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in Vicenza tutto lo sforzo de'fuorusciti e soldati, uscì Febbr. al grande acquisto nel più fitto del verno.

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Procedeva innanzi a tutti il fratello di lui Alberico colle masnade di Bassano e del Pedemonte (così chiamavasi tutta la parte bassa di quella contrada): veniva dopo il grosso dell' esercito composto degli esuli e delle squadre imperiali. Alberico, avendo respinto la schiera sortita da Padova al fine di soccorrere Carturio, astrinse questa terra ad arrendersi : nè guari tardò a venirgli consegnata anche Monselice, chiave di tutto il territorio. Quivi Ezelino appena entrato s'affrettò a radunare a parlamento il popolo insieme con tutti i cavalieri prigioni. Fattosi silenzio, con non mediocre facondia arringò, sforzandosi di rivincere a parole gli uomini da lui già vinti nelle armi. A nome pertanto dell'imperatore ringraziò gli amici, a nome dell' imperatore seminò oscure minacce verso i più ostinati: asserì imminente la caduta di Padova, grandi i premii apparecchiati ai vincitori: del resto quanto a se stesso non guerreggiare lui per ambizione, ma per necessità di difendersi, per obbedienza a Federico; desiderare il trionfo dell'impero, non signorie, non ricchezze.

Terminato ch' egli ebbe di favellare, fu chi (tanto queste fallacie sono proprie di tutti i tempi!) si levò a porgere amplissime grazie a lui e testimonianze d' universale ardore nella causa imperiale. La sera Ezelino convitò a cena i primi dell' esercito, ed allo splendore de'falò le mura antiche di Monselice eccheggiarono di suoni festosi.

Ma in Padova già era corsa la voce che Ezelino accostavasi a nome dell'impero: e già la nuova della

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caduta di Carturio e della resa di Monselice aveva diviso in contrario tumulto gli animi de' cittadini. Gl'imperiali, non osando ancora di palesarsi, celatamente si cercavano; e con molti alla sfuggita, e strette di mano, e crocchi ne'luoghi più reconditi o nelle case private, preparavano le vie a più aperte dimostrazioni. De'Guelfi parte nel consiglio segreto, dubbi tra costanza e viltà, discutevano: i più, uomini e donne, s'erano sparsi su per le piazze, in mezzo alle strade, sotto le logge, avanti alle soglie, ad interrogarsi a vicenda, ed a vicenda comunicarsi le novelle, e secondo tempra degli animi crescere lo sdegno o lo sconforto. Del resto sulle mura, sull'alto delle torri uno spiare diligente di vedette, un concitato camminare di scolte, un ammucchiare affrettato d'armi e di macigni, un dare e rispondere d'ordini. Nè quivi arrestarsi l'universale travaglio; ma ognuno ripulire le armi, racconciare l'arnese, munire porte e finestre, e prendere e dar promessa a' vicini di aiuto più segreta ed unita l'opera de'Ghibellini, più manifesta e sparpagliata quella de'Guelfi.

La mattina seguente alla presa di Monselice, Ezelino mandò alcuni ambasciatori al marchese d'Este, perchè il richiedessero, tempo due giorni alla risposta, se intendeva d'essere amico o nemico di Cesare. Se amico, non si opponesse all'impresa di Padova, e non avrebbe ricevuto veruna molestia. Il marchese colto inaspettatamente fra quelle strette, si disse amico; ed a Padova più non rimase altro presidio fuori che se medesima.

VI.

Era stabilito che, all'apparire dell'esercito, i Ghibel lini di dentro gli dovessero aprire la porta di Ponte Molino; ma la trama essendo stata scoperta e le sentinelle mutate, Ezelino piantò il suo campo poco lungi dalle mura, e pose mano a guastare il territorio. Che anzi, avendo saputo che i Padovani s'allestivano per uscire a battaglia, si levò ancora di là, e si ritrasse a Monselice; aspettando di conseguire senza sangue e pericolo ciò che una zuffa gli avrebbe potuto rapire con danno e vergogna. Infatti il primo sventolare delle insegne imperiali sotto Padova vi aveva procurato scoppio agli umori repressi. In breve quel ch'era maneggio e congiura, diventò sommossa e tumulto; la plebe cominciò a gridare Ezelino e impero!: i nobili chi per paura, chi per ambizione, chi per affetto di parte le tennero dietro: infine, il podestà essendo partito con tutta la sua comitiva, un cittadino de' principali propose di sottomettere Padova all'impero, e pattuire col nemico mediante l'intercessione de'fuorusciti.

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Ne'patti non fu menzione d'Ezelino: eppure era egli quello, che occupava la nobil terra per signoreggiarla con duro morso! Stabilissi restituzione dei prigionieri, rimessione di tutte le offese, libertà al modo antico con tributo all'impero ed osservanza degli statuti e delle leggi municipali; un vicario imperiale reggesse la terra. Con queste condizioni, Frate Giordano, uomo tenuto in concetto di santo, fu 25 febbr. spedito a Monselice a consegnar le chiavi : e senza indugio tutta la città eruppe fuora ad incontrare

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von liete grida il novello signore, che si accostava alle mura in mezzo a fanti e cavalli stranieri. Giunto alla porta interiore di Torreselle, Ezelino (così raccontano le storie) piegossi alquanto verso di essa; indi, trattosi l'elmo di capo, e lasciatolo cadere indietro sulla groppa del destriero, la baciò d'un bacio che da molti fu giudicato simbolo di pace, e doveva invece essere di sangue e di oppressione (1).

Arrivati al palagio, il conte Gaboardo in qualità di vicario imperiale ricevè la città all' obbedienza di Cesare. Del resto in Ezelino rimasero armi, aderenze, comando, denaro, insomma, tranne il nome, ogni cosa. Pur anche il nome bramò egli e conseguì, avendo poco stante trovato occasione di rimandare in Germania il Gaboardo, inutile testimonio delle sue operazioni. Restarono agli stipendii d'Ezelino i Saraceni e Tedeschi, diventati il più sicuro appoggio di sua potenza, senza cui nè di escire nè di combattere avrebbe presunto (2). Coi denari delle terre soggette ei li condusse, coi denari delle terre soggette li mantenne « e di modo colla pecunia (dice un cronista) aveva egli acciecato cotesti stolidissimi venditori delle anime e dei corpi proprii, che nè le scomuniche nè le spade inimiche poterono giammai allontanarli dal giurato ossequio » (3).

Col braccio di questa gente Ezelino cominciò dal mettersi allo schermo da ogni tradimento: quindi pose mano a quel sistema d'oppressione, che ne renderà il nome esecrabile per tutto il giro delle umane (1) Rolandin., Chr. III. 16.

(2) Rolandin., Chr. IV. 1.

(3) Monach. Patav., p. 699 (R. I. S. t. VIII).

memorie. Si assicurò di Verona, innalzandovi il po→ polo contro i magnati; ingrossò l'esercito, costringendo alla milizia i cittadini delle terre sottoposte : i più vili elevò alla sua confidenza, al comando delle schiere, alla esecuzione de' più occulti disegni: i signori rurali, già suoi emuli, sperse e abbattè. Coi mercenarii poi Lombardi, Pugliesi, Tedeschi e Saraceni, colle masnade avite, colle fanterie assoldate ne'monti della Trevigiana, sforzò Padova a seguirlo all'assedio di Montagnana, soggiogò Treviso, Trento ed Este, tolse al proprio fratello la terra già cedutagli di Bassano, spianò la rocca di S. Bonifazio, sottomise i Camposampieri, abbassò gli Estensi, disfece que'da Camino e da Carrara. Colla forza pigliò Feltre, col terrore e colle amicizie Belluno que' castelli che non potè occupare coll'armi, comprò a denari; e quale poscia distrusse, quale accerchiò d'inespugnabili mura; altri, dopo averli comprati, infeudò al venditore per farselo devoto. Al postutto la confisca sopravvenne a compiere quello, che la violenza avesse per avventura lasciato addietro. Con questi mezzi Ezelino diventò padrone di un vasto dominio : a questo dominio diè poi forma di stabilità, sposando la figlia dell'imperatore, assumendone il titolo di vicario, e sventolando ne'campi di guerra le imperiali insegne.

Quanto al governo interno, Ezelino fondollo sul sangue le crudeltà generarono congiure, le congiure furono occasione desiderata d'incrudelire. La tirannide distrugge tutto per regnar sola: la monarchia riduce tutto intorno a se stessa; la democrazia mette lo stato nelle mani di ciascuno. Ezelino dominò da tiranno. «In tutta la Marca, esclama un contempo

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