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Nè maggior calma o certezza era nell' eseguire la legge che nel farla od applicarla. Nel sistema feudale punívasi il reo guerreggiandolo; ed ei medesimo s'era talora riserbato per patto il diritto di rivolta e di guerra al proprio signore. Ne'Comuni, per quanto poca fosse la potenza del cittadino condannato, la sua punizione, la sua difesa era opra di fazione, e dalla sua espulsione o fermata dipendevano le sorti della città. Forze stabili e vigorose non si avendo internamente per far eseguire la legge, occorreva radunare un popolo, e condurlo ad insegne levate alla distruzione di una casa. Così il castigo veniva confidato a popolare ferocia ed impeto momentaneo ; proprio de' quali è agire fuor di tempo o misura, e lasciar nel colpevole speranza o sdegno. Talora altresì la legge, impotente a raggiungere il malfattore, era costretta a trasferire nell'individuo e nel favore del caso il proprio officio di giustizia e tutela universale; sicchè ora pubblicava taglie sul capo del reo, ora permetteva pubbliche rappresaglie (1), ora autorizzava l'attore a prender le sue ragioni o vendette sopra l'accusato. Del resto ad ogni tratto sopravveniva una fazione vincitrice a rivolgere a ri

(1) Et si civitas, communitas, castrum vel villa post dictam requisitionem non fecerint satisfieri.... dummodo de valore rerum ablatarum faciat plenam fidem vel saltem per unum testem de visu et scientia, et duos de publica fama, senator vel ejus judices debeant dare et concedere eis represaliam et licentiam et potestatem liberam capiendi de bonis et rebus civitatis et hominum illius terræ.... Et teneatur senator ad petitionem illius, qui privilegium represaliarum habere meruit, facere stagiri et sequestrari personas et bona illorum, qui sunt de terris et locis... S. PQ. R. Statut. L. I. c. 143.

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troso gli ordinamenti della vinta: di certo poi ad ogni sei mesi mutavasi il supremo rettore, e parecchie volte l'anno gli altri magistrati. Laonde quel comando che non s'eseguiva tosto tosto, non s' eseguiva più mai, e bastavano al reo poche ore di fuga per rinvenire, non che scampo, onori e ricompense sullo Stato vicino.

Qual imparzialità di giudizio, qual certezza di esecuzione potesse conseguirsi a queste condizioni, argomenti il lettore.

Nè maggior grandezza di principii o prontezza di mezzi era nell'amministrazione della pubblica sostanza, e nella tutela e nel perfezionamento del comun bene. Sconosciute le norme della pubblica igiene ed economia, interrotte le strade, incerti i mezzi di trasporto; gelosa l'una città dell'altra; dentro le mura non un magistrato eletto dal comun voto, ma un capoparte con tutto il furore di una setta vincitrice; la forza pubblica o lieve od a salti e più spesso per nuocere o vendicare; in tali estremità era pur mestieri che ogni cosa pigliasse aspetto di occasionale, di locale, di personale. Quindi le entrate erano dazii, gli eserciti raunate, le leggi statuti, governo fazione: quindi occorreva rinnovare ad ogni lite il tribunale, ad ogni guerra l'esercito, ad ogni necessità di denaro l'entrata e i magistrati a ciò. Nè colle anguste cure d'un amor patrio municipale, che sovente serviva ancora di velo a un amor di partito o di schiatta disfrenato, era agevole di abbracciare praticamente un disegno, che riunisse a comun utile più contrade o città.

Che se talora avveniva, che parecchie di queste

cadessero sotto ad un sol principe, non però lasciavano di ritenere i loro costumi, il loro reggimento, le loro misure e statuti. Ond'è che miravi ciascuna seguitare a battere propria moneta, e computar l'anno a sua posta (1), e provvedere al suo sostentamento, nè più nè meno che se fosse sola. Rompevasi però egli un ponte, guastavasi una via? E la città più vicina colla propria pecunia ed opera doveva ristorare ogni cosa (2). Le coste della Puglia venivan elleno infestate da' Genovesi e pirati? Ed ecco ordinarsi loro, che armino a proprie spese navi e torri, e se le guardino (3). Tale era adunque il motto e la divisa del medio evo:- Ogni parte pensi a se stessa!

Non deve pertanto arrecar meraviglia, che i Comuni continuassero a godere sotto le più acerbe tirannidi e diritti e privilegi e forme di governo municipale: men poi reputarsi questo a volontaria larghezza del principe. Ma egli lo tollera: perchè se priva le città di quel diritto, o per meglio dire carico, di reggersi e difendersi, chi difenderalle in tanta confusione? Stiamo pure certi, che come prima la civiltà si sarà aggrandita, aperte le strade, ravvicinati i sudditi, e tosto comincierassi a restringere loro quei

(1) Per es. Roma e Milano cominciavano l'anno a Natale, Firenze il 25 di marzo, Pisa anticipava d'un anno il calcolo fiorentino, Venezia ne assegnava il principio al 1° di marzo.

(2) Fidelitati tuæ præcipiendo mandamus, quatenus universitatem civitatis N... efficaciter moneas et inducas, et, si expedierit, auctoritate nostra compellas, ut pontes, vias omnes, quæ circa partes et districtus civitatis ipsius necessario expetunt reparari, debita faciant reparatione fulciri.... Petr. de Vin. Epp. L. V. c. 6 e 7.

(3) Petr. de Vin. Epp. II. 36.

diritti. Del resto siccome cotali signorie raunaticce non posavano nè sopra antichità di compagine, nè sopra comunione d'interessi, nè sopra vasta mole di forze vicine, così accadeva sovente che crollassero colla agevolezza medesima, colla quale la industria o la fortuna d'un ambizioso le aveva elevate. E di qui i motivi del subito apparire e nascondersi delle famose dominazioni degli Ezelini, de' Doara, de' Pelavicini, d'Uguccione, di Castruccio, di Giovanni il Boemo, di Gian Galeazzo Visconti. La violenza acquista, ma non mantiene: acciocchè Roma duri, a Romolo deve succedere Numa, alla forza la legge.

Tale era il carattere della pubblica amministrazionę! di cui se qualche parte per virtù di alcun principe o magistrato fosse cominciata a farsi buona, la guerra stava ognor pronta a sfruttarla ed abbatterla. Quali ne fossero le forme, quali le conseguenze, parte narrammo, parte il lettore concluderà da sè. Essa poi essendo continua, non altrimenti che se da natura, perpetuo era il male, impossibile il rimedio. Talora dalla gran moltitudine degli uomini e degli animali stipati dentro le terre, generavasi carestia, fame, peste e sedizioni: oppur dalla pestilenza il tumulto, dal tumulto scaturiva l'inopia e la fame; mássime allorchè leggi suntuarie sovvertivano il commercio, leggi daziarie straziavano le industrie, leggi proibitive inaridivano l'agricoltura, leggi d'annona accrescevano la carestia. Frattanto le gare intestine moltiplicavano i bisogni; e in faccia ai pericoli delle vie, alla difficoltà delle gabelle, alla incertezza dello spaccio, lo stesso privato vantaggio de' mercatanti irritrosiva a sopperire alle necessità de' popoli.

Infine la guerra medesima, ultimo scopo, maladetto mestiero di codesti tempi, la quale pure opera per via di masse, nulla aveva in se stessa di preciso, nulla di generale e compatto. Gli Stati, attesa la moltiplicità de'loro elementi, non avevano un capo, abbattuto il quale, tutto fosse abbattuto. Quindi si sperdevano le forze nel munir cento piazze, si sperdevano nell'oppugnarle: quindi gli assedii infiniti, le mosse parziali, niuno scopo certo, niun disegno preconcepito, niuna vittoria, niuna sconfitta vera e definitiva.

IV.

Tutto questo accendeva e fomentava una generale credenza di caducità e mutabilità d'ogni pubblica instituzione, che a mano a mano staccava l'individuo dalla società, e lo traeva a stimarsi e farsi centro d'una esistenza tutta sua propria e speciale. Che se dal mondo fisico veniva egli a rivolgere l'animo al mondo morale ed intellettuale, in non minore turbamento s'abbatteva.

Due principii erano nati nel mondo quasi ad un tempo, cristianesimo e impero. Sotto di essi, trascorse le invasioni barbariche, s'era per più secoli tenuta insieme l'Europa: sotto di essi s'erano assestati altri principii, come a dire la feudalità, le crociate, la cavalleria. Sa ognuno come papa Leone pervenisse a riunire in certo modo nelle proprie mani i due poteri mediante la coronazione di Carlomagno. Giunse tempo in cui la troppa intrinsechezza generò discordia; perchè quando si volle distinguere l'emanazione di un principio dall'emanazione dell'al

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