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onori e quindi l'imperio nelle città vicine, assumemmo a modo di esempio la storia degli Ezelini nella Marca Trivigiana. Queste cose formano la materia del quinto capitolo.

Conseguito una volta il supremo comando per forza o per arte, rimaneva a cotesti signori l'impresa di perpetuarlo. A tale effetto faceva mestieri di consolidare l'autorità ricevuta da'cittadini con forze diverse dalle loro, e di legalizzarla, almeno in apparenza, mediante un potere superiore al loro. A questo scopo mirarono eglino, assoggettando l'autorità usurpata, quale all'Impero, quale alla Chiesa od alla casa d'Angiò, facendosene dichiarare vicarii, e circondandosi delle schiere tedesche, francesi o catalane mandate in loro presidio da que' principi per conservazione del proprio nome (cap. vi). Le guardie sveve e angioine due mali arrecarono all'Italia: furono uno degli stromenti che vi distrussero il governo a comune e la sua milizia, e vi introdussero una moltitudine informe di venturieri. Di questi venturieri erano per comporsi i primi saggi delle compagnie.

Ma le guardie sveve ed angioine non erano la sola cagione che li generasse e li addestrasse alle armi. Quel medesimo spirito d'individualità venturiera (cap. VII), che dapprima s'era dato a divedere nelle invasioni e nella costituzione germani-. ca, e quindi si era potentemente manifestato nelle

crociate, negli scismi, ne' viaggi, nella mancanza di principii generali, sia speculativi, sia pratici; quel medesimo spirito gettava fuori della società un'infinita quantità di persone, che dalla natura de' tempi e dalle proprie condizioni erano indotte a impugnar l'armi primamente per difesa e necessità, poscia per utile e mestiero. Ciò nulla di meno questi individuali sforzi sarebbero forse restati privi di effetto, se quel principio d'associazione (cap. VIII), che già s'era svelato nella costituzione germanica e negli ordini feudali e cavallereschi, e poi s'era pienamente dimostrato nelle affratellanze religiose e religioso-militari, nelle eresie, nelle compagnie di commercio, di arti, d'armi e di fazione; se, diciamo, il principio d'associazione non li avesse riuniti, infondendo a tutti insieme quel nerbo che di per sè ciascuno non aveva. Il primo principio procreava i venturieri; il secondo era per restringerli in compagnie.

Queste cose si videro compiute verso il 1330; ma già de' coraggiosi difensori della Sicilia s'era formata la terribile schiera degli Almovari, che dopo avere servito per mercede l'impero d'Oriente, gli aveva rivolto contro le armi, e dopo averne devastato le provincie dal Tauro all'Emo, dall' Emo all' Acropoli di Atene, e portato gli incendii fin sotto Costantinopoli, aveva fondato nella Grecia una stabile dominazione. Il racconto di queste gesta romanzesche (cap. 1x) è come la

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riprova ed il riassunto delle materie trattate nella Introduzione alla storia delle compagnie di ventura.

Gli infelici sforzi di Firenze, di Padova e di Bologna contro i mercenarii di Uguccione, di Castruccio, di Cangrande e delle signorie ghibelline, consumarono quanto v'era tuttavia di vivo e di generoso nelle milizie de'Comuni (parte II. cap. 1). Quind'innanzi la sorte d'Italia è nelle mani dei venturieri (parte 1. cap. 1). Nel 1322 Siena mira sotto le sue mura la compagnia de' Tolomei: nel 1327 Pisa promulga gli ordinamenti intorno le masnade oltremontane a soldo; nel 1328 Lucca è presa e venduta da'Sassoni ribelli; nel 1334 le genti lasciate in Lombardia dal re di Boemia si accozzano nella compagnia della Colomba; cinque anni più tardi quella di S.Giorgio muove alla conquista di Milano. Dopo il 1339 poi la storia d'Italia è la storia delle compagnie; posciachè il guerreggiare è continuo, nè con altre armi si guerreggia che colle venturiere.

Dugento quindici anni (A. 1311-1526) comprende questa narrazione, proseguita sino alla morte di Giovanni de' Medici. Ma quelle bande nere, che da lui ricevettero ed alla memoria di lui procacciarono vita, non si spensero a un tratto. Le vide Napoli combattere sotto le sue mura nel campo francese; le vide Firenze a sua difesa affaticarsi dentro sotto il Colonna, e fuora sotto il Ferruccio. Caduta Firenze, il racconto delle ul

time imprese delle bande nere ne conduce entro le tumultuose vicende di Piero e di Leone e di Filippo Strozzi (A. 1527-1582). Con queste vicende e con quelle di alcuni de'più famosi capitani italiani di quel secolo ha termine la parte meramente narrativa del nostro lavoro.

Ma chi può prefinire esattamente il punto a cui s'arrestano gli effetti sia morali sia esterni d'una istituzione durata per secoli prepotentemente? I frutti delle grandi masse d'uomini e di fatti non si raccolgono sovente che in capo a grandi distanze di tempo. Nell'ultima parte del nostro lavoro ci siamo ingegnati di notare le conseguenze o vestigia lasciate dalle compagnie di ventura sia nella milizia, sia nel vivere civile o politico, e ne'secoli in cui esse dominarono, e in quelli dappoi. Però queste indagini sarebbero rimaste di troppo imperfette, se non ne avessimo soggiunto alcune altre sulle posteriori vicende di quello spirito di ventura e di associazione, che nelle compagnie aveva trovato un pienissimo sfogo. E questo ci apre l'adito a mostrare quasi di scôrcio la travagliosa esistenza dell'individuo italiano nel XVI e XVII secolo, allorquando, smarrita la dignità politica dell'Italia, solo qualche nobile ingegno fra mille venture mille contrasti compare tratto tratto a rilevarne il gran nome.

Tale è l'orditura di un'opera, che non senza timore presentiamo al Pubblico, considerando

tuttavia alle gravi fatiche e difficoltà delle quali era cinta. E primamente la estensione delle ricerche intorno ad un tema che chiama a disamina i fatti e le instituzioni comprese tra la rovina del romano impero e lo stabilimento delle odierne milizie: poscia la natura di esse ricerche, per le quali dovevansi abbracciare e gli ordini esteriori della milizia, e le costituzioni interne degli Stati, e le vicende de'capitani, e i progressi generali dei popoli. Perlochè ad ogni istante sei come costretto a passare dal grande al piccolo, dal generale al particolarissimo, dalla narrativa alla discussione. Quindi carte di pace e di alleanza, statuti, leggi, vite, epistolarii, storie municipali, storie generali, croniche, trattati militari, dissertazioni filologiche, mille elementi svariatissimi dovevano somministrare la suppellettile del laborioso edifizio. Aggiungi la difficoltà di raggruppare le sconnesse fazioni di cento compagnie o condottieri colla storia generale del paese: aggiungi quella naturalmente derivante dalla divisione molteplice della storia d'Italia: aggiungi la necessità di riunire in brevi volumi tutti cotesti elementi tanto sparsi, tanto poco maneggevoli, e di metterli sotto una forma non affatto sgradita. Poichè a qual pro la storia, se ai più inaccessibile? Queste cose diciamo, non per accrescere merito, ma solo affine di conciliare indulgenza a questo nostro lavoro, cominciato nella prima gioventù, nel silenzio di

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