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secondo discenderebbero la grande miniatura del codice Riccardiano 1040, il dipinto su legno di Domenico di Francesco di Michelino nel Duomo di Firenze (Fig. 5), la cosí detta notissima << maschera» dal benemerito senatore Carlo Torrigiani donata alla Galleria degli Uffizi e il busto di bronzo che si conserva nel Museo di Napoli (Fig. 6), e che, con improbabile attribuzione, fu detto di Donatello.

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Ma questa distinzione de' due gruppi non parve e a ragione accettabile al prof. Pier Liberale Rambaldi; poiché, chi ben guardi il disegno del codice Palatino non certamente, come pensa il Kraus, fattura di artefice trecentesco si avvedrà fa

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cilmente che il ravvicinamento di esso alla figura del Bargello non regge. E perché, se mai, di esso solo, se lo stesso Kraus nota alcune differenze notevoli fra le due teste, fra la dolce espressione de' giovini anni alla quale la memore fantasia di Giotto si piacque di riportare il volto dell'amico Poeta, e le vigorose linee onde il disegnator palatino espresse nelle sembianze dell'exul immeritus i segni visibili dell'età e degli affanni? Nelle rughe, nella bocca piú acuíta, nel mento piú sporgente del disegno palatino in confronto col quieto e mite profilo del fresco giottesco, si riconosce d'un tratto l'uomo non più giovine, anzi maturo negli anni, non il dolce dittatore in rima agli amorosi calendimaggi fiorentini ma lo sdegnoso Cantore de' regni d'oltretomba, ramingo, colla patria nel cuore, per le parti quasi tutte per le quali la lingua d'Italia si stende, come appunto ne' ritratti del secondo gruppo, del quale il compianto e illustre nostro amico tedesco indica le rughe sulla fronte e presso la bocca, come segni rivelatori di pensiero e di dolore.

Epperò il prof. Rambaldi, rifiutando la divisione del Kraus, in un suo notevole studio su Dante e l'Arte (1) proponeva si dovesse invece dire semplicemente che del ritratto di Dante abbiamo un tipo importante, conservato egregiamente da una serie di documenti, dal codice Palatino al disegno di Raffaello; serie che ci rappresenta una tradizione vecchia, confermata s' intende, come segno di preferenza e divulgazione da miniature di secondaria importanza e da medaglie, di contro alla quale sta piuttosto solitario il ritratto del Bargello, e non ebbe fortuna l'altro tipo barbuto della descrizione boccaccesca, confortato, almen pe' miniatori di codici, dal verso 68 del Canto XXXI del Purgatorio.

Fig. 6.

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Il Dante del Museo di Napoli.

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Questa opinione del Rambaldi è, a nostro avviso, veramente giusta e ragionevole; salvo che noi non diremmo che dalla serie de' documenti che ci serbano un tipo importante dell'imagine dantesca sta fuori la figura giottesca del Bargello, con la quale tuttavia anche il Rambaldi trova qualche rassomiglianza nel bronzo di Napoli e nel tipo che ne ha tratto Raffaello nel notissimo disegno dell'Albertina. Piuttosto diremmo che del ritratto del Poeta noi conosciamo un tipo importante, conservatoci in una serie di documenti derivata, probabilmente o quasi certamente, da un esemplare antichissimo, oggi perduto, che doveva ritrarre le sembianze vere del poeta adulto, del quale Giotto aveva effigiate in Firenze, nel Palagio donde la condanna faziosa di messer Cante de' Gabrielli era partita, le fattezze giovanili, secondo il ricordo vivo che del grande amico il grande artefice serbava sempre nel cuore. Infatti, da quello che si può ancóra intendere, non direttamente dalla pittura quale si presenta oggi ai nostri occhi offesa dal tempo, che la va malinconicamente scolorendo ogni dí piú, e da' maledetti ritocchi del Marini, ma dal lucido che ne trasse che Iddio gliene renda ancor merito nel nome di Dante! il Kirkup e dalla copia del Faltoni (Fig. 7), non ci par possibile riconoscere una vera e propria dissomiglianza fra il tranquillo profilo giottesco alquanto stilizzato, se si vuole di Dante giovine e i ritratti pieni di energia del Poeta adulto e fatto per piú anni macro: ci sembra anzi di dover pienamente consentire nell'avviso del prof. Papa, che i caratteri costanti del tipo fisionomico dell'Alighieri, conservato a noi ne' migliori monumenti figurativi, crede si possano, da chi guardi attento, << scorgere in gran parte, come in germe, anche nel profilo giottesco », dove << il naso, il mento, il labbro, la mascella, la fronte s'intuisce che assumeranno, nell'età avanzata del Poeta, la forma del secondo tipo >> indicato dal Kraus.

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Propriamente solitario e senza fortuna adunque non crediamo sia veramente rimasto altro che il tipo di un Dante alquanto curvetto della persona, di color bruno il vólto, co' capelli e la barba neri, spessi e crespi, quale videro le buone femminette di Verona e quale dal Boccaccio ci è colorito nella viva prosa del Trattatello. Non bensí tutto quanto il Dante boccaccesco, come par vorrebbe il Rambaldi: poiché se si toglie il particolare della

(1) Firenze, Landi, 1900.

barba folta e nera

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che non deve essere certamente una semplice e pura fantasia dell'amoroso biografo (1) da' ritratti dipinti, miniati, scolpiti o incisi (Figg. 9, 10 e 11),

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non sembra distaccarsi soverchiamente il ritratto che il Boccaccio ne scrisse e un ignoto rimatore di popolo ingenuamente breviò nel picciol giro di un sonetto.

(1) È possibile che D. a Firenze non portasse barba, ed è notevole che il Boccaccio, per le sue relazioni con Ravenna, ove raccolse le piú delle sue notizie intorno a D., si riferisce piuttosto alla vita sua nell' esilio (cfr. O. ZENATTI, Dante e Firenze, Firenze, 1903, p. 100 in nota). Sarebbe dunque vano, anche qui, tacciare il B. di menzogna. Quanto al color de' capelli, nonostante le osservazioni del prof. PAPA (Op. cit.), io non so rinunziare alla opinione del Parodi (Giorn. dant., X, 59-60) il quale osserva, a proposito dei noti versi 41-44 dell' egloga I di D. a G. Del Virgilio, che il color biondo era generalmente usato, nel convenzionalismo letterario medievale, a indicare la giovinezza, e che qui D. porta la maschera di Titiro. Si noti inoltre che D. all' epistola dell' amico risponde con una egloga, dove l'armonia latina ha fatto dimenticare all'Alighieri, almen per un poco, Beatrice per Virgilio, i simboli del medio evo per i miti d'Arcadia. Cfr. CARDUCCI, Della varia fort. di D. negli Studi letter., Livorno, 1874, p. 253.

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Ora, se nel ritratto giovanile si possono scorgere, senza troppa difficoltà, le principali note tipiche della fisonomia dantesca consacrate dalla tradizione artistica e confermate anche dal Boccaccio, non par naturale pretendere che debban esse risaltare evidentissime a tutti anche in ogni figura in che altri creda di poter identificare l'effigie del Poeta?

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A noi sembra di sí: e tanto tale necessità è apparsa inevitabile anche al prof. Chiappelli, che egli stesso ha tentato di ravvicinare al ritratto tradizionale di Dante la nuova figura indicata da lui. Non essendogli riuscito il tentativo, anzi, secondo noi - essendogli assolutamente fallito, pèrdono, agli occhi nostri, ogni valore tutti gli altri argomenti, anche se buoni, con i quali l'egregio Professore ha cercato di crescer valore e di dare maggior sembianza di verità alla sua ipotesi ardimentosa."

Concludendo, adunque,

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poiché son semplici congetture niente affatto provate il ri

tratto giottesco o gaddiano nel Miracolo di santo Francesco in Assisi, quello tra i freschi della Presentazione in Santa Maria in Porto fuor di Ra

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venna attribuiti a Pietro e Giuliano da Rimini, il ritratto additato dal Barlow nelle pitture murali di Santa Maria Novella, e via dicendo non abbiamo finora che un solo vero ritratto trecentesco di Dante, quello del Bargello, molto probabilmente dipinto da Giotto negli ultimi anni della sua vita, dal quale si passa, senz'altro intermedio essendo disgraziatamente perduto il fresco gaddiano di Santa Croce ai ritratti danteschi della seconda metà del secolo XV, a' quali si può attribuire tuttavia, per le ragioni già dètte, un certo valore iconografico. Il bello e vigoroso disegno del codice Palatino 320 (1); il nobile dipinto di Domenico di Francesco di Michelino; la forte miniatura Riccardiana; la « maschera » Torrigiani, e, forse, il busto elegante del Museo nazionale di Napoli, se non è com'è probabile del Cinquecento. Di poca importanza, sotto l'aspetto storico, è il ritratto di Dante che Andrea del Castagno dipinse nella villa de' Pandolfini a Legnaia (Fig. 7), e quello di Benozzo nelle pitture murali di San Francesco a Montefalco (Fig. 8).

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opera

Veramente preziosi, fra tutti questi, la tavola che gli Operai del Duomo il 30 gennaio 1466 (s. c.) « alloghorono a Domenicho di Michelino », il qual la dipinse di su un modello fornito da Alessio Baldovinetti e dovette avere presenti, nel ritrarre il volto del Poeta, le lineature espresse nel fresco di Santa Croce, e la miniatura, grande e bellissima, su fondo nero, nel manoscritto cartaceo Riccardiano 1040, del secolo XV, contenente le minori rime di Dante, le rime del Bonichi e i sonetti di Mariotto Davanzati (2). A questo ritratto, che i Commissari del 1865 (3) proponevano al Ministro della pubblica Istruzione come il più antico e autentico ritratto di Dante, il prof. Chiappelli, con ardito ravvici

(1) Non comprendiamo perché INGO KRAUSS ne' suoi articoli sul ritratto di D. (in Monatsberichte u. Kunstwissenschaft u. Kunsthandel, Monaco, 1901-1902) giudichi il profilo palatino opera di " un grossolano disegnatore. " (2) Cfr. MORPURGO, I mss. della r. Bibl. Ricc., negli Indici e cataloghi, XV, 35.

(3) Il prof. Gaetano Milanesi e il conte Luigi Passerini-Orsini de' Rilli.

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