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leggi, d'esempi e d'instituzioni per gettarsi nel frenetico turbine del dispotismo personale. Quindi continuo il temere, continuo il ricercar colpe, orrendo il punire. Si era cominciato dal vietare le armi da offesa, senza speciale licenza spedita dagli officiali sopracciò; bentosto si aggiunsero ordini severi intorno alla venuta ed alla partenza de' forestieri: che niuno s'attentasse a portare in città od a ricevervi lettere, se non bollate e lette prima da' magistrati; che il nome di qualsiasi forestiero appena giunto venisse denunciato; e stesse nell'arbitrio del podestà di arrestare e tormentare a sua posta i contravventori (1): che niuno s'appresentasse con armi alla presenza del principe: del resto guai a chi gli dispiacesse, guai a chi non rivelasse, guai a chi non gli obbedisse alla cieca !

Sotto cosiffatte dominazioni, qual altra cosa poteva desiderare l'individuo, se non se di concedere allo Stato la minor parte possibile di se medesimo? Quindi l'obblio stimato fortuna, e la diminuzione delle imposte bontà di principe; quasichè lo smungere poco, e non piuttosto lo spendere bene, costituisca la migliore finanza. Quindi altresì riputato a benefizio il venire dispensati dalla milizia. La bellicosa Bologna, posciachè, come raccontammo, fu venduta da Giovanni de' Pepoli a' Visconti di Milano, pervenne in Giovanni da Oleggio bastardo loro. Or che fece ella, allorchè il nuovo tiranno comandò che ognuno A.4354. recasse tutte le sue armi nella chiesa di s. Pietro,

(1) Statut. Favent. p. 772. segg. (Rer. Favent. Script.) Giulini, Contin. St. di Mil. L. LXXIII. p. 422.

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agli officiali deputati a riceverle? Tal fu la calca di chi s'affrettava a rassegnarle, che questi non la poterono comportare. E il tiranno, com'ebbe conosciuto gli uomini tornati peggio che pecore, li mandò all'esercito con mazze di legno in mano, e quivi imprestò ad essi le armi fino al compimento della spedizione: poscia fece pubblicare che chiunque il volesse, andrebbe esente dal servigio militare, purchè si riscattasse a tre lire di bolognini per ogni gita di quindici di; e la milizia di quella Bologna che sei lustri avanti aveva spiegato ne' campi di Monteveglio duemila e duecento cavalli, e trentamila pedoni, non fu quasi più veduta nelle battaglie (4).

Di già una risoluzione somigliante a quella di Giovanni da Oleggio era stata presa da Giovanni e da Luchino Visconti (2); Galeazzo, loro successore, ne A. 1356 perfezionò il concetto. Per costui comando i cittadini di Milano vennero sciolti affatto dall'obbligo della milizia, e quindinnanzi in contraccambio andarono soggetti alle spese delle barbute, degli uomini d'arme e delle fortificazioni, ed alla imposta del sale e de'fiorini. Pesava la prima di esse sopra ciascuna testa, e tanto era maggiore quanto più grossa la famiglia: l'altra, (1) M. Vill. IV. 12. VII. 81.-G. Vill. IX. 321.

(2) «Quinta lex fuit, quod populus ad bella non procedat, «sed domi vacet suis oneribus, quod hactenus male fuit serva«tum: quia omni anno et specialiter tempore messium et « vindemiarum, quo solent reges ad bella procedere, populus, «< relictis propriis artificiis, cum multo discrimine et multis « expensis, stabat super civitatum obsidiones: et innumerabilia <«< damna incurrebant, et præcipue quia nullo tempore in tali<< bus bellorum exercitiis occupantur. » Galv. Flamm. De Gest. Azon. p. 1042 (R. I. S. t. XII).

come tributo diretto, mirava più specialmente agli stabili, e più o meno era grave secondo la loro importanza.

Cosi sotto spezie di favorire in Milano l'ozio e la quiete alimentata dalle molte ricchezze, i Visconti fondarono sulla inermità de'sudditi la propria sicurezza; poichè e spogliarono delle armi i cittadini sempre non meno temuti che malcontenti, e col denaro raccoltone stipendiarono venturieri di molto più salda fede e bravura. Ma nel contado abbondante di persone e di viveri, e scarso per lo contrario di pecunia, l'obbligazione della milizia continuò ne'suoi officii meno nobili e più materiali. Designava il vicario del principe in caso di bisogno a ciaschedun Comune il numero delle carra, de' guastatori, dei fanti e delle armi, che da esso dovevano venire somministrate; e il Comune in ragione dell'imposta del sale e de' fiorini lo distribuiva tanto sopra i nobili, quanto sopra i plebei, emendando poi del proprio le carra e le bestie che si perdessero nella spedizione, ed assegnando per paga giornaliera venti soldi terzuoli ad ogni carro, cinque soldi ad ogni guastatore, ed a' fanti armati tre fiorini al mese. Le armi erano a carico di chi se ne serviva potevansi mettere cambii (1).

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Di questo modo il nerbo della guerra pervenne nelle mani de' mercenarii; ed i sudditi, quasichè nè braccia nè cuore avesseró più, si trovarono ridotti a null'altro che a pagare le imposte, aggiustare le strade, far le spianate, condurre le vittovaglie ed acconciare le for

(1) Antiqua Ducum Mediol. Decreta, p. 21. 22.➡ Chr. Placent. p. 501 (t. XVI).

tezze e custodirle. Ogni altra impresa i venturieri prezzolati dovevano fornire; e in loro arbitrio già stava di fornirla bene o male, con fede o slealtà; perchè nè interesse di cittadino, nè dovere di suddito conoscevano, e quando tutti insieme si fossero accordati ad eseguire qualsiasi divisamento, diventava naturalmente impossibile a' principi, non solo di castigarli, ma d'impedirli.

Ma i principi non furono i soli che dispensassero i sudditi dal servigio militare. Anche nei pochi Comuni rimasti liberi, posciachè i nobili stimoli, che avevano due secoli innanzi procurato onore e vittoria alle milizie cittadine, caddero coll'elevarsi dei mercenarii, il servire in guerra non fu più che di vano peso sia al pubblico, sia a' privati. Parve allora opportuno il partito di cancellare affatto le vestigia di quella obbligazione, ed augumentare la finanza mediante un corrispondente tributo. A questo intese, a questo provvide Firenze nel 1554. Sopra ogni centinaio d'estimo doveva il contado fornire cinque fanti, che servissero novanta giorni ogni anno: la repubblica ragguagliò cotesto servigio ad un tributo di dieci soldi per fante il dì, ossia a 4,500 soldi per cento lire d'estimo, e fissandone il pagamento in tre rate l'anno, dispensò dalle fazioni personali di guerra, eccetto caso straordinario (1). Guadagnocci il tesoro cinquantadue migliaia di fiorini l'anno; ma più tardi la repubblica si penti d'avere colle proprie mani distrutte quelle forze medesime, colle quali avrebbe potuto mantenersi intera e rispettata.

(1) M. Vill. II. 46.

Ciò nulla di meno rimase in quasi tutte le grosse terre il carico della propria custodia. Chiunque, sia dentro le mura, sia nel distretto, possedeva beni soggetti ad alcuna gravezza oppure del valsente almeno di sessanta soldi, era tenuto a compiere tanto le guardie delle porte (gayta), quanto lo scarguato o ronda notturna per le vie (scaraguaita). Il suono della campana maggiore avvisava dell'ora, in cui si entrava e si usciva di guardia. Lo scarguato era comandato da un capo detto in qualche sito guardiano, e seguitava la notte a girare per le strade, ricevendo ne' luoghi soliti dai soprastanti certi ferlini o contrassegni che poi restituivano il mattino. Così chiarivasi chi mancava o non usava diligenza. Agli infingardi nel venire, a' troppo affrettati nel partirne, a' dormigliosi nel montare la guardia, soprastava pena più o meno grave in denaro. Di coteste multe il delatore riceveva la quarta parte: potevasi però mandare altri in propria vece (1).

Questi ordini, come è facile immaginare, variavano alquanto da luogo a luogo: ma l'essenza loro era dovunque la stessa. In Ivrea era deputato sopra ciascun terziero un guardiano delle custodie: doveva essere cittadino, e avere d'estimo otto lire almeno: stava in officio sei mesi, nè poteva rientrarvi prima di un anno: tosto eletto, doveva descrivere tutti gli uomini del suo terziero atti a far la guardia: aveva di salario il di, quanto era il prezzo di una guardia. Se di notte succedeva alcun danno di furto o di rapina, nè lo scarguato del terziero ne sapeva dare buon conto, risarcivalo del proprio (2).

(1) Statut. Favent. §. 24 (Rer. Fav. Script.).

(2) Statut. Epored. p. 1153-1158 (Mon. hist. patr. leg.).

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