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l'esser suo. Superati i monti, ecco nel fondo d'ubertoso vallone apparir la ricca preda in guardia a gente sepolta nel sonno. L'avvicinarvisi, l'ammassarla, il portarsela via fu opera di gran silenzio e di poca fatica. Lo spuntar dell'aurora scoperse il gran furto a'paesani, che coll'armi a stormi accorsero su' passi de'predatori. E già pel sovrastare del nemico i saccomanni, usi a bottinare alla sicura, accennavano di fuggire; allorchè Guiscardo, squassando l'asta, si appalesa loro, e tanto fa colla voce e coll'esempio, che li rivolge addietro. I persecutori, urtati nella foga del correre, dapprima si ristettero incerti : poscia assaliti in quella che si credevano assalire altrui, ruppersi a fuggire, lasciando quasi senza contrasto ai vincitori, oltre il bottino già fatto, arme e corsieri. Così, da piè messisi a cavallo, i saccomanni s'affrettarono verso il castello; dove la guarnigione de' Normanni, inconsapevole del fatto, in gran tumulto e af fanno ricercava, il proprio duce, e avrebbe respinto per nemico lo stuolo de'venienti, se Guiscardo, spronato innanzi, non si fosse dato a conoscere, narrando poi fra le risa e gli applausi la lieta vicenda (1).

Un altro di chiama egli a colloquio sotto le mura di Bisignano Pietro Turra, ricchissimo di quella città ; e mentre a certa distanza di qua i Normanni, di là i cittadini stanno spettatori della conferenza, repente coglie il destro, afferra quell'uomo di forme smisurate a mezzo il corpo, e gittatoselo in ispalla si volge ai suoi. Allo strano caso Bisignanesi e Normanni accorsero verso Guiscardo, quelli per ritorgli, questi per

(1) Gaufr. Malat. I. 16. L'Yst. de li Norm. III, 9.

accertargli la ricca preda. Ma intanto che tra loro s'azzuffano, invano Pietro si sforza con piedi e con mani di svincolarsi dalle possenti braccia dell'avversario; il quale sempre più l'attanaglia, ed ora abbaruffandosi con lui e avvoltolandosi sul terreno, ora trascinandolo o sospingendolo alla meglio, tanto fa che se trae in sicuro (1). Del resto i Bisignanesi côlti alla sprovveduta furono di leggieri respinti dai Normanni preparati a ciò; e i denari del riscatto del dovizioso prigioniero agevolarono al Guiscardo i modi di costringere a tributo e servigio Cosenza, Bisignano, Martorano, insomma quasi tutta la Calabria citra (2). Fra queste venture il conte Umfredo morì, e Ro- A.1056 berto Guiscardo a forza aperta usurponne la successione al figliuolo Abailardo. Gli giunse allora di Normandia il fratello Ruggiero, giovane feroce, di bello e robusto aspetto, facile cogli amici, giocondo nel conversare, ma non men ritroso a sopportare i comandi altrui, che rigido a far eseguire i proprii. Mandato con 60 cavalli in Calabria a proseguirne la conquista, Ruggiero dapprima fe' centro alle sue scorrerie la vetta di alto giogo, d'onde scoprir tutta la campagna attorno; poscia, essendosi dilatati i suoi acquisti, elesse per sede il castello d'Incifola. Di costi la sua bravura, la sua fortuna sorsero a tale, che lo scaltro Guiscardo ne adombrò: ben tosto le calunnie degli avversi, gli esagerati parlari de' favorevoli, la grandezza medesima delle prede inviate dal giovane in dono al fratello, mutarono la gelosia in diffidenza,

(1) G. Malaterr. I. 17.- Leo. Ostiens. III. 16.

(2) Eo videlicet pacto, ut castra sua retinentes servitium tantummodo et tributum persolverent. G. Malat. I. 18.

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la diffidenza in persecuzione e la persecuzione in nimistà e lite. Al postutto Ruggiero gettossi per disperato in grembo all'altro suo fratello Guglielmo, che dominava nel Principato.

Ruppesi da questo istante un'acerbissima lotta tra i due famosi fratelli, or tacita, or palese, or quieta per tregue, or sanguinosa per guerresche fazioni. Nè l'eccellenza de'competitori importava poco a mantenerla accesa Ruggiero tutto impeto e audacia, e stante la piccolezza medesima delle sue forze difficilissimo ad espugnarsi: Guiscardo forte bensi e feroce, ma più maturo di senno; sicchè là, dove l'astuzia valeva, amasse meglio con essa accertare il successo. Però, se di fama e di denari e di potenza immensamente superiore, per questo appunto più vulnerabile: perchè come guardare si grande Stato in modo che Ruggiero, sopravvenendo a guisa di folgore, non trovasse strada ad offendere? E per altra parte come mai fermar costui, le cui vestigia or qua or là di repente apparivano, ed erano ceneri e saccheggi? Del resto entrambi ambiziosissimi: ma l'uno come giovane, ambiva solo d'acquistare e andar innanzi; l'altro, già provetto e potente, non badava tanto allo acquistare, quanto al non perdere. Pur in ambedue era un'occulta forza che li traeva ad unirsi: in Ruggiero bisogno ed affetto; in Guiscardo opportunità di valersi di quell'animo smisurato a smisurati disegni.

Ma prima che questa occulta forza acquistasse nerbo sufficiente a pacificarli, non breve tempo aveva a trascorrere, e in questo intervallo Ruggiero (come egli stesso ordinò di narrare a Goffredo Malaterra)

doveva scendere all' imo di ogni miseria per salir quindi all'apice dell'umana grandezza. In odio e terrore a tutti, Greci, Italiani, Normanni e Saraceni, così come da tutti ei ricevea guerra, a tutti la muovea; poichè od egli guerreggiava gli altri per sostentar se stesso, o gli altri guerreggiavano lui per propria difesa o vendetta. Il selvaggio ricetto della Scalea, rocca donatagli dal fratello Guglielmo, era poi il sito, ove i frutti della rapina, pane, greggie, arme, vesti, strami, suppellettili, sicuramente venivano trafugati. Né sdegnò egli talora aggirarsi sotto le mura di Melfi travestito col fido scudiero Blettivo per rubarne certi bei destrieri, o per lunga e disastrosa scorreria assaltare mercatanti, e col denaro depredato rifar la brigata venutagli a otto seguaci (1).

In conclusione Guiscardo, mirando sempre più A. 1050 crescere nel fratello la caparbietà, in se stesso il danno, calò ad un accordo, e cesse a Ruggiero la metà inferiore della Calabria, Allora mediante il costui aiuto espugnava Reggio, e, non veggendo altri ostacoli a'suoi desiderii, si faceva rinvestir dal papa non che di tutto il regno, anche della Sicilia; si faceva acclamar duca dall'esercito; stringeva nuovo e più alto maritaggio, e sterminava i signori Normanni ritrosi a obbedienza (2). E di questi sfoghi d'ambizione erano vittime i vecchi commilitoni suoi, la prima consorte rifiutata perchè di sangue non abbastanza illustre, e il nipote Abailardo, privo del paterno dominio, esule e tapino a Costantinopoli!

(1) G. Malat. I. 19-29.

(2) Leo. Ostiens. Chr. Cassin. L. III. c. 16.- Cardin. de Aragon. Vit. Rom. Pontif. p. 301 (R. I. S. t. III. p. 1).

VII.

Ma mentre Ruggiero sta in Calabria, tutto inteso A.1050 ad ordinarla a' proprii voleri, ecco presentarglisi certo emiro saraceno, che offeso perseguitato a morte da uno de'tanti capi, sotto i quali è smembrata la Sicilia, gliene propone la conquista, gliene mostra i modi, e gli si offre in soccorso. Il giovine condottiero per quell'anno si restrinse a pigliar notizie del paese, saccheggiando con 60 compagni i contorni di Messina. Ma l'anno seguente, intantochè A. 1061 Guiscardo aspetta sulla spiaggia calabrese il vento favorevole per dar le vele a grosso naviglio, e i Messinesi sulla spiaggia opposta s'allestiscono a battaglia, varca egli prestamente lo stretto su leggier barchereccio, approda di nascoso con 300 armati, assalta Messina vuota di difensori, e prima che il sappiano se ne rende padrone. Alla desiderata novella Guiscardo salpò da Reggio, e passando fra le navi nemiche dubbie ed atterrite, afferrò senz'ostacoli il lido siciliano. Quindi dalle forze congiunte de' due fratelli molte terre venivano occupate, e 15 mila Saraceni sconfitti in sanguinosa giornata (1). Così inauguravasi la nobile impresa della redenzione della Sicilia !

Se non che la vittoria rinfiammava nell' animo A. 1062 sospettoso del duca il mal soffocato livore verso il fratello. Aggiungevan materia allo sdegno sia la propria ritrosia ad adempiere le fattegli promesse, sia le feroci istanze del giovane cupidissimo d'imperio, a cui era pur vero che di tante terre sottomesse

(1) G. Malat. II. 1-18. L'Yst. de li Normant. V. 23.

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