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non prima immaginati. Dapprincipio le loro ragunate furono passeggiere con passeggieri scopi: di poi qualche ardito capo sorse qua e là a raggruppare in se stesso i voleri sparpagliati della turba guerriera, e consolidarne l'unione, e accertarne la riuscita. Mirò allora l'Italia terribilissime compagnie correre senza ostacoli le sue provincie, dar legge a' suoi Principi, e con imposizioni e rapine e tradimenti, or sotto il nome di amico, or di nemico, ogni cosa corrompere e rovinare.

Stranieri furono i primi capi, straniero il nerbo delle prime compagnie di ventura; posciachè quei signori, che avevano spento ne' Comuni libertà e milizia, verun'altra milizia nazionale non vi avevano surrogato. Solo alcuni individui, non so se più vili od audaci, or qua or là alla spicciolata trovavano modo di frammettersi alla soldatesca d'oltremonti, e sotto straniere insegne lacerare la propria patria.

Durò così l'altrui baldanza e la nostra oppressione per quasi mezzo un secolo. Finalmente un gentiluomo della Romagna ebbe cuore di rizzare una sua propria insegna, e bentosto, se non la fortuna, almeno l'onore dell'Italia da condottieri italiani fu rilevato.

generoso proposito d'Alberico da Barbiano, seguitato dal Broglia, da'Michelotti, dal Brandolino, venne a compimento per opera di Braccio da Montone e di Sforza Attendolo. Le costoro

scuole possedettero l'Italia per quasi un secolo; e in quell'intervallo essendo ne'condottieri cresciute al paro della fama le forze ed i desiderii, videsi per man loro smembrata or questa or quella contrada, usurpata ora questa ora quella città, ed uno di essi cingersi la corona ducale della Lombardia.

Verso la fine del xv secolo il risorgere della fanteria, le invasioni straniere, insomma lo svilupparsi della moderna civiltà sovvertirono le compagnie di ventura. La calata di Carlo VIII ne segnò la rovina. Ma questa rovina fu a gradi: per lo spazio di ben 40 anni ancora i Colonna, i Vitelli, i Medici, gli Orsini, i Gonzaga, i Baglioni continuarono a procacciare la vittoria a questo od a quello degli stranieri guerreggianti in Italia.

Per conseguenza la Storia delle Compagnie di ventura comprende essenzialmente le vicende d'Italia del XIV, del xv e di una parte del XVI secolo (A. 1300-1350): narra per proprio assunto lo stabilimento e i progressi delle signorie dei Visconti, degli Scaligeri, degli Estensi, de' Carraresi, de' Varani, de' Feltreschi; le discordie civili del regno di Napoli, gli acquisti de' Veneziani in terraferma, l'ingrandimento della casa Sforza, infine tutto il tempo trascorso dalla caduta dei Comuni a quella della nazionale indipendenza, allorchè nuove dominazioni e nuovi

popoli e nuovi costumi sorsero a mutare fra noi animo, intenti e fortuna.

Tale si presenta la storia delle compagnie di ventura a chi un po' da lontano la considera, innestata com'è nel corso generale della storia d'Italia. Ma a più profondi ammaestramenti può essa condurre, quando più intimamente se ne investighino le origini, la natura, le conseguenze.

Le compagnie di ventura non furono già in Italia, come altrove, un passaggiero sfogo di brutal forza. Per esempio la Francia molte ne nutrì, e per lungo tempo, e potentissime: ciò non di meno esse non furono altro che un quasi accidentale strumento od aggiunta di male: vi apparvero quando già esistevano le milizie feudali e dei Comuni; vi continuarono e caddero quando queste milizie duravano tuttavia. Colà adunque l'introduzione delle compagnie, se modificò in - alcuna parte le condizioni dello Stato, nulla ne cangiò quanto alla essenza. Al contrario in Italia le compagnie furono la vera, anzi l'unica sua milizia durante due secoli. Infatti quasi nel tempo stesso ch'esse apparivano, il governo a comune vi si spegneva, le milizie cittadine s'annientavano, ed ampie signorie s'ergevano sopra i distruggitivi studii di parte.

Ora è ben chiaro, che molto prima che questo risultato materiale avesse potuto venire affatto in luce, doveva esservi stato un certo tempo, in cui

delle compagnie non esistessero che rimote traccie, e il declinare de'Comuni fosse appena sensibile. A questo tempo conveniva che risalisse chiunque intendeva scoprire la parte realmente avuta dai mercenarii nell'accennato rivolgimento politico. Così ne' primordii delle compagnie stava riposta la soluzione del gravissimo problema sulle cause della declinazione dei Comuni italiani.

Qui la difficoltà consisteva soprattutto a misurare esattamente ciascuno dei successivi mutamenti accaduti nella milizia e negli ordini politici delle città: consisteva altresì nel definire i veri caratteri ed i reali progressi delle schiere di ventura. Ora le verità storiche in altro modo non si accertano, se non se scorrendo cronologicamente la serie de' fatti: il genio le travede quasi per impeto d'istinto; la ricerca analitica passo passo le discopre; la sintesi narrativa per inversa strada le espone alla pubblica considerazione. Però ogni nostro ragionamento sarebbe stato vacillante, finchè non fossimo partiti da una base d'invincibile evidenza. Questa base per quasi tutte le disamine profonde riguardanti il medio evo è e sarà sempre la invasione. Infatti negli ordinamenti sia civili sia militari de' Longobardi niuna orma troviamo di mercenarii, niuna di governo a comune. La invasione longobardica era adunque il vero punto di partenza, dal quale allontanandoci a mano a mano, eravamo certi d'incontrare per via

tutte le mutazioni sopravvenute nella pubblica esistenza. La fatica allora, che ci si parava dinanzi, era di scèverare da tutte queste mutazioni quelle sole opportune al proposito nostro, e di metterle in disparte: la cronologia le avrebbe di per se stessa senz'altro soccorso ordinate, e quell'ordine le avrebbe fecondate di vaste conseguenze. Cotesta fatica, ancorché enorme, come quella che induceva la necessità di svolgere gli innumerevoli fatti e tutte le instituzioni di otto secoli per ispiccarne qua e là poche e quasi impercettibili notizie, noi l'abbiamo tentata; e ne componemmo la parte principale della Introduzione alla nostra Storia.

Non dissimile lavoro occorreva rispetto alla decadenza delle compagnie di ventura. E per verità una instituzione che per due secoli regge i destini di una grande contrada e invade i più occulti aditi della pubblica e privata esistenza, non cessa a un tratto: come le sue origini sono lontane e molteplici, così lontane e molteplici le sue conseguenze. Qui prima di tutto bisognava fissare il punto preciso della caduta delle compagnie; e noi l'abbiamo determinato nel risorgimento delle milizie nazionali. Ciò posto, due vie restavano a battersi: imperciocchè altre vestigia lasciate dalle compagnie erano, per dir così, materiali, e riguardavano solo l'arte e l'amministrazione della guerra; altre erano molto più sottili, e riguardavano l'uomo e la nazione. Le prime si fecero

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