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correndo gli spazii già trovati, a nuove cose con gigantesco animo salire. Non appena la sorte dell'Italia stette nelle compagnie oltramontane, che il vivere di ventura venne in desiderio per sete di guadagno alla plebe, per sete di guadagno e d'imperio ai gentiluomini. Però, non peritandosi ancora ad assumere sulle proprie spalle tutta un'impresá, chi di loro s'acconciava partitamente ai servigi di questo o di quel signore, chi s'intrometteva nelle compagnie straniere, dove la ribaldaglia era tutta italiana e dal mestiere di saccardo levavasi via via a quello di fante ben armato od anche di cavaliero. Quivi adunque gli Italiani mescolati alle barbute tedesche oppure alle lancie inglesi apparavano da garzoncelli la milizia, e senza proprio nome pigliavano parte nelle malnate loro fazioni; quivi riunivansi tacitamente in bande venturiere di fanti e di balestrieri. Nè solo in Italia ma in quella Francia, donde erano venute le compagnie bianche e le brettone, quanti erano mai i giovani italiani, che cupidi di fama e di ricchezze vi ́si affaticavano nel mestiere del soldo! (1) Insomma a tal punto era arrivata la cosa, che già verso il 1575 Nicola e Pietro e Ranuccio da Farnese, e Rodolfo da Camerino, e Luchino dal Verme, ed i figliuoli di Castruccio, e i Malatesta, e gli Ubaldini servivano già chi con cento, chi con cinquanta lancie gli Stati d'ltalia. Restava che un condottiero italiano raccogliesse tutti questi sforzi parziali in un solo, e volgendoli in giusta battaglia contro le compagnie straniere, dimostrasse colla vittoria, che in Italia erano armi pro

(1) Nel 1362 il re di Francia assediava Calais con 1500 cavalli e 3000 fanti quasi tutti Lombardi. M. Vill. III. 25.

prie per numero e per valore sufficienti. Quest'opera fu compita da Alberico da Barbiano.

Giovinetto di 28 anni, colla fama di un animo invitto e generoso, e colla potenza ricavata dai proprii dominii di Cunio, Lugo, Barbiano e Zagonara in Romagna, aveva egli rizzato bandiera di ventura (4). Componevano l'egregia brigata amici e coetanei di lui, sudditi affezionati e uomini scelti delle masnade, esperti guerrieri, insomma il fiore della gioventù di quella bellicosa contrada: nè Guido d'Asciano vi mancava, il prode vincitore dei Brettoni nel certame di Bologna (2). Dapprima il numero di tutti costoro fu di 200 lancie, e con esse Alberico servi la Chiesa e cooperò suo malgrado alla distruzione di Cesena. Poscia, essendosi avviato verso la Lombardia a'servigi de' Visconti, crebbe la schiera ad 800 lancie, vi prepose per maresciallo Francesco da Coreggio, e la intitolò Compagnia di S. Giorgio. Corse poi fama presso ai posteri, che per deliberazione espressa di Alberico niuno che italiano non fosse poteva venire accettato sotto i suoi stendardi, ed anzi ognuno prima d'entrarvi doveva giurare odio ed inimicizia immortale verso gli stranieri (3).

Del resto la lega de'signori di Lombardia aveva elevato grandissimi ostacoli per impedire ad Alberico da Barbiano di soccorrere i Visconti. Però,

(1) Ghirardacci, St. di Bol. L. XXV. 361.- Cron. misc. di Bol. p. 510 (t. XVIII).—Cron. Riminese, p. 921 (t. XV). (2) Dall' Archivio delle Riformaz. in Firenze, cl. XIII. dist. II. n. 11. f. 10.

(3) Barellii, de Alberico cognom. Magno, nota 28 (Milano, 1782).

mentre egli invano si studia di spuntare Verona, e di qua e di là si dibatte per procedere avanti, eccogli frequenti messi e calde lettere di papa Urbano, che lo scongiura di tornare addietro, a difensione della Chiesa, a difensione dell'Italia, contro i Brettoni, che postisi agli stipendii de' cardinali scismatici, hanno disertato Bolsena, rotto i Romani in battaglia, e già s'accingono ad innalzare per forza sulla cattedra di s. Pietro l'antipapa Clemente (4).

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Infiammavano il condottiero all'opera generosa nobili sensi di amor patrio, sdegno delle nefandezze straniere, fuoco di gioventù, desiderio di gloria, e le preghiere e le esortazioni di quella vergine magnanima, che già aveva confortato l'Acuto ad altra santa spedizione. In questo fatto non si può altro. scriveva ella ad Alberico e agli altri capitani « che guadagnare o viva o muoia; se morite, guadagnate • vita eterna, e siete posti in luogo sicuro e stabile; «e se campate, avete fatto sacrificio di voi a Dio vo« lontariamente, e la sostanzia potrete tenere con ⚫ buona coscienza................ Ora è il tempo de'martiri « novelli: voi siete i primi che avete dato il sangue: quanto è il frutto che voi riceverete? È vita eterna, che è un frutto infinito. E che sono tutte queste fatiche a rispetto di quel sommo bene? ..... » Poi li avverte a preparare l'animo mediante i sacramenti, e a non bramare tanto la roba, che essa diventi impedimento al vincere. « Sapete che per questo molti « ne son rimasi perdenti; e però la verità vuole, che « acciò che questo caso non divenga a voi, voi il di

(1) Cron. di Pisa, p. 1074. — Cro. Sanese, 259. — Annal. Mediol. 772 (t. XVI). Cron. misc. di Bol. 520,

«ciate e facciatene avvisati gli altri, che sono sotto la vostra governazione..... Faremo come Moisè, « che il popolo combatteva e Moisè orava, e mentre« che egli orava, il popolo vinceva. Così faremo noi, « purchè la nostra orazione gli sia grata e piacevole. « Piacciavi di leggere questa lettera almeno voi e gli « altri caporali. Gesù dolce! Gesù amore! » (1).

A questi annunzii, a queste supplicazioni, Alberico abbandonava senza indugio le imprese di Lombardia, e deliberato a cimentare la prima volta contro gli stranieri una compagnia tutta italiana, recavasi in fretta verso Roma. Nè così tosto vi ebbe ricevuto dalle mani dell'atterrito Urbano il vessillo e la papale benedizione, ch'escì dalle mura a ingaggiare battaglia, seguitato lunga pezza per istrada da gran folla di popolo incerto e silenzioso tra speranza e timore.

Giunto a Marino dodici miglia da Roma a vista dei nemici, Alberico, veggendo il sole presso al tramonto e le genti affaticate dal cammino, le accampò in ordine di battaglia a cielo scoperto. Al primo spuntare dell'aurora le distribui in due schiere, l'una sotto di sè, l'altra sotto di Galeazzo de' Pepoli, e fatto dare fiato alle trombe con bellissima disposizione le avviò al combattimento. Dalla loro parte già s'erano mossi ad 28 aprile incontrarlo i Brettoni, guidati in tre squadroni da Piero di Sagra, Bernardo della Sala e monsignor di Mongioia: sicchè in breve lo spazio tra i due eserciti scompari. Pugnavano per gli stranieri numero, esperienza, fama, disciplina e qualità delle armi; pugna

(1) S. Caterina cit. lett. 219. — La data precisa di questa lettera è un po' incerta. Noi la crediamo scritta dopo qualche scaramuccia antecedente alla battaglia di Marino.

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vano per gli Italiani giusta causa, buon volere, e risoluzione di vincere non per se stessi, ma per una patria. Nè la fortuna negò corona di vittoria al generoso proposito. Il primo ad assalire fu Piero di Sagra. Questi investi con tale impeto la squadra del Pepoli, che essa dopo avere alquanto balenato si disordinò ma tosto alle riscosse sopraggiungeva il Barbiano, che, riurtando ferocemente il Sagra, lo sgominava e faceva prigione, e, rotto quindi e trapassato anche il secondo squadrone, rovesciavasi per ultimo su quello comandato dal Mongioia. Aspra tenzone fu quivi combattuta; avvegnachè tutto il risultato della zuffa, anzi pure le sorti dell'italica civiltà, anzi, per così dire, quelle del cristianesimo vi fossero raccolte. Alla fine il senno di Alberico, la costanza, e il coraggio della compagnia di S. Giorgio restarono superiori alla brutale bravura de' Brettoni. Dopo cinque ore di ostinata battaglia, Alberico si rivolse a Roma trionfante e lieto, quantunque pur nell'ebbrezza della vittoria non egli certo s'avvedesse d'avere a Ma› rino posto radice a una nuova e nazionale milizia (1).

Quella grande città, che da tanti secoli non aveva festeggiato che la vanitosa pompa di principi stranieri od anche nemici, esultò questa volta di propria gloria e vantaggio, mirando passarsi dinanzi i vincitori scintillanti di gioia, e trascinantisi dietro le conquistate

(1) A. Gataro, St. Padov. 277 (t. XVII). — Chron. Estens. 503 (t. XV). -Cron. Sanese, 263. - Cron. Riminese, 920. Ghirardacci, XXV. 378. — Ann. Foroliv. 190 (t. XXII). — Raynald. Ann. Eccles. A. 1379. §. 24. 25. Collenuccio, Compendio della St. di Napoli, L. V. - Barellii, de Alberico ru cogrom. Magno Note (Milano 1782).

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