dopo la conquista l'uso della cavalleria negli eserciti de' Longobardi. Presso i Germani antichi

(1) El qui hoc non fecerint, beneficium et honorem perdant: similiter et si bassi nostri hoc non adimpleverint, beneficium et honorem perdant.... Caroli Magn. leg. int. langob. A. 779. Ut ubicumque Missi nostri aut Episcopum aut Comitem aut Abbatem vel alium quemlibet quocumque honore præditum invenerint, qui justitiam facere noluerit vel prohibuerit, de ipsius rebus vivant, quamdiu justitiam facere debent. Ludov. Aug. leg. 52.

era nerbo della guerra la fanteria, lesta nel maneggiare le armi, coraggiosa negli affronti, spedita nel camminare (1). Ned altrimenti che sovr' essa pare che i Longobardi appoggiassero le loro imprese, allorchè con immenso traino di robe e di persone andarono qua e là cercando ventura prima di pigliar sede in Pannonia. Ma di costi arrecarono in Italia fiorite greggie di cavalle: l'abbondanza degli ottimi pascoli naturalmente propagolle; altre ed altre sen fecero venire d'oltremonti (2). In breve la necessità di coltivare con poche braccia gli enormi spazii di terreno diviso divulgò l'uso de' cavalli, e bentosto quest'uso passò dall'agricoltura alla milizia. Ogni libero che possedesse un cavallo, fu convocato a militare con esso. Questa riforma moltiplicò pèr così dire le forze dello Stato ; che grandi distanze poteronsi valieare in picciol tempo; e ad ogni pericolo fu presto un esercito. Laonde la milizia a piè non fu più fornita che da'poveri e abbietti; e alcune spedizioni cominciaronsi a chiamar cavalcate, e cavalcare l'andare in guerra (3).

A questa mutazione prestarono non lieve favore le leggi; e chi crederebbe che non solo fu vietato sotto gravi multe il mozzar i crini o la coda, l'ascendere, il torre il capestro di capo a cavallo altrui, ma di(1) Tacit. Germ. §. 6. 30.

(2) P. Diacon. II. 9. IV. 11.

(3) Statuimus ut unusquisque Arimannus, quando cum judice suo caballicaverit, ut unusquisque per semetipsum debeat portare scutum et lanceam et sic post illum caballicet... Hoc autem ideo volumus ut fieri debeat, quia incertus est homo quid ei superveniat aut qualem mandatum suscipiat de nos aut de terra istius, ubi oportet fieri caballicago. Rachis. leg. A. 746. c. 11 (ed. Vesmio).

chiarata ugual pena che all'omicida per chi ricevesse in pegno senza il volere del re qualsiasi greggia di cavalle? (1)

III.

Questi ordini, questo regno longobardico, durati 206 anni, furon crollati da Pipino nel 734, abbattuti da Carlomagno nel 773. Per costui opra la potestà dei duchi, ormai salita a indipendenza, anzi montata a tale da voler emulare il regio fasto, fu atterrata: i ducati venner divisi in contee, le contee consegnate a' più fedeli di qualunque schiatta, Romani, Franchi o Longobardi: all'antico sculdascio fu sostituito nell'amministrazione un centenario o vicario, ai sacramentali gli scabini con variazione anzi di nome che di sostanza. Quindinnanzi messi regii, laici ed ecclesiastici perlustrarono le provincie, vegliando la giustizia del re e della Chiesa; il conte del palazzo defini le liti appellate al re; il re solo quelle de maggiori officiali. Infine, lasciando intatto a' varii popoli del vasto impero l'uso delle private leggi e consuetudini, Carlomagno dichiarò comune a tutti l'osservanza delle sue proprie. Eran fra queste le leggi militari; epperò l'obbligazione della milizia gli fu di efficace strumento a ravvicinare tra loro gli sparti elementi dello Stato (2). Sperava, nè a torto, che i sudditi Franchi, Longobardi e Romani, combattendo accanto gli uni agli altri, sotto ugual bandiera e capo e disciplina, nella comunanza de' pericoli e travagli si sarebbero col tempo rifusi insieme così,

(1) Roth. 253. 302. 343. 345 (ed. Murat.).
(2) Car. Magni capit. A. 806. c. 46.

da cancellare ogni orma d'antichi pregiudizii e ingiurie.

I re seguenti Carolingi molte parti aggiunsero, molte variarono agli ordinamenti militari di Carlomagno, altre di esse indirizzando alla Francia, altre a tutta la monarchia, altre particolarmente all'Italia. Le prime saran di lume e compimento a queste: di tutte ecco le più importanti al nostro assunto.

Ogni suddito, tranne per naturale infamia servi e Giudei, dovea servire in guerra (1). Vel chiamava il bando regio od eribanno: vel conduceva, se vassallo, il proprio signore; se uomo della Chiesa, l'avvocato; se indipendente, il centenario del distretto. Il conte riuniva questi varii elementi sotto il suo freno, li guidava al campo, e ve li reggeva con potere eziandio di giudice. I minori uomini ręcavano all'esercito, oltre la spada e mezza spada, solite a portarsi in ogni tempo, lancia, scudo, turcasso con 12 saette, arco con due corde, e da vivere per alcuni giorni dopo passato i confini. Chi godea beneficio o possedea tenuta almeno di 12 mansi o poderi, aggiungeva a quelle armi elmo e corazza (2). Gli impotenti a fornir tutta la spesa dell'esercito, s'univano a grado del conte in due e più per compensarla a quel di loro che partisse. I poveri affatto tenevansi in riserbo a guardia del paese (5).

(1) Car. M. leg. int. langob. c. 100.

(2) Vesme, De'tributi nelle Gallie, ms. c. III. art. 3. §. 222227. Quest'opera già premiata dal R. Istituto di Francia, ci somministra per quanto riguarda l' Eribanno un complesso di notizie preziose ed esattissime.

(3) Loth. leg. int. langob. c. 71. et additam. c. 1 (R. I. S. t. I. part. II).

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