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condottieri stranieri, o se primo degli italiani, primo fu le cui fazioni militari con certa scienza si disegnassero e compissero. Tennergli poi dietro Braccio, Sforza, e le due scuole.

Ma queste cagioni medesime, che avevano rese le compagnie italiane di tanto superiori alle straniere, le avevano pur rese di molto maggiore pericolo ai principi che le assoldavano. Nelle compagnie straniere le tempestose voci di una feroce moltitudine additavano ai capi, come ultimo scopo, preda e godimenti: conseguito questo scopo, altro desiderio più non rimaneva, che di nuova preda e di nuovi godimenti; nè i capi, stante la ristrettezza della loro autorità, si sarebbero, se non indarno, accinti ad una propria e più diuturna impresa. Ma nelle compagnie italiane il comando trasmettevasi di padre in figlio; onde il condottiero, potendo a suo agio proseguire l'intento che gli pareva, dapprima colla rapina s'acquistava ricchezze, poscia colle ricchezze si acquistava potenza, da ultimo saliva ad ambire ed a procurarsi il principato.

Dal servire in guerra allo spogliare in pace il passaggio è più facile che altri nol pensi, quando si milita, non per dovere naturale di cittadino, ma per ufficio prezzolato di venturiero. Se le armi fossero allora state, come di ragione, nelle mani dei sudditi, in una sola maniera (oltre il caso di guerra esterna) avrebbero que' principi potuto perdere lo Stato, cioè per rivolta al contrario essendo le armi in balia dei mercenarii, oltre la rivolta de'sudditi, doveano i principi temere la insolenza e la infedeltà de' soldati. Ned altro riparo trovavano a questo male, fuorchè

coll' assoldare parecchie compagnie, e più piccole al possibile (1), col premiarle assai, e mediante la mutua gelosia tenerne desta la disciplina e l'emulazione. Pure tutte coteste astuzie erano per giovare a nulla, ogniqualvolta i capi delle compagnie si fossero uniti in un proposito, oppure, rotto il vincolo comune, ciascuno si fosse messo a correre dietro ai proprii disegni, o si fossero tutti insieme accordati col nemico esterno o colle fazioni intestine, oppure si fossero provati a sospingere i sudditi oppressi contro il signore inerme ed odiato, o ad elevare tirannide dentro tirannide, e principato su principato. A questo termine adunque di miseria erano pervenuti coloro, che sotto falsa lusinga di maggiore sicurezza avevano allontanato i sudditi dalla milizia ed aperto le viscere dello Stato a uomini di doppia fede, di voglie grandi, e, attesa l'universal corruttela, onnipotenti. Quali frutti se ne dovessero aspettare, il mostrò Milano sul principio del XV secolo.

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(1) Tra i ricordi lasciati nel 1420 da Gino Capponi al suo figliuolo, si trovano questi : « Guardisi chi ama il Comune « dalle gran condutte e dalle soperchie spese....: non si dia << mai gran condutta o mezzana a nessuno cittadino, nè a signore vicino, se la necessità non lo stringe. Le battaglie campali « non fanno per nessun modo per la comunità nostra; perchè «gli uomini d'arme sono fatti come le pecore: e però è da <«< volere vincere col tempo, e non con la ventura in un pun<«< to..... L'assedio di città o terre grosse, è troppo pericoloso l'acquisto che se ne spera. ... » p. 1149 (R. I. S. t. XVIII).

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II.

Non mai dall'imperatore Federico Barbarossa in poi erasi veduta nell'alta Italia veruna potenza somigliante a quella, che Gian Galeazzo Visconti aveva lasciato al suo morire. Tutta la Lombardia (tranne Padova, Modena, e Mantova) dalle Alpi all'Adriatico, e di giunta, Siena, Perugia, Assisi, Bologna, Pisa e la Lunigiana; ventimila fanti e altrettanti cavalli, abbondantissime munizioni, vaste fortezze, l'Italia piena del suo nome, ed a sostegno di tanta mole i più famosi capitani del secolo, Alberico da Barbiano gran conestabile del regno di Napoli, lacopo del Verme il vincitore dell'Armagnach, Ugolotto Biancardo, Ottobuono Terzo, Galeazzo da Mantova, Antonio e Galeazzo Porro, Gabrino Fondulo e Facino Cane, l'uno cremonese, l'altro di Casale Monferrato, entrambi saliti dagli ultimi a'supremi gradi della milizia con somma audacia e scaltrezza impareggiabile (1). Oltre a

(1) Era Facino nato in Casal Monferrato (a) da un Emanuele del borgo S. Martino dell'antica stirpe de’Cani. Aveva portato le prime armi sotto Ottone di Brunswick, allora governatore di quella contrada; quindi prese stipendio presso i A. 387 signori di Verona e combattè alla battaglia del Castagnaro: rimastovi prigioniero, si rivolse a servire i vincitori e con pari coraggio che efferatezza militò a nome dei Carraresi nella guerra del Friuli. Quindi si fece soldato del Visconti, e con tal animo sovvenne il marchese di Monferrato nella sua guerra A. 1398 contro i principi di Savoia, che il marchese per premio gli infeudò il borgo di S. Martino, ed il Visconti gli concesse la condotta di 200 lancie. Con questa soldatesca Facino nel di

(a) Questo si prova dall'autentico documento riportato alla nota XV.

ciò la successione dello Stato era accertata nelle persone di Giovanni e di Filippo Maria figliuoli di Gian Galeazzo Visconti e da lui dichiarati suoi eredi, l'uno nella signoria di Milano, l'altro in quella di Pavia. Ciò nulla ostante, questo colosso di potere, che dalle Alpi Leponzie e Giulie stendeva la sua ombra sino sotto di Roma, trascorsi pochi mesi dalla morte di chi l'aveva elevato, andava rotto a frantumi.

-1407

Infatti era appena Gian Galeazzo mancato di vita, A.1402 che le città del suo dominio state fin allora tranquille per forza, gettavansi di collo l'odiato giogo, e dovunque sotto colore o di odii antichi, o di fazioni moderne, o di carità verso il principe, la rivolta scoppiava. Qua era la schiatta dei Rossi, che fra gli inganni ed i saccheggi conduceva i nemici fin sotto le mura di Parma: colà erano i Guelfi, che scacciavano da Crema i Ghibellini affine di usurparvi il supremo potere; e mentre i Sacchi si insignorivano di Bellinzona, ed Ugo Cavalcabò si impadroniva di Cremona, ed i Rusconi occupavano Como e le sponde del suo lago, in Berga

cembre del 1399 occupò Caluso, scalò Settimo Rotario e spinse il guasto e l'incendio fino dentro i sobborghi di Ivrea. Ne consegui perciò tale stima appo il Visconti, che questi il giudicò degno di confidargli il governo di Bologna allora allora conquistata. Quivi con ingannevoli, avari ed atroci modi Facino si mantenne alcun tempo contro gli odii intestini e le armi pontificie; finchè, morto il duca, ricevè l'ordine di uscirne. Cedette allora la città all'esercito della Chiesa; ma perchè novemb. temeva di venirne molestato alle spalle, se le assicurò incendiando 300 case (b).

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- A.

(b) Cron. misc. di Bol. 580. — Minerbetti, p. 483. 476. de Billiis, II. 31. — Gataro, St. Padov. 536. 546. 581. — Te¤1velli (Biografia Piemont.), Vita di Facino.

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mo i Soardi, in Piacenza gli Scotti e gli Anguissola, a volta vinti a volta vincenti, contendevansene la supremazia; ei Vistarini in Lodi venivano arsi nelle proprie case, e gli Scaligeri rientravano in Verona con Carlo Visconti, e Siena ed Alessandria si rivendicavano furiosamente in libertà. In breve giunse la cosa al segno, che Brescia inorridi per carni umane vendute sui banchi de'macellai; e fin dentro di Milano, nella reggia, sotto gli occhi del giovane duca Giovanni Maria, l'abate di s. Ambrogio venne spietatamente ammazzato (1).

Ora contro a questi disordini di qual riparo erano eglino i famosi condottieri, con tant'oro, con tanti onori ricercati e intrattenuti dal morto Duca? Nei medesimi giorni, nei quali il primogenito di lui Giovanni Maria riceveva Milano in divozione, Facino Cane con 500 lancie desolava i territorii di Parma, di Pavia, di Piacenza, di Cremona e di Alessandria: indi a non guari Alberico da Barbiano non solo abbandonava i servigi di Milano, ma d'accordo col papa e coi Fiorentini sforzava la vedova duchessa, nelle cui mani era rimasta la reggenza dello Stato, a cedere al pontefice le città di Assisi e di Bologna: nel me desimo tempo Antonio e Galeazzo Porro di lei condottieri la tenevano in castello come prigioniera, e la sospingevano alla necessità di tramare la congiura e l'assassinio contro i proprii ministri. Bentosto Pandolfo Malatesta occupava a proprio nome Monza, e, perduta Monza, Brescia; Ottobuon Terzo assoggettavasi Parma e Reggio; Giorgio Benzoni s' impadroniva di Crema, Giovanni da Vignate di Lodi, e Gabrino Fondulo di Cre

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