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scalco della Provenza. Poi lo stendardo d'Angiò essendo pur quello di tutta la parte guelfa, ogni discordia civile era causa od occasione per introdurre od accrescere la regia influenza. Contro quest' autorità, che stava tutta a discapito dell'impero, Alfonso x re di Castiglia, e re (come da se medesimo intitolavasi) de' Romani, pensò d'innalzare il suddetto Guglielmo marchese di Monferrato suo genero, dichiarandolo suo vicario, e munendolo di 800 spagnuoli pagati del proprio. Con questi venturieri, e con altri fra quelli, che Alfonso da ogni banda raccoglieva a stipendio oltre le forze del piccolo suo Stato, Guglielmo osò levare il capo contro una monarchia, che da Napoli e dalla Provenza stringeva fra le sue braccia l'Italia (1).

Bastò che ei si mettesse alla testa della fazione ghibellina per rinvenire dovunque possenti fautori. Asti assaltata a tradimento e barbaramente minacciata dagli angioini si affrettò prima d'ogni altra ad eleggere il marchese per suo capitano: quindi divenne centro di una robustissima lega, a cui si congiunsero altresì Genova e Pavia (2). Per virtù di questa lega il vicario angioino venne scacciato da molti luoghi: Alba, Alessandria, Cherasco, Cuneo, Mondovì, Savigliano e il marchese di Saluzzo furono costretti a cangiare insegna; e Guglielmo, sia come capitano generale di tutta la lega, sia come podestà o capitano di questo o quel luogo, imprese a fondarvi civile signoria. S'aggiunse per sua esaltazione, che l'arcivescovo Ottone Visconti, capo dei Ghibellini in Milano, chiamollo a A.1277 (1) Ptolom. Lucens., Hist. ecclesiast., L. XXII. e. 28. (2) Guil. Ventur., c. 6. 8. 9.

reggere e difendere la città per cinque anni con titolo di capitano, e non mediocre stipendio (1).

Come prima Guglielmo fu entrato in Milano con 500 uomini d'arme, provvide efficacemente alla quiete interna, e trionfò con false pratiche e con guerra aperta dei Guelfi, per quanto aiutati da molte masnade a soldo tedesche e friulane: ma nel medesimo tempo, facendo venire dalla Spagna nuovi fanti, e militi e balestrieri, lavorava a tirannide. Nè l'intendimento sarebbe andato vano, se l'arcivescovo Ottone, conoscendo ottimamente in altrui le arti, che avevano sollevato lui stesso al primato della patria, non si fosse affrettato a opporre ingegno ad ingegno, e trama a trama. Preparata ogni cosa, aspettò che Guglielmo si trovasse lontano dalla città per altre faccende; allora monta egli a cavallo, suscita all'arme i suoi fautori, e, oppressi con repentino assaltó i Catalani di guardia, si conferma in seggio mediante alquanti Tedeschi ottenuti in presidio dall' imperatore Rodolfo. Fu presta a imitarne l'esempio Asti, certa oramai di ugual pericolo per parte del marchese; se non che esinanita per gli studii di parte, non faceva che passare dalla dominazione del Monferrato a quella della Savoia.

Quindi una gran lega si riuniva a' danni di Guglielmo ed i Torriani pacificati coi Visconti, Genova, Asti, Pavia, Milano, Cremona, Piacenza, Brescia, tutta quasi la Lombardia atterrita di sua potenza gli si rovesciavano contra. Ma non per ciò s'abbandonò d'animo il marchese; anzi avendo co' denari dell'im

(1) Diecimila lire all'anno, e cento lire al dì. Galv. Flamm,, Manip. Flor., c. 315 (R. I. S. t. XII).

peratore d'Oriente suo genero fatto venire di Spagna nuove genti, ed assoldato i fuorusciti lombardi rifugiati in Sassolo (1), occupava Tortona, sottometteva Pavia, e già s'apprestava a conseguire in Milano per forza quello che per frode non aveva potuto ; quando ecco in un subito il popolo tumultuante d'Alessandria sorprenderlo tra le sue mura con pochi seguaci, e 8 selt. fra brevi spranghe di ferro rinserrar lui, che pur testè aveva espulso gli Angioini dal Piemonte, e spaventata la Lombardia (2).

La rovina del marchese di Monferrato rilevò non poco il nome de' Provenzali al di quà delle Alpi. Rinnovellando le solite arti, i vicarii angioini ricominciarono a fomentare le fazioni dentro le città, e colle forze dell'una a distruggere l'altra, finchè tutte non fossero cadute di languore alla loro mercè. Altre città furono ricevute in obbedienza, altre in lega, altre in temporanea difesa, e le masnade che le tennero in freno co' denari di esse medesime vennero mantenute (3). (1) Memor. potest. Reg., p. 1165. 1166 (R. I. S. t. VIII).— Chron. Parm. p. 795.

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(3) A. 1312.... Qui Ugo... Papiæ morando cum stipendiariis multis ad Papiensium expensas... Guil. Vent., Memor. Ast., c. 77.

A. 1316.... Cum militibus D et balestrariis CC, qui venerant de Provincia ad bursam Astensium et locorum Pedemontium... Ibid. c. 82.

A. 1316. Rizardus Gambatesa regius senescalchus Provinciæ missus a rege Roberto appulit Cuneum... ex pacto facto cum Astensibus et fidelibus ejus Pedemontanis, dantes prædicti eidem Rizardo flor. VM et Astenses totidem, eo quod secum duxerat in prædictorum servitio milites D de Provincia, et balestrarios CCC pedites... Ibid. c. 92.

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Asti, ognor divisa nelle contrarie sette de' Gottuari e de' Solari, fornì esempio per tutte. Appena sottratta al giogo monferratese, condusse per suo capitano il conte di Savoia con 500 cavalli: poscia da'Gottuari fu abbandonata come in balia a Giovanni da Monferrato, col fine di signoreggiarsela d'accordo A. 1304 per mezzo di molti venturieri a soldo. Ripatriarono i Solari colle spalle degli Angioini e della lega guelfa, e tosto elessero capitano della guerra contro i fuorusciti il conte Filippo di Savoia con cento cavalli. Questi tentò di farsi padrone della città o solo o di metà col re di Napoli. Venutogli meno l'intento, uscì, ed i Guelfi cessero il luogo a'Ghibellini. Finalmente i Solari, essendo rientrati col seguito di 500 catalani mercenarii, concessero la patria in servitù a' Provenzali; e le sorti di Asti ebbero il loro termine. Per queste vie i Comuni d'Italia perdevano miseramente e libertà e milizia!

IV.

In conclusione, coteste guardie sveve ed angioine, distruggendo il vivere a comune, accostumando città e principi a valersi di soldatesche prezzolate, e moltiplicandole e spandendole per l'Italia, furono di apparecchio non lieve alle compagnie di ventura. E per verità, finchè l'insegna del reale vicario stava spiegata, è giusto credere, che il terrore verso il principe, l'uso e la riverenza verso i capi tenessero a segno le schiere. Ma quando per cagione di qualche rivolta o sconfitta quella insegna era abbattuta, e i capi andavano dispersi, e tutta la fazione veniva conculcata, quale altra guida rimaneva al soldato, fuor

del proprio volere ed utile? Di già, stante la natura de' tempi, una confusa moltitudine di sciaurati, come vermi in corrotto limo, pullulava nelle terre d'Italia: fra questi s'avvolgeva il venturiero, ed or come capo o complice, ora come compagno od instigatore, li tirava a sè o n'era tirato. Drappelli di Tedeschi, Catalani, Francesi e Friulani solcavano la provincia; e spesso tal guerriero, che aveva cominciato le sue armi sotto il vicario di Manfredi di Svevia, le proseguiva indifferentemente sotto quello di Carlo d'Angiò, o ai gaggi di qualche signore avido di convertire il suo temporaneo reggimento in una stabile dominazione.

Quando la morte di Federico e la disfatta d'Ezelino abbatterono in Italia la parte ghibellina, i Tedeschi delle guardie della Toscana e Lombardia trovarono ancora ricovero presso il Doara, lo Scaligero e il Pelavicino, vicarii e sostenitori del nome svevo. Ma quando altresì questi furono o spenti affatto, o colla fortuna costretti a mutar bandiera; quando l'estremo sforzo da essi fatto per ristaurare il ghibellinismo in Italia rimase rotto a Tagliacozzo; ciascuno più non seguì che sua ventura, e croce bianca o rossa, libertà o tirannide, fu tutt'uno. Si videro A. 1264 perciò gli stipendiarii d'Ezelino, dispersi dalla lega guelfa, combattere sotto le guelfe insegne contro Pisa e lo stendardo svevo (1). Si videro de Tedeschi sotto A 1266 il gonfalone della Chiesa pugnare contro il re Manfredi a Benevento (2); e pochi mesi dopo la famosa

(1) Theutonicorum et nobilium de Lombardia stipendiariorum suorum... Chron. Var. Pisan. p. 191 (R. I. S. t. VI). — G. Vill., VII. 14.

(2) Nie. de Jamsilla, pp. 500. 533. 536 E.

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