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I. Stato dell'Italia verso il 1378. Sorgimento dei condottieri italiani. Alberico da Barbiano forma la compagnia di S. Giorgio: e va contro i Brettoni. Sua vittoria di Marino. Suo trionfo.

II. Origine e vicende della compagnia italiana della Stella.Il conte Lando, Giovanni Acuto e il Barbiano nella Toscana, Romagna e Puglia. — La compagnia dell'Uncino.

III. Le compagnie italiane rampollano. Fatti di Giovanni degli Ubaldini. - I condottieri nella guerra della Lombardia. I Brettoni, gli Inglesi e gli Italiani nell'Umbria. Morte dell'Ubaldini.

IV. Guerra di Firenze contro il Visconti. Calata e sconfitta dell'Armagnach. Famosa ritirata dell'Acuto.

V. La nuova compagnia di S. Giorgio. Uccisione, vendetta e funerali di Boldrino da Panigale.—Ultimi fatti e morte di Giovanni Acuto.

VI. I condottieri sono inviati da un principe contro l'altro. Gran fellonia di Giovanni da Barbiano. Di lui supplizio, e morte di Biordo e Broglia. — Gli Italiani vincono i Tedeschi. Morte di Gian Galeazzo Visconti.

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Grandissimi fatti seguitavano tosto all'eccidio di Cesena, e tali, che tutta Italia e gran parte d'Europa ne ricevevano mutamento. Morto nel marzo del 1578 il papa Gregorio xi, gli aspri modi e le mal taciute minaccie del suo successore Urbano vi commuovevano i cardinali francesi a congregarsi in Fondi, ricusargli obbedienza, e proclamarlo scaduto dal trono, da lui (aggiungevano) mal acquistato e peggio retto. Quindi eleggevano antipapa sotto il nome di Clemente VII quel medesimo Roberto di Ginevra, zoppo e guercio, che ancora stillava del sangue della tradita Cesena. Da ciò un lunghissimo e miserabile șcisma proveniva ; il quale, smembrando per 59 anni in più fazioni tutta la cristianità, scioglieva l'unico vincolo, che avrebbe potuto tenere insieme le molte provincie d'Italia varie di suolo, di governo, e d'intenti.

Frattanto pel possesso di Tenedo i Genovesi ed i Veneziani rompevansi quella guerra fatale, che era per ridurre i vinti in servaggio, i vincitori in rovina; e mentrechè, pigliando la signoria di mezzo il dominio di Milano, Gian Galeazzo Visconti apparecchiava le

frodi per insignorirsi del rimanente, e poscia minacciare l'Italia colle armi e cogli inganni insieme mescolati, rumoreggiava Firenze di sanguinose discordie. Tratti dalla smania di liberarsi dalla oppressione quella di opprimere, guelfi e ghibellini, nobili e popolani, popolani e plebei venivanvi tra loro a contesa, e trabalzandosi dagli uni agli altri il supremo potere addoppiavano sopra alle ingiurie ed agli esigli il sacco e le stragi.

Del resto Pisa, Lucca, Siena e Perugia, tuttodi lacerate dalle fazioni, tuttodi taglieggiate daʼventurieri, tanto di libertà ancora possedevano quanto sarebbe bastato per farla odiare coll'aspetto de' mali che essa o tollerava o partoriva. I principi di Lombardia, mal sicuri dentro, combattuti al di fuori, guardavano con tema alla strapotenza de'Visconti ed alle ambizioni dei legati della Chiesa; e già i Carraresi signori di Padova, e gli Scaligeri signori di Verona, per quanto nemici tra loro, potevansi presagire prossimo ed ugual fine. Quetava il regno di Napoli da guerre esterne: ma nelle sue viscere era per lo contrario acerbissimamente travagliato dai pessimi portamenti della vecchia regina Giovanna 1, e dalle insolenze baronali. Poi sovrastava la vendetta, sebben tarda, della uccisione dell'innocente Andrea, e Carlo di Durazzo dalla lontana Ungheria ne apparecchiava gli stromenti.

Fra questa bufera di più tremendo avvenire raggiravansi le compagnie straniere di ventura, e sorgeva la nuova milizia italiana.

Posciachè da una parte il mal procedere de' mercenarii stranieri ebbe provato quanto fosse grande il

pericolo, e quanto poco il vantaggio dell'adoperarli, e dall'altra parte le disfatte di Parabiago, delle Scalelle e delle Mosche ebbero dato a divedere che non erano essi invincibili, e che il loro furore là solo si estendeva dove non trovava ostacoli, di ragione avrebbero i principi dovuto pensare a liberarsi dall'indegno giogo, ricreando le nazionali milizie. Ma la generosa impresa richiedeva fermezza di instituzioni, magnanimità di principe, affetto e fortezza di sudditi. Ora di tutto ciò nulla esisteva. Non mai alle nuove signorie era bastato il tempo od il coraggio per cancellare affatto le antiche forme di governo, e rifonderle colle nuove in un sol corpo. Nella medesima città, dove un Bernabò Visconti tanto padroneggiava da far castrare o gettare in pasto a'cani chi egli voleva, accanto ai consiglieri, ai favoriti ed ai cagnotti del sire, stavano ancora in piè le antiche dignità della spenta repubblica, il podestà, il capitano, il consiglio, i consoli de' mercanti, vani simulacri di cosa morta. Di qui proveniva per que' principi la necessità di sovvenire alla conservazione dello Stato con altri mezzi che coi proprii naturali: perchè servirsi delle antiche instituzioni per assecurare le recenti non volevano, e sarebbe stato assurdo; servirsi delle nuove non riputavano conveniente, per non tentarne l'efficacia, primachè esse non fossero ben bene rassodate. Ciò posto, sarebbe stato quasi impossibile di sostituire italiane milizie alle straniere di ventura, se l'accorgimento e il valore de' privati non avesse sopperito all'ignavia de' principi.

Proprio degli Italiani è aprirsi incognite vie, o nelle appena conosciute arditamente entrare, e, tras

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