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e del Guarnieri a Parabiago. Proveniva costui dalla schiatta di certo Paganino, che nel 1313 non aveva temuto di rapire armata mano il tesoro della Chiesa; schiatta indocile, fomentatrice d'odii e di fazioni, che si valeva delle sue forze del contado per usurpare dentro le città il comando, o per turbarlo a chi ve lo avesse usurpato. Ad Ettore, sovente esule, sovente esigliatore, sempre coll'arme in pugno contro a cittadini o estranei, il partito più utile era sempre parso il migliore. Dopo avere nell'anno 1529 governato Modena a nome della Chiesa, vi era entrato come vicario dell'impero; poscia congiurava di sottrarre Parma dalla dominazione del papa (1) : quindi bandito da Bologna, scomunicato, perseguíto a morte dal legato pontificio, militava sotto Mastino della Scala contro la lega: da ultimo aveva guerreggiato sotto Azzo Visconti contro la compagnia di s. Giorgio (2): ora si faceva condottiero d'una compagnia fornita in gran parte di genti da lui medesimo già vinte e disperse.

Ma se ad Ettore, attesa la soverchia ambizione, l'oprare il male era mezzo, a Mazarello da Cusano era fine. Già reo d'avere ucciso di sua mano sul mercato di Monteveglio tre figliuoletti del proprio fratello, aveva egli riunito nelle sue castella della montagna di Bologna tutti i nemici della patria per tribolarla e impadronirsene. Oppresso dal numero, cedette le castella al Comune; militò co' suoi compa

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(2) Gazata, Chr. Regiens, p. 49 D (R. I. S. t, XVIII).

gni ai soldi di Milano, poscia a que' di Pisa; ora era disposto a far guerra a tutto il mondo (1).

Tali erano i primi capi della gran compagnia : quali fossero i minori è facile argomentare. L'Urslingen nella sfrenatezza della sua ferocia portava sul petto lettere d'argento che dicevano: Duca Guarnieri, signore della gran compagnia, nimico di Dio, di pietà e di misericordia». Ad ogni passo, donne, soldati, ragazzi, il più vil seme d'Italia aumentavano la schiera; ad ogni passo cresceva colla grandezza de' guasti lo spavento de' popoli; giusta poi lo spavento si calcolava il numero di coloro che l'arrecavano. Certo è che, non computati i fanti e la bordaglia, erano nella gran compagnia ben tremila barbute; gran numero, se si pensa che appartenevano a una masnada di ventura, piccolo, se si considera che si avviavano a guerreggiare tutta l'Italia.

Guidati da Francesco Ordelaffi signore di Cesena, i venturieri della gran compagnia traversarono adunque la Toscana, disertarono Valdambra e Valdichiana, costrinsero Siena e Perugia a ricomperarsi a caro prezzo, e sempre più ingrossando per nuovi seguaci si rovesciarono in Romagna col fine di farvi vergogna a Malatesta signor di Rimini, che nella guerra di Lucca aveva capitanato contro Pisa l'esercito fiorentino. A ciò oltre l'avarizia loro propria, erano i venturieri stati indotti dai denari e dalle istanze dei Pisani, cupidi di pigliare sopra i deboli quelle soddisfazioni, che sopra i potenti non avevano potuto.

(1) Matth. de Griffonib. p. 163 (R. I. S. t. XVIII). — Cron. Miscell, di Bol. 367. 377.

7 ottobre

1342

Senonché il Malatesta, essendo ito cortesemente incontro alla compagnia, con tali parole e doni la seppe accogliere, che non solo ne fu risparmiato; ma anzi per certa somma di denaro si fece aiutare da essa a racquistar Fano rubellatasegli in que' tumulti. Di colà la gran compagnia proseguiva il viaggio verso Imola e Bologna.

V.

Presaghi di questa mossa i signori di Ferrara, di Bologna e di Ravenna, ei Comuni d'Imola e di Faenza s'erano stretti in alleanza, per istornarla da loro. A questo fine tutta la milizia di Bologna era stata convocata alle armi, e s'erano messi insieme 2700 cavalli stipendiarii, e la sponda sinistra del Lamone da Faenza in giù per otto miglia era stata guernita di roste (1), e dietro ad esse s'erano distese le schiere mercenarie, e le milizie di due quartieri di Bologna (2). Ributtata da questi insuperabili ostacoli, la gran compagnia si ristette: ma tosto Ettore da Panigo fece disegno di sorprendere i nemici alle spalle, e aprirsi ad ogni modo la strada per insignorirsi di Bologna. In effetto, presi appena seco alcuni fuorusciti compagni suoi, partesi con grande segretezza dagli alloggiamenti; nè così tosto è arrivato per la via del mare in Lombardia, che vola a Ve

(1) Erano pali ficcati nel suolo colla punta aguzza in su per impedir l'adito alla cavalleria. Il terreno così munito dicevasi arrostato, ed arrostare l'operazione del munirlo.

(2) Ghirardacci, St. di Bologna L. XXII. p. 162. 163. Cron, Miscell. cit.

rona ed

Milano a richiedere d'aiuto Mastino della Scala e Luchino Visconti. Impetratene 200 barbute, senza indugio avviossi con esse verso la Romagna.

Sperava di trovare il nemico così mal custodito alle spalle, com'era ben guardato alla fronte. Ma la realtà rimase troppo contraria all'espettativa: quelle medesime roste, che impedivano al duca Guarnieri di inoltrarsi dalla Romagna in Lombardia, impedirono al Panigo di passare dalla Lombardia in Romagna. Voltasi egli allora per entrare in Toscana; nè dapprima trovò inciampo; poscia, come si fu addentrato nelle gole degli Apennini, s'incontrò nelle masnade de' conti Ubaldini, da cui combattuto seguitò a difendersi, finchè pugnando e fuggendo si ricoverò in Laterino nel contado d'Arezzo. Quivi accorsero incontanente ad assediarlo i fanti e i cavalli del duca d'Atene signor di Firenze, e il costrinsero ad arrendersi per fame. Nel medesimo tempo cadeva altresì nelle mani del medesimo duca il famoso Malerba, che travestito da frate insieme con Galeotto fratello d'Ettore e con un altro Bolognese, s'affrettava per raggiungere in Romagna gli antichi camerata (1). Però tutti quattro, posciachè ebbero promesso di non far contro alla signoria di Firenze dal dì ad un anno, nè di militar più col duca Guarnieri, furono di presente liberati: liberati appena, corsero ad unirsi alla gran compagnia.

Erano omai due mesi che questa stava accampata sul Lamone a fronte degli alleati, sempre aspettando una propizia occasione per guadar il fiume, ed o assaltare Bologna, come voleva il Panigo, o depredare il Mi

(1) Ist. Pistolesi, 488.- Cron. Miscell, di Bologna 387.

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lanese e il Padovano, i cui signori, facendosi schermo della lontananza, rifiutavano di somministrarle le solite provvigioni (1). Solo una volta il duca Guarnieri accennò di indietreggiare affine di liberare dall' assedio Ettore e i suoi seguaci; ma tosto era ritornato all'usata stazione, mantenendo l'esercito colle prede e colle taglie o avute di queto, o levate a forza dalle squadre qua e là. Finalmente Taddeo dei Pepoli signore di Bologna, essendo stanco di una guerra che senza lasciargli speranza di vittoria gli inferiva tutti i danni d'una sconfitta, per interposizione del Malatesta accordava co' capi della compagnia, che passassero in pace sul suo dominio, avessero durante il tragitto vittovaglie e soldo di sessantamila fiorini; ma, acciocchè niun di loro si sbrancasse per istrada a far bottíno o guasto, si marchiassero con marchio apposito tutti i cavalli della compagnia.

Ciò stipulato (ed era il più fitto del vérno), la gran 26 genn. compagnia varcò il Lamone, e costeggiando fil filo la rosta che da Ponte Maggiore per Malavolta si stendeva fin sotto le mura di Bologna, entrò nel Modenese. Tosto entratavi volle tornare addietro; ma fu costretta dalle buone guardie a procedere innanzi (2). Quivi il passaggio de' venturieri fu come di bufera distruggitrice. Invano il Comune di Modena somministrò a dovizia denari, vittovaglie ed ogni altra occorrenza; invano gli abitatori del contado sperarono che l'inermità propria fosse per essere di riparo, se non alla roba, alla vita: il Colombario, il Montale, Mugnano, For

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