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ziante, diplomatico, giuocatore alle corti dei duchi d'Orleans, di Bretagna, di Borgogna, e dei re di Francia, d'Inghilterra e Germania (1): Marco Polo, che trafficando insegna a' Tartari costrurre mangani da assedio, e ne regge i consigli, e ne sopravvede le provincie, e nelle angustie d'un carcere tramanda all'Europa le prime notizie di quella pressochè favolosa civiltà (2): Filippo degli Scolari, nato in Firenze, di 13 anni fattorino a Buda, poi ragioniere del regno, poi direttore delle miniere, prigione, dannato a morte, profugo, ristoratore della monarchia, alla fine governatore della Servia, capitano generale, e trionfatore degli infedeli in 25 battaglie (3): Castruccio Castracane fuoruscito, mercatante, soldato, Signore della Toscana: essi soli bastano a dimostrare la possanza colla quale cotesto spirito di ventura s'impadroniva degli individui, e ne traeva varii e inaspettati effetti. Due fatti soprattutto segnalavano cosiffatta condizione di cose:

1o L'istinto della propria conservazione inclinava l'individuo ad associarsi.

2o Il medesimo istinto lo inclinava al maneggio delle armi.

Del primo fatto sarà lungamente discorso nel seguente capitolo: il secondo ne servirà a trovare gli elementi, di cui erano per comporsi le compagnie di ventura. L'uno l'altro insieme accoppiati ne daranno il segreto della esistenza di esse.

(1) Pitti Buonacc., Cron. passim.

(2) Baldelli - Boni, St. del Milione.

(3) Mellini, Vita di Pippo degli Scolari. Due Vite di Fil Scolari (Arch. Stor. t. IV).

La forza corporea, questa facoltà che avvicina la belva all'uomo, ha fra' mortali tanto maggiori attrattive, quanto sono minori quelle dell'intelletto e del cuore. In fatti, dove la pubblica potestà mi assicura vita ed onore ed averi, a che è d'uopo la forza individuale, se non se a civili usi? Per lo contrario, a che tanta stima delle doti dell'animo, quando mille pericoli materiali minacciano la mia esistenza, nè altri ha cura o potenza di difenderla, se la mia mano e l'industria mia non la difende? Quindi nelle confusioni sociali il trattar l'arme diventa necessario e comune a tutti.

Ma dal trattar l'arme per uso e necessità, al trattarle per guadagno e mestiero, il passo è troppo breve, perchè uomo secondo l'occasione rifiuti di varcarlo. Quanto non era adunque facile, che tutta quella massa d' individui, cui i disordini continui della società spingevano come fuori dal comun vivere e sentire, abbracciasse avidamente la professione delle armi, tostochè questa offerisse sufficiente pascolo alle passioni! Le passioni poi del soldato, che non ha patria, sono (e ognuno lo sa) ambizione, se di animo altiero, avarizia e piacere, se di bassa tempra.

Ora di questa moltitudine gettata in mezzo al mondo già una gran parte adoperava le armi per suo sostentamento. Apparivano in prima schiera i fuorusciti, cui rabbia, speranza, necessità teneva in perpetua guerra e già narrammo quale inclinazione in loro fosse pel militare a soldo. Venivano dipoi coloro che della rapina facevano un mestiere. Invano papi, re,

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Accadde un di che nella Francia un garzoncello si annunziò inviato da' Cieli a predicare la crociata; e gridando-o Signore, o Signore, aiutaci a racquistare la S. Crocel-si mosse dalla città di Vendôme verso il mezzodi. In breve furongli d'intorno innumerevoli frotte di fanciulli, qual di essi cantando, qual portando croce, incensiere o stendardo. Per via davasi loro, come ad orfanelli, ospizio; ed eglino a chi li ricercava dove andassero - Verso Dio, replicavano, a cercare la S. Croce, oltre il mare, ove il Salvatore ci chiama. Allora, gettando i propri strumenti, operai, e contadini d'ogni età, d'ogni sesso univansi al mirabile esercito, al cui cammino nè legge di re, nè consiglio di savii valse a frapporre ostacoli fino a MarA. 1212 siglia. In somigliante modo altri venti mila, partiti dalle vicinanze di Colonia sotto la guida di un garzoncello per nome Nicolò, traversata l'Italia, giungevano a Brindisi per pigliarvi imbarco. Sventurati! alle cui vite una non più udita avarizia tesseva iniquo fine. Infatti degli arrivati a Marsiglia chi perì per naufragio, chi fu venduto agli infedeli: degli altri qual mancò di miseria, qual rimase in Italia a vita vagabonda (1).

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Mezzo secolo di poi uno sciame di pellegrini levavasi di colpo nell'Umbria per effetto delle prediche di non so quale romito, e sotto specie di metter dappertutto la pace e il buon costume innondava l'Italia, la Francia e la Germania sino a'confini della Polonia. Lo scopo era di religione; i mezzi quali bisogno e

(1) Sicard. Episc. Cremon. Chron. p. 624 (R. I. S. t. VII).

Caffari, Ann. Gen. IV. 403.

Hurter, Hist. du

pape

In

nocent III, t. III. p. 208.

antica consuetudine talora suggeriva. In sostanza il re di Napoli e il signore di Parma, l'uno con intimare pene di morte, e l'altro con seminar di patiboli le frontiere, se ne premunirono (1). Ciò non pertanto l'esempio non lasciò d'avere imitatori. Nel 1310 un nugolo di processionanti dilagossi dal Piemonte a tutta l'Italia. Cinque lustri appresso un grande stuolo di Lombardi dietro le parole d'un frate Venturino da Bergamo indirizzavasi a Roma sotto fine di impetrarvi la remissione di tutte le loro colpe. Vestivano una candida cotta, con un mantello di color perso o cilestro, e sul mantello era riportata una bianca colomba con in bocca l'ulivo. Queste erano le sembianze esterne. Ma sotto la cotta i più di essi avevano piastre e maglie, ed animi da guerriero. E per verità, esclama un contemporaneo, una parte di loro era bene di buoni e gentili; ma le dieci rimanenti del più ribaldo seme d'Italia » (2). Giunti tra Modena e Ferrara, dall'armi e da'denari de'Bolognesi farono svolti in Toscana donde ingrossando ognor più, si spinsero in Roma, oggetto dapprima di meraviglia, poi d'indifferenza, alla fine di meritato odio e persecuzione (3).

VI.

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Di tutti questi elementi di disordine eransi per comporre in breve le bande venturiere a soldo. Ma esse da niun'altra cosa dovevano ricavare più abbondante

(1) Monach. Patav. L. III. 714. Manip. Flor. c. 296. (2) Fragm, hist, Rom. L. I. c. 6 (Antiq. M. ævi, t. III). (3) Ghirardacci, St. di Bologna, L. XXI. p. 121, G. Vill. XI. 23. VIII. 122.

nutrimento, quanto dalle spesse crociate, le quali mettevano le armi in pugno a moltitudini feroci, e dopo averle divezzate da' traffichi e da'mestieri, ed accostumate a' pericoli ed alle passioni da soldato, abbandonavanle tra popoli lontani alla balia di loro stesse. Di già le crociate in Terrasanta sia col disgregare i vincoli tra i sudditi ed i signori, sia coll' accogliere negli eserciti qualunque uomo, avevano dischiuso una larga via al mestiere del soldo. In quelle prime spedizioni mille nuovi bisogni, mille nuovi desiderii erano scoppiati. Nei disagi delle peregrinazioni, nella noia della cattività, ne'rischi delle battaglie, tutte le classi s'erano ravvicinate: e la vista de' grandi aveva suscitato sdegno ed invidia ne' minori. Ritornavano a casa cogli animi per tanta assenza e travaglio quasi sordi alle antiche affezioni: anzi in luogo della primiera modestia stavano cupidigia e lascivia: poi le armi impugnate una volta duro è troppo lasciare. Trovavano le patrie sconvolte da gare, prepotenze ed usurpazioni; campi negletti, arti deserte, suppellettili alla mercè della forza o degli Ebrei: e tra la sorte di rimanere spogliato ed oppresso, e quella di spogliare ed opprimere, preferivano l'ultima, a conseguire la quale nessun ostacolo s'opponeva. Bastava che si valessero della esperienza acquistata nelle guerre d'oltremare, ed erano certi di guadagnare preda, e forse anche stato (1). Nè mancavano

(1) Hurter (op. cit. t. I. p. 243) opina, che i Cotterelli e i Brabanzoni, famosi venturieri de' tempi, altro non fossero che borghesi e villani ritornati dalle Crociate. Guglielmo di Malmesbury (AA. 1200) lasciò un orribile quadro di quelli assoldati da Riccardo Cuor di Leone.

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