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titore anzichè a quello. Ma queste seconde concessioni aveano un carattere molto diverso dalle prime. Quelle erano state impartite da un re a sudditi ; però avean bensì nel vasso cresciuta la divozione verso il principe, ma non già mutatane l'essenza ; e posciachè re e Stato continuavano ad essere una cosa sola, la gratitudine dell'uom privato si confondeva tuttavia col dovere del cittadino. Ma nel secondo caso non era già un re, era un contendente al regno, che distribuiva i beneficii per conseguirne aiuto contro un suo competitore. Pertanto la fede e l'obbligazione diventavano personali verso il donatore, e l'idea astratta dello Stato dovea cedere il luogo alla concreta dell'individuo (1).

Due effetti conseguitarono necessariamente da ciò: 1° Il numero de' vassi crebbe a dismisura.

2o La dipendenza del vasso diventò personale, non più verso il capo qualunque ei si fosse dello Stato, ma verso quel certo signore, da cui teneva il beneficio, diventasse questi poi o non diventasse re. Di qui l'omaggio, grado di dipendenza più stretto di quello di fedeltà, e che ne rimase molto ben distinto nel sistema feudale almeno fino al xin secolo (2). La fe

(1) Tanto già era vera questa personalità di fede nel 587, che i re Gontranno e Childeberto nel segnare il trattato di pace d'Andeli promettonsi di rimuovere da' nuovi beneficii que'leudi, che dopo aver giurato fede all'uno fossero passati alla parte dell'altro! (V. Baluz. Capit. t. I. p. 14).

(2) Per es. in un trattato tra i conti di Borgogna e quel di Sciampagna, i primi s'obbligano di far prestare omaggio al secondo da alcuni signori Borgognoni di lui vassalli, e, se omaggio non si può, almeno la fedeltà. Nos requiremus a militibus comitatus Burgundiæ, quod ipsi faciant homma

deltà comprese gli ufficii naturali di suddito a principe, l'omaggio incluse certe obbligazioni ad una ad una espresse in patti e giuramenti, e compensate con godimenti di terre ed altri vantaggi. Verso il natural signore la fedeltà era innata, l'omaggio fattizio; nè potea essere omaggio senza fedeltà, ma si fedeltà senza omaggio; posciachè il vasso prima di ottenere il beneficio era suddito, e rinunziando ad esso potea bensì sciorsi dall'omaggio, ma non da quella primitiva obbligazione di fede. Ond'è che formole e riti diversi separarono una obbligazione dall'altra: ed i minori d'età potean farsi rappresentare da un altro a giurar la fede al loro signore, l'omaggio non già: perchè l'omaggio includeva special servigio, e talora in persona del vassallo, e quel servigio non potea venir compiuto da tenero garzone. Col volger degli anni trovossi poi il ripiego di giurar la fedeltà a questo e quel signore, salva sempre quella dovuta al signore naturale. Non pertanto omaggio e fedeltà stettero almeno per qualche tempo ancora tra loro distinti; e sotto il nome di questa s'intese una generale soggezione e obbedienza, e sotto il titolo d'omaggio si compresero i servigi particolari contemplati nei contratti d'investitura. Più tardi (e quando già gli ordini feudali accennavano a rovina) i due vocaboli si confusero e involsero insieme, ma forse ancor più nelle carte, che negli usi pratici.

gium dicto comiti, salva fidelitate nostra. Et si aliqui milites seu barones nollent facere hommagium dicto comiti Campaniæ Theobaldo, nos faceremus quod barones illi et milites facerent dicto Th. comiti Campania fidelitatem. Brussel, Usage des fiefs, L. I. ch. I. p. 28.

In mezzo a tanti torbidi, e questo ne fu il terzo frutto, crebbero i vassi di possedimenti e di amicizie a discapito del potere supremo. Già le troppo vaste tenute erano state coll'assenso o no del principe smembrate in una moltitudine di sottobeneficii. La necessità di afforzarsi sempre più in quelle guerre private, in que'tentativi di personale ambizione, in cui la depressione della regia autorità avea piombato la Francia, moltiplicolli. In breve, nel modo stesso che il principe avea distribuito tra' suoi vassi il proprio dominio, i grandi vassi distribuirono il proprio allode sia tra gli antichi loro gasindi, sia tra'nuovi dipendenti. Ne provennero così i vassi dei vassi, detti poi vasvassi, valvassori, vassalli; e per costoro due obbligazioni esistettero: la prima ingenita verso il principe, l'altra fattizia verso il vasso, da cui muoveva il beneficio.

In questa guisa si cominciò a riverire ed obbedire altri signori, oltre il re e i suoi magistrati. Però, siccome la qualità di vasso di per sè non dava giurisdizione, l'obbedienza del vassallo al principe sarebbesi conservata ancor diretta per mezzo del conte. Questi avrebbe continuato a reggere e giudicare tutti gli uomini del suo distretto; sicchè l'obbligazione del vasvasso al vasso sarebbe stata come un'aggiunta a quella propria verso il re. Ma in breve anche la giurisdizione fu attribuita al vasso. Una carta detta d'immunità gli diè potere su tutti i suoi dipendenti, sottraendoli all'autorità comitale. Quindi tra il re e i sudditi un terzo elemento s'intrommise. Il centenario non condusse più all'esercito che i liberi rimasti indipendenti gli altri furonvi guidati da un vasso laico od

ecclesiastico. Da questo punto la feudalità era stabilita in Francia.

Dierono gran peso a cosiffatte mutazioni i maestri di palazzo, che reggendo lo Stato sotto il nome d'ignavi re, si aprivan le vie al trono, col distribuire tra vassalli parte di quel dominio regio, ond' erano per proprio ufficio amministratori. I grandi eserciti da loro comandati si componeano specialmente di venturieri venuti d'oltre Reno; i quali entrando nel vassallaggio de'maestri di palazzo diventavano franchi di nome e condizione (1). Allorchè questo vassallaggio fu tale, ch'in esso apparvero come riversate le forze della monarchia, Pipino tonsurò Childerico II, lo chiuse in un monastero, e si fe' unger re da papa Stefano. Questi effetti produceva già in Francia lo stabilimento de' beneficii nell'anno 754!

Riassumendone ora la storia, vedremo che le cagioni del loro nascere e progredire oltre l' Alpi, si possono ridurre a questi due fatti principali: lo sperperamento della nazione vincitrice, e l'infiacchimento del sovrano potere.

Molto più addietro era rimasta la bisogna de' beneficii in Italia. Ma altre vi erano state le condizioni della conquista, altre le vicende della regia autorità.

Se poche bande armate per successivi sforzi avevano sottomesso la Francia; al contrario una perfetta nazione di guerrieri e di imbelli era stata quella, che sotto Alboino avea piantato sede in Italia. Pochi anni erano bastati alla grande impresa. I vincitori, di mano in mano che l'aveano spinta innanzi, aveano

(1) Thierry, op. cit. p. 222.

eletto sulle provincie dôme un duca, e con molto ordine assegnatogli guerrieri, famiglie e greggie di cavalle (1). Così per tutta la contrada si distese ugualmente il regio potere, che già da oltre un secolo era fermo e venerato. Per aggiunta la militare disciplina rinserrò a modo di esercito le parti della monarchia. Invano, ucciso Clefi, i duchi tentarono di tenerla divisa e godersela a brani. Autari riunilla e l'aggrandi: Rotari l'accrebbe di tutta la marina dal Varo alla Magra e la dotò di leggi; Grimoaldo vi stabilì affatto il culto cattolico: Liutprando con gran bravura e valore in 51 anni di guerra (A. 715-744) atterrò i duchi inobbedienti, e alleò la nazione co'regni vicini. Così il real potere, anzichè scapitare, s'afforzò sempre più; e se Benevento e Spoleto, atteso la loro postura e i favori pontificii, mostravano ritrosia a soggettarvisi, ben avrebbero questa ritrosia piegato i re Astolfo e Desiderio, sol che la invasione de'Franchi non ne li avesse impediti.

Furonvi però gli onori, furonvi i ministerii presso i Longobardi; perchè in tanta profusione di terre, in tanta scarsezza di tributi (già i vincitori ne andavano esenti per naturale diritto), quello era l'unico modo di intrattenere i magistrati. Concedasi pure che il re distribuisse a tempo o a vita alquanti poderi ne'suoi più cari: concedasi pure che questo esempio venisse imitato da' grandi possidenti dello Stato, e suscitasse quella moral dipendenza propria del beneficato verso il benefattore; non perciò sarebbersi avuti i beneficii militari. E per verità in tant'ordine d'amministrazione,

(1) P. Diacon. II. 9.

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