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namento, paragona, come abbiamo veduto, la figura orcagnesca del Paradiso nella Cappella Strozzi; la qual figura non solo non col Riccardiano, ma neppur sapremmo veramente con quale altro de' citati ritratti anche lontanamente assomigliarla. << I particolari del disegno Riccardiano osserva col solito diligente acume Pasquale Papa cioè l'arco del sopracciglio, il taglio dell'occhio, l'attaccatura del naso alla fronte, la bocca e, so

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Fig. 10. - Dante, nella ediz. della Commedia, Venesia, 1529. (Dall'esemplare del Cav. Leo S. Olschki).

prattutto, la curva nasale, la voluta stranamente semitica della narice, la linea quasi diritta della mascella, che nella figura del prof. Chiappelli descrive invece una curva accentuatissima, finalmente la struttura ossea di tutta la testa sono, senza alcun dubbio, profondamente diversi da quelli che ci rivela il profilo orcagnesco, e nessun critico o scienziato o artista potrà mai, a mio credere, dimostrarne, non dico l'affinità, ma neppure una somiglianza lontana >>.

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degli altri, diretti o indiretti, presentati dal prof. Chiappelli per dimostrare la << grande verosomiglianza» della sua identificazione? Poco o niente, purtroppo tanto più che

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se non è allucinazione la nostra le stesse evidenti differenze che si notano fra il ritratto tradizionale di Dante e la figura della Cappella Strozzi si possono ritrovare, press'a poco, fra la effigie del Petrarca a noi conosciuta e quell'altra figura che sta accanto al supposto Dante dell'Orcagna. E questo osserviamo qui di volo perché, pur di volo sebbene in modo niente affatto dubitativo il prof. Chiappelli afferma che quella imagine, avvolta in un cappuccio rosso oscuro, ricorda « palesemente » la fisonomia

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Fig. 11.- Dante, nella edis. del « Convivio D, Venesia, 1521. (Dall'esemplare del Cav. Leo S. Olschki).

tradizionale di messer Francesco; ciò che lo induce a pensare, « se tutto non trae in errore », che nella grandiosa figurazione del « poeta-pittore » (1) si abbia << un gruppo di poeti e di letterati famosi, analogo a quello che porrà, piú d'un secolo dopo, il Ghirlandaio nella famosa storia del Coro ».

Ma ora si sa che l' egregio professore dell'Ateneo napolitano si prepara a difendere con una prossima comunicazione queste sue ipotesi e affermazioni, confortandole di piú saldi argomenti. Aspettiamo dunque le nuove prove: alle quali, se veramente convincenti, ci inchineremo di gran cuore anche noi, che, di tra il coro de' credenti e il fumo degli incensatori, primi e soli dichiarammo liberamente e pubblicamente il nostro freddo

(1) Cosi il Chiappelli, sec. l'affermazione del Vasari (Vite, ecc., ed. MILANESI, I, 607). Ma cfr. Giorn. dant., XI, 2, nota I.

scettiscismo (1). Se il dotto uomo

non ha scemato la nostra stima

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pel quale, naturalmente, la presente controversia dimostrerà che la ragione sta tutta o quasi tutta

dalla sua parte, tanto meglio per tutti, anche per gli increduli che aspettano, appunto,

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di essere illuminati. Se poi non riuscirà a rimuovere i dubbî e a dimostrar veramente « improvvide» e «frettolose >> com'egli ebbe sdegnosamente a chiamarle (2) le affermazioni e le denegazioni degli oppositori suoi, nessuno vorrà, ad ogni modo, do

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(1) Nel Giorn. d'It., an. III, ni. 20, 27 e 33.

(2) Cfr. Marzocco, an. VIII, no. 5.

lersene: e meno di tutti egli stesso, il chiaro prof. Chiappelli; il quale potrà giustamente ripetere con Vittorio Imbriani, che il valente cavaliere si vanta e non si vergogna de' cavalli uccisigli in battaglia; e anche il buono indagatore non si accora súbito di qualche ipotesi che gli viene dimostrata falsa, o, per parlar piú preciso, con la quale non ha imbroccato nel segno.

Firenze, febbraio 1903.

G. L. PASSERINI.

A proposito di una versione latina

della Divina Commedia

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I.

In occasione di una ricerca bibliografica avevo trovato nel De Batines (tomo I, parte I, pg. 244) la nota seguente, a canto alla menzione bibliografica della traduzione latina della Divina Commedia del padre Carlo d'Aquino della C. di Gesú: (1)

<< Per chi non indovinasse il motivo delle lacune che talora vi si trovano, il traduttore << stesso si è fatto un dovere di spiegarglielo nella sua prefazione. Ei dice: che disdicevole af« fatto a scrittore religioso sarebbe stato il fermarsi sopra cotali luoghi del divino poema ». Se non che, in opposizione a quanto è detto dal De Batines, il Witte, nella prefazione che manda innanzi alla traduzione latina della Divina Commedia, dell'abate dalla Piazza (2), parlando delle differenti versioni latine della Divina Commedia avverte : « In << quorum numero non infimum certe locum Carolo Aquinati tribuendum esse censemus, << licet, Latinam quum faceret Divinam Comoediam, aemulationi elegantiarum Nasonis << plus aequo dederit ». Tace egli dunque delle omissioni ed aggiunge anzi a piè di pagina, dopo aver riprodotto dall' Aquinate l'episodio della Francesca da Rimini, la nota: « suf<<ficient quos recudimus versus ad refutandum doctissimi Columbi Batinensis errorem, << narrationes de Francisca et de comite Ugolino praetermissas esse putantis ».

Una cosí aperta contraddizione nelle affermazioni di due uomini cosí cospicui negli studi danteschi, mi fece sorgere il desiderio di rendermi conto de visu, coll'esame diretto della traduzione del d' Aquino, da che parte stesse l'errore. E tanto più si acuiva in me questo desiderio, quando nel consultare il manuale dell'abate Ferrazzi, ebbi a trovare una terza versione intorno alle lacune in parola. Dice precisamente il Ferrazzi, vol. II, 1 pg. 501:

<< Il d'Aquino lasciò alcune lacune nel suo lavoro, riferentisi ad alcuni passi che << non si conviene, come egli stesso dice nella sua prefazione, propagare a ben costumato

(1) La Commedia di DANTE ALIGHIERI trasportata in verso latino eroico da CARLO D'AQUINO della C. di G. con l'aggiunta del testo italiano e di brevi annotazioni. Napoli, per Felice Mosca 1728.

(2) DANTIS ALligherii. Divina Comoedia, hexametris latinis reddita ab Abbate dalla Piazza, Vicentino. Praefatus est et vitam Piazzae adiecit, CAROLUS WITTE, antecessor Halensis. Lipsiae, MDCCCXLVIII, sumptibus Joan Ambros. Barth.

<< e religioso scrittore. Il Witte, continua il Ferrazzi, nella versione dell'abbate dalla << Piazza, pg. XXIII, riporta l'episodio della Francesca da Rimini, omesso nella edizione << di Napoli, ecc. » Dunque secondo il De Batines vi sono le lacune, ma non è detto quali, secondo il Witte non parrebbe che ve ne fossero, e secondo il Ferrazzi non soltanto ve ne sono, ma precisamente vi è anche quella dell'episodio della Francesca da Rimini, tagliato, secondo il Ferrazzi, nella edizione di Napoli, né si sa, stando sempre al Ferrazzi, dove l'avrebbe trovato il Witte, non constando che altre edizioni della traduzione in parola sieno state fatte.

E a dire il vero, lasciando da parte il Ferrazzi che troppo spesso parla alla leggera ed è molto trascurato nelle citazioni, e fermandoci al Witte, si deve riconoscere che l'errore è nel Witte, il quale, per aver avuto forse sott'occhio soltanto qualche brano della traduzione, nel quale l'episodio della Francesca da Rimini era riportato, ha creduto di poter argomentare, dalla presenza, nella traduzione, di tale episodio, come quello che a suo credere avrebbe dovuto venir omesso da chi avesse avuto degli scrupoli morali, ha creduto dico, di poter argomentare da ciò, che né pure altri episodi o passaggi della Divina Commedia fossero stati omessi dal traduttore latino.

II.

In realtà però non è cosí. E vale forse la pena di dare un conto piú esatto e completo dell'opera del d' Aquino, togliendo dalla stessa sua prefazione quanto egli dice intorno alle omissioni da lui pensatamente volute, e di passare poi queste in esame con la scorta del testo stesso della sua pubblicazione.

Tale riscontro e tale esame offrono un'immagine abbastanza interessante dello stato delle idee in quel tempo e in quell'ambiente.

Né a questo fine sarà inutile ricordare, che fino allora la Divina Commedia non era stata ancora stampata in Roma: soltanto venti anni prima, e precisamente nel 1707 lo stesso d' Aquino vi aveva mandato in luce, come primo saggio di un suo studio di versione latina, le sole similitudini, scelte da lui, naturalmente colle esclusioni che gli era parso di doversi imporre.

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La traduzione completa porta il seguente titolo: «Della Commedia di - Dante Alighieri - trasportata in verso Latino Eroico - da - Carlo D'Aquino - della Compagnia di Gesù Cantica I. Coll'Aggiunta del Testo Italiano e di brevi annotazioni. - In Napoli, per Felice Mosca, MDCCXXVIII - Con licenza de' Superiori ».

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Poi segue la prefazione e dopo questa viene la licenza alla stampa, impartita dal Praepositus Generalis Societatis Iesu, con l'avvertenza:

<< Cum Librum, cui titulus: Della Commedia di Dante Alighieri trasportata in verso Latino Eroico dal Padre Carlo d'Aquino della Compagnia di Gesù, Cantica I. etc. ; aliquot Societatis nostrae Theologi recognoverint, et in lucem edi posse probaverint, facultatem facimus, ut typis mandetur; si iis, ad quos pertinet, ita videbitur: cuius rei gratia, has litteras manu nostra subscriptas, et Sigillo nostro munitas dedimus. Romae 7. Septembris 1727 ».

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