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Quanto alle vittovaglie, si divisò a ciascuna pieve il numero delle staia di grano, che doveva fornire; se ne ricercò promessa da'rettori; e s'imprestarono denari a'vetturali incaricati del trasporto. Oltre a ciò si scrissero lettere d'avviso a'podestà delle terre, per le quali era il cammino dell'esercito « Sappiate (scriveva il podestà di Firenze a que' di Colle, Poggibonzi e S. Donato in Poggio), sappiate che la mossa del glorioso nostro esercito s'approssima, e occorre che non difettino i viveri per tanta moltitudine. Imperò pel tenore delle presenti vi mandiamo, che sollecitamente e lodevolmente studiate a procacciarvi il maggior numero di caldaie, e farina e annona abbondante al possibile, e d'ogni specie vittovaglie, per la difesa della vostra terra e per l'offesa de'Sanesi ed altri nemici del Comune di Firenze (1) ».

VI.

1260

Compiti questi apparecchi, verso la fine dell'aprile 1260, i signori del contado raccomandati e i cavalieri Aprile cittadini trassero in gran pompa il carroccio fuor dell'Opera di S. Giovanni, e avendolo condotto nella piazza di mercato nuovo, quivi il posarono su certa pietra incavata per ciò a tondo in forma di termine. Ne assunsero allora la cura i superstiti ei militi e i fanti designati a guardarlo. Era la gran macchina su quattro ruote, tutta dipinta a vermiglio; come pur vermiglie mostravansi le due grandi antenne, dalle quali sventolava l'ampio stendardo del Comune, dimezzato

(1) V. Nota I. B.

1260

bianco e vermiglio. Tosto sotto al carroccio vernero aggiogati i due grandi buoi, che a tale effetto educavansi dall'ospedale de' Pinti; e chi li guidava andava franco da ogni sorta d'imposte. Dietro al carroccio, sopra un altro gran carro, si avanzò la martinella, già tolta d'in su l'arco di porta S. Maria.

A questo spettacolo tutta Firenze era in moto, tutta la soldatesca in arme; e dovunque un brillar d'armature, un dimenar di pennacchi, un cozzar d'alte grida, un suonare di campane a gloria, uno strepitare ineffabile di trombe e di timballi. Giunta che fu la processione fuor delle mura al luogo del general convegno, dove s'erano piantate le bandiere e i gonfaloni, vi fermò i passi, e lo strepito cessò. Restarono in Firenze tre insegne di balestrieri, ed altrettante di arcieri e marraiuoli; poi donne, fanciulli e vegliardi a spiare ogni rumore, ogni motto, ogni cenno, e proseguire coll'ansia della speranza e della tema la marcia de'cari congiunti.

Trovansi dispensati dall'esercito il custode de'Lioni, tanti mugnai quante macine sull'Arno, un cittadino per gran vecchiaia e malattia, certo Busso con tutta la sua famiglia, acciocchè rimanesse a difesa della propria villa molto atta a rifugio e custodia: e un sarto ne fu scusato per alquanti dì, finchè non avesse condotto a termine le coperte de'destrieri. Certo sellaio impetrò poscia altresì licenza di tornare in città, affine di pigliarvi borra in servigio del campo.

Al terzo alloggiamento si posarono alla villa di magg. Urmiano nel contado Sanese, guidati continuamente nel cammino dai tocchi della martinella. Quivi pensarono di rinfrescare e compiere le leggi e gli ordini

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militari emanati due mesi innanzi nel general parlamento tenuto nella chiesa di s. Reparata.

«Che il padiglione del Comune preceda ogni altro nella marcia, e prima d'ogni altro venga spiegato. Oltre ad una grave multa, abbrucisi al contravventore la sua tenda o trabacca.

Che niun gonfaloniere entri nel campo prima della bandiera del suo sesto, nè veruna privata persona prima del suo gonfalone.

Che le tende e trabacche d'ogni sesto si dispongano bensì tutte in un corpo; ma con tale ordine, che gli uomini e le bestie vi trovino agevol passo

tramezzo.

« Che dietro a'balestrieri mareino le some de'palvesi, poi quelle delle balestre e de' torni, alfine il saettume e le tende del Comune. Ad ogni mutare di campo i gonfalonieri de'palvesai camminino in coda a' palvesi, per vegliare che non vadano perduti: e così i gonfalonieri de'balestrieri e arcatori.

« Il resto della salmeria pigli una strada diversa da quella dell' esercito; però si avverta che per ogni bestia da soma non vi vada che un uomo solo e senz'armi. Chi fosse oso a portarne o addosso di sè, oppure sulla sua bestia, perda ogni cosa: e ancora venga punito ad arbitrio.

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Chiunque, sia milite, sia fante, pavesaio, arciere, balestriere, guastatore, marraiuolo, spaccalegne, picconaio o segatore, segua sua insegna e suoi capi; nè sen'allontani senza licenza, nè prima che sieno stati posti gli alloggiamenti: gli arcatori e i balestrieri procedano sempre colle armi tese.

« A chi escisse dal campo o dalla schiera per far

romore, tumulto od altra stranezza, vengano abbruciate le armi, e, nel caso che fosse milite, anche il cavallo, oltre le pene ad arbitrio del podestà.

« Le parole ingiuriose e le vie di fatto si puniscano nell' avere e nella persona ad arbitrio del podestà » (1).

D

Promulgò questi statuti in pubblico congresso, tenuto sotto il padiglione del Comune, il podestà assistito da alquanti anziani e da'12 capitani dell'esercito. Fra costoro trovavasi quel Tegghiaio degli Aldobrandi mentovato dal divino poeta (2), e quel Cece Gherardini, di cui sarà parola più sotto.

Il giorno seguente, prima di stendare dal quarto 7 magg. alloggiamento della villa di Vernago, stabilirono come a battaglia l'ordine della marcia:

« Precedessero per antiguardo gli arcieri e i balestrieri della città e del contado: tenesse dietro ad essi in una schiera la cavalleria di tre sesti della città. Venisse dopo il popolo de'medesimi sesti tutto in un corpo, poi la cavalleria, poi il popolo de'sesti rimanenti. La cavalleria e per ultimo i fanti de'confederati formassero il retroguardo» (5).

Così ordinati, s'innoltrarono; e dopo aver preso nel cammino i castelli di Vico, di Mezzana e di Casciole, fermarono l'oste incontro a Siena. Presso all'antiporto di s. Petronilla sorgeva un poggetto. Quivi edificarono una torre rilevata sopra i borghi e la

(1) Nota I. C. D.

(2) L'altro che appresso a me l'arena trita

È Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce

Nel mondo su dovrebbe esser gradita. Inf. XVI.

(3) Nota I. E.

città, e sulla torre collocarono la martinella che suonasse alla guardia del campo. Disegno degli assalitori era di terminare la lite con un gran fatto d'arme; disegno de'fuorusciti Ghibellini guidati da Farinata degli Uberti era di far cosa, per cui il re Manfredi fosse obbligato a soccorrerli molto più.

Aveva il re mandato in loro aiuto una mano di Tedeschi, piccola bensì, ma questi per consiglio di Farinata avevano portato seco la regale bandiera. Ora una festa i fuorusciti empiono ben bene di vino e di cibo que' buoni oltremontani, e quindi li inviano tumultuariamente contro i nemici. Niun d'essi ne ritornò più vivo; la loro bandiera, trascinata primamente per tutto il campo, e poscia per le vie di Firenze, fu appiccata capopiè alle pareti di s. Reparata.

Altro fatto non successe sotto le mura di Siena. Laonde i Fiorentini, paghi della facile vittoria, dopo alquanti di rimisero la martinella sopra il carro, empierono la torre di terra, e piantatovi sopra un olivo, e rimuratone l'uscio, ripresero allegramente la strada già fatta. Indi a un secolo verdeggiavano tuttavia su quella torre le frondi dell'odioso albero.

VII.

Se non che appunto da questo sterile trionfo incominciava la vendetta sopra Firenze. I Sanesi, avendo accattato venti mila fiorini d'oro da non so quale compagnia di mercatanti, mandarono denari e ambasciadori al re Manfredi, e insieme con essi certo lor cavaliere, che stando prigione appresso il nemico aveva mirato lo strazio della sua bandiera. Il re indegnatissimo concesse a'Ghibellini 800 Tedeschi a caVol. I.

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