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fetta che gli sboccava ai piedi. Quivi s'ostinò il conte a pigliar battaglia, non ostante il parere di Arnaldo di Cervoles, che colla sua compagnia tutta crocesegnata militava ai soldi del re. Infatti mentre i regii attendono su per la china a rompere la prima schiera de' tardi venuti, si trovano a un tratto circondati e sconfitti (1). La strage e il bottino, che vi si fece sulla più chiara milizia di Francia, furono grandissimi. Allora la compagnia spartissi in due; e parte sotto il Badesol scelse per sua stanza Ause, d'onde disertò il Nivernese e Beaujaulese; parte guidata da un Bernardo della Sala si incamminò verso la Provenza. Per via espugnarono il castello di Santo Spirito, e chi per essi vi restò a guardia, assunse il titolo d'amico di Dio e nemico di tutto il mondo (2); quinci, cavalcando l'una e l'altra sponda del Rodano, s'approssimarono ad Avignone, ambita esca di tutti. Aveva il pontefice bandito contro di essi una crociata; ma questa tra per paura, tra per mancanza di denari essendosi in pochi giorni disciolta, niun altro argomento gli parve più opportuno al suo scampo, che di indurre il marchese di Monferrato ad assoldare la compagnia di Bernardo della Sala per servirsene nelle proprie guerre della Lombardia.

II.

Era appunto il tempo, nel quale il marchese, A. 1361 tradito da Anichino Bongarden e dal conte Lando,

(1) Froissart, Chr. t. I. ch. CCXV. -Sauvage, Annot. 88. De Zur-Lauben cit. sect. XV.

(2) Froissart, 1. cit. France, t. II. p. 602.

M. Vill. X. 27. - Daniel, Hist. de

trovavasi piucchè mai angustiato dalle armi di Bernabò e Galeazzo Visconti signori di Milano; laonde non è a domandare se la preghiera del pontefice gli giungesse gradita. Forniti di pecunia, e assolti d'ogni misfatto, calaronsi adunque pel contado di Nizza in Monferrato i depredatori della Provenza; né stettero guari ad imitarli alcune bande della compagnia bianca, che s'eranò poste trenta miglia sopra Avignone, e quelle pure capitanate dalla feroce contessa di Harcourt (1). Di tutti cotesti armati, che per avere militato sotto l'Inghilterra, o averne adottato la milizia, chiamavansi Inglesi, formossi allora una sola massa intitolata la Compagnia bianca, e un Alberto Sterz tedesco ne assunse il governo. Però l'ltalia udi con nuovo terrore nuove voci straniere elevarsi nelle sue battaglie; ed osservò non senza meraviglia guerrieri, cui nè freddo nè fatica pareva bastante a scoraggire. Costoro, narra un contem«poraneo, giovani tutti e per la maggior parte nati • e cresciuti nelle lunghe guerre tra Franceschi e Inglesi, caldi e vogliosi, usi agli omicidii ed alle rapine, erano correnti al ferro, poco avendo loro per«sone in calere. Ma nell'ordine delle guerre erano presti ed obbedienti ai loro maestri, tuttochè nel« l'alloggiarsi a campo per la disordinata baldanza e « ardire poco cauti si ponessero sparti e male ordinati, e in forma da lievemente ricevere da gente coraggiosa dannaggio e vergogna. Loro armadura quasi di tutti erano panzeroni, e davanti al petto un'anima d'acciaio, bracciali di ferro, cosciali e

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(1) Guichenon, Hist. généalog. L. II. p. 413. — M. Vill. X. 34. 36. 43. 55. 73. 82.

gamberuoli, daghe e spade sode, tutti con lancie ⚫ da posta, le quali scesi a piè volentieri usavano, e « ciascuno di loro aveva uno o due paggetti e tale

più, secondo ch'era possente. Come s'avieno cavato « l'arme di dosso, i detti paggetti di presente inten<devano a tenerle polite sì, che, quando comparivano « a zuffa, loro arme parevano specchi, e per tanto « erano più spaventevoli. Altri di loro erano arcieri, «e i loro archi erano di nasso e lunghi, e con essi ◄ erano presti e obbedienti e facevano buona prova. « Il modo del loro combattere in campo quasi sempre « era a piede, assegnando i cavalli ai paggi loro, le• gandosi in schiera quasi tonda, e li due prendieno « una lancia, a quello modo che con li spiedi s'a⚫ spetta il cinghiale, e così legati e stretti colle lan«cie basse a lenti passi si facieno contro ai nemici « con terribili strida, e duro era il poterli snodare. . E per quello se ne vide per la sperienza gente più «atta a cavalcare di notte e furare terre, che a tenere campo: felici più per la codardia di nostra gente, che per loro virtù. Scale avieno artificiose, « che il maggior pezzo era di tre scaglioni, e l'un ⚫ pezzo prendeva l'altro a modo della tromba, e con • essi sarebbono montati in su ogni alta torre. Ed eglino furono i primi che recarono in Italia il con« ducere la gente da cavallo sotto nome di lancie, « che in prima si conducevano sotto nome di barbute «o a bandiere » (1).

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(1) Filippo Villani, XL. 81.

Non diversamente li descrive P. Azario al lor primo apparire in Lombardia (Chr. Rer. It. Scr. t. XVI. p. 380). «< Anglici sunt « furatores excellentiores quibusque aliis praedatoribus Lom

Di questa foggia era ordinata la gente, che, quasi a fatal nunzio di sventura, mandavasi innanzi un orribile morbo, che dalle Alpi si estendeva con infinita strage per tutta la penisola (1). E pur troppo furono i fatti conformi al presagio. Cominciarono gli Inglesi dal sorprendere a Ciriè, dove a sollazzo s'interteneva, il conte di Savoia, e costringerlo a riscattarsi al prezzo di 180 mila fiorini: poscia avendo invaso in numero di duemila a cavallo il Novarese, tal crudeltà dierono a divedere nella presa di Siciano, che Galeazzo Visconti per minor male comandò che venissero sgombrate ed arse tutte le terre incapaci di far buona difesa. Arsero così di volontario incendio dodici castella, ma ben cinquantatrè ne ardeva e rovinava la feroce compagnia, stampando la contrada di orrende vestigia (2). Invano Galeazzo suddetto aveva messo in opera tutto il suo potere affine di opporre agli Inglesi

<< bardiae. De die plerumque dormiunt et de nocte vigilant. Et <«< habent talia studia et artificia ad terras capiendas, quod <«< nusquam aliqui visi fuerunt similes vel æquales.... Eorum << mos est, quum necessario habent in aperto dimicare, descen« dere ab equis armati ut plurimum sola diploide, vel plata << una ferrea super pectus, et capite ut plurimum decoperto << cum solo capo barbutae, et lanceis grandibus longissimo acu<< mine ferreo supra apposito se opponere. Et ut plurimum duo <«< utuntur unica lancea, et aliquando etiam tres, quia tam gra« vis et grossa est, quod nihil tangitur, quin perforétur. Post << tergum et ad partes posteriores gestant arcus. Pedestres tam <«<magnos et acutos arcus habent, quod ipsos figunt a testa <«< inferiori in terram, et trahendo magnas et longas sagittas << emittunt ».

(1) M. Vill. X. 64. 84.

(2) P. Azar. Chr. p. 380 (R. I. S. t. XVI). — Chron. Placent. p. 506 (t. XVI).

un doppio numero d'altri stipendiarii: invano per ammassare il denaro a quest'uopo aveva egli levato o sminuito o ritenuto le paghe ai pubblici officiali, e moltiplicato e aggravato le multe, ed alle condanne unito quasi sempre la confisca, ed o procurato o magnificato apposta la colpa: infami rimedii d'infami tempi! (1) Colpa della tirannide degli uni, delle discordie degli altri, a tale oramai era lo Stato, che i sudditi non per altro vi stavano che per soffrire, e le soldatesche non per altro che per ragunar ricchezze, e in sacchi recarsele, come testè avevano fatto gli Ungheri e il conte Lando, nelle patrie terre (2). Ond'è che per tutto quell'anno 1561 ed il seguente le pro- A.1362 vincie di Pavia, Novara, Tortona ed Alessandria senza veruna speranza di sollievo rimasero alla mercè parte delle masnade inglesi, parte delle viscontee segretamente accordate colle prime. In tanto sterminio felice chi di ferro moriva nel difendere col ferro il modesto abituro de' padri suoi! Chè vi era tra'vincitori chi aggiungeva alle torture l'insulto, all'insulto la vergogna; poi svergognati e straziati chiudeva per sempre in vortici di fuoco. V'era chi trascinava i miseri incatenati negli alloggiamenti, per isforzarli con una lunga serie di tormenti a rivelare supposti tesori; e cavalcando li lasciava tra ceppi, e andando altrove se li traeva seco, quasi bestie da macello, e li martoriava per bizzarria, e li uccideva come bruti. Insomma (e il diremo noi?) i fossi del castello di Vigone videro divorati vivi dai cani gli sformati tronchi di tre Ca

(1) P. Azar. Chr. p. 404. 405.

(2) P. Azar. Chr. 403. E.

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