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si trova nelle origini. Latino investi i Trojani di settecento arpenti di terra; e si fa pur risalire alla prima origine del popolo latino la misura plebea delle terre, e vi si accenna che non v' aveano che cento Trojani. Essendo stato ferito un cervo molto caro, al re Latino, questo fu seme di discordia. Turno (558), principe dei Rutuli d' Ardea impugna le armi contro questi odiosi stranieri. Ma i nativi del paese furono battuti, Laurento espugnato, Latino morto nell' espugnazione e Lavinia fatta preda del vincitore. In secoli più miti si ripudiò l'immagine della funesta congiunzione di Lavinia con chi le avea ucciso il padre, sur rogandovi invece gioja e tripudj per festeggiare la pace. Tuttavia Virgilio, non fu corrivo, come Dionigi e T. Livio a scambiare in un patto d' alleanza e di parentela quella battaglia di sangue. Ma senza contraddire al vero, nelle altre tradizioni, Lavinia sta come mediatrice d'un patto conchiuso cogli stranieri. Figlia d' Evandro, e sotto il nome di Launa, è fatta sposa ad Ercole; figlia dell' Euotrio Latino, e sotto il nome di Laurina ella è congiunta a Locro; e data per compagna ad Enea pur sotto il nome di Launa, figlia di un Anio di Delo.

La costa del Lazio è una piaggia sabbiosa non fertile d'altro che d'alberi verdi. Enea poteva ben querelarsi del destino che lo aveva tratto in una così povera terra (560). Però non poteva non ricordarsi delle promesse che gli avevano date gli Dei, per cui un animale sarebbe stato di guida alla sua colonia nel luogo promesso. Diffatti una troja pregna fuggì dal suo chiuso e scansato il coltello del sacrificatore si ricoverò fra i tigli di una fertile collina ove depose trenta parti. Così fù segnato insieme al luogo in cui doveva essere fondato Lavinio, il numero degli anni in cui Alba avrebbe signoreggiato, o per dir meglio il numero delle città latine (560).

Enea ;

esser

ין

Quando Lavinio fu fondato gli Dei si rivelarono ad un fuoco s' accese da se nella foresta che doveva area della futura città; dove si vide un lupo recare nella propria bocca delle legna secche per alimentare la fiamma, ed un aquila pure alimentarla coll' agitare delle ali. In questo sopraggiunse una volpe che bagnò la sua coda nelle acque studiandosi di spegnere quel fuoco; e il lupo e l'aquila appena ebbero tanto di forza da poterla

cacciare.

Questo non altro indicava al popolo di quella città che lo stabilimento d'una potenza ch' era stata oppugnata con grande ostinazione. Quindi s' alzarono sulla pubblica piazza di Lavinio le statue dei tre animali del destino (562). Di quivi quest' invenzione, a cui corsero sopra molti secoli, si ridusse ai tempi della dominazione degl' Etruschi sul Lazio, e se nell' ignoranza della cronologia dei Greci, ella studio d'accostarsi alla fondazione di Roma ed ai tempi di Enea, ciò non è così inconsiderato come si potrebbe credere.

Turno corse per ajuti a Mesenzio, re etrusco di Gere come il vassallo verso il suo signore, perchè i Rutuli, gli recarono le primizie dei frutti, omaggio dovuto solo agli Dei, se pure Mesenzio non accolse quelle primizie che come una ricompensa dei consentiti soccorsi (565). Questo poderoso nemico, fu su le rive del Numicio combattuto da Enea, re di tutti i Latini. Turno cadde, ma i Latini presero la fuga; onde Enca s' affogò nel fiume, e l'anima di lui, sciolta dalle umane miserie, sali in cielo dove fu fatta divina, ed adorata sotto le sembianze di Giove indigete. Fin che durò la memoria delle antiche usanze i consoli e i pontefici gli fecerò offerta su quella riva d'annui sacrifici (564). In progresso Lavinio fu stretto d'asse

dio e senza speranza di salute fintanto che Giove non accolse il voto che gli consacrava la prossima vendemmia (565); perchè Mesenzio si avea tirannicamente usurpati tutti i frutti dei vigneti, o piuttosto la sua spietatezza chiedeva tutte le primizie, come un' irremissibile condizione di pace. Fu trucidato da Giulio ( poichè il nome d' Ascanio, non si trova che nei libri Greci e molto più tardi mescolato a questi racconti ) e gl' Eueadi regnarono sul Lazio.

Virgilio ne dipinse queste guerre nella seconda parte del suo poema, mondandole di molte incoerenze, velocitando ed anche stravolgendo il corso degl'avvenimenti. L'argomento era nazionale, però non è facile il credere, che un popolo immune d' ogni preoccupazione potesse veramente deliziarsi di simili racconti. E ben ci è noja il vedere come sia male riescito a Virgilio, quando con delle ombre e dei nomi vani volle fare degl' eroi pieni di vita come quelli d' Omero. Parea un problema di non potersi disciogliere quel voler creare un poema epico sopra un soggetto che non vive da secoli, che nelle canzoni e nelle tradizioni del popolo, e che non è tenuto per anco come una siffatta proprietà della nazione da conoscerne appuntino tutto il campo storico, e conoscerne tutte le persone che vi si tra vagliano dentro. Questo problema non fa sciolto da Virgi- · lio, ingegno povero in creazioni, benchè forse oltremodo dovizioso in genere d'ornamenti. Se ne avvide egli stesso e non sdegnò d' essere grande nel genere in cui la natura l'aveva privilegiato; come ben lo dimostrano le sue imitazioni, e le prestanze e i tratti di quella delicata e vasta erudizione, sì ammirata dai Romani, e tenuta in troppo poco pregio da noi. Colui che s' affatica a stento dietro a un lavoro di commesso, ha la coscienza di quei difetti e di quelle fessure che tutto lo studio dell' intonaco e della

politura può appena nascondere all' occhio poco esperta; difetto di cui è immune l'opera del maestro, che fu gittata e modellata in grande. Senza dubbio Virgilio comprendeva che tutti gli ornamenti non proprj di cui volle fregiare il suo lavoro erano la ricchezza del poema e non di lui; sapeva che un giorno la posterità lo avrebbe notato. Ma che malgrado questo desolante convincimento abbia cercato nel modo che gli fu possibile di dare ad un argomento che non avea liberamente scelto tutta la bellezza di cui era atto nelle sue mani, che non abbia come Lucano, vanamente e cecamente affettata un' inspirazione che gli era negata; che non si sia lasciato illudere quando tutti lo gridavano come un Dio, quando Properzio cantava Cedite romani scriptores, cedite Graii Nescio quid majus nascitur Iliade.

Che in fine una morte imminente sciogliendolo da tutte considerazioni sociali, abbia voluto annicchilare ciò che in quei solenni momenti doveva riguardar con dolore come l'oggetto d'un usurpata reputazione, ecco ciò che lo fa degno di stima, ciò che ne rende indulgenti sulle mende del suo poema. Il merito di un primo esperimento non đà sempre la misura dell' ingegno; ad ogni modo la prima opera della gioventù di Virgilio mostra ch' egli si educò con un' incredibile perseveranza, nè che alcuna facoltà si spense in lui per suo poco studio. E specialmente laddove lascia discorrere il suo cuore, si scorge quanto era amabile e generoso; e non soltanto nelle scene campestri e nelle immagini di una vita placida e immacolata o nell' epigramma sulla villa di Sirone, ma non lo è meno anche quando agita sulle scene quei generosi che folgoreggiano di tanto splendore nelle storie di Roma.

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ALBA.

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Nell' Eneide, quando Giove consola la Dea piangente, madre dell' eroe, rivelandole l'avvenire; quando le annuncia come l'impero di suo figlio sempre più possente si alzerà di grado in grado sino a Roma, città che non ha termine nè limite fisso (556), i tre anni promessi da Enea non devono essere annoverati dal suo approdare alla sua morte, ma costituiscono la durata della piccola Troja fondata sulla riva latina, sino alla costruzione di Lavinio città del popolo riunito, benchè se ne contasse altrettanto nel primo di questi periodi.

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Trent' anni più tardi, l'erede di lui trasse i Latini dall' insalubre Maremma sul pendio del monte Cavo. Da questa pendice lo sguardo si stende molto più lungi che non faceva il dominio romano prima delle guerre Sannitiche onde si può negli ultimi raggi del sole, scorgere la Corsica e la Sardegna. E la montagna che prese il nome da Circe si vede quivi sorgere come un' isola in seno dei primi raggi lanciati dal padre della Dea. È impossibile di non conoscere il luogo dove Alba formava una lunga strada fra la montagna ed il lago; in tutta questa estensione la roccia è tutta tagliata dalla parte del lago; e questi vestigi dell' opera dell' uomo, in mezzo a folte macchie, sono più antichi di Roma stessa. La superficie del lago così come fu fatta da un canale colatojo è di presente molto al dissotto dell' antica città. Allorchè Alba era ancora, prima che si alzasse in una maniera devastatrice per l' ingombro delle tante aperture, era senza dubbio ancora più bassa. Perchè al tempo di Diodoro e di Dionigi vi ebbe si gran siccità che discoperse gli avanzi dei vasti edifici che

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