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gilio fosse solo ad asserirlo, non sarebbe nemmen chiaro che quest' indicazione è molto più antica, e ch' egli non ha inventato la progressione dei numeri tre trenta trecento, egli poteva credersi atto a conservare ciò che diceva il poeta più antico. E certamente ei non avrebbe per far grazia a una simmetria numerica, segnato delle epoche di cui avrebbe potuto conoscere la falsità nelle tavole di Appollodoro e di Cornelio Nipote, così agevolmente come l'avrebbe potuto fare qualunque scolare. Ma ciò che vi ha di felice e di insperato, si è che l'ingegnoso Trogo Pompeo, ventilando colla stessa libertà di giudizio l' istoria primitiva di Roma, che le origini delli altri popoli, non contava per Alba (576) che trecento anni, e Tito Livio adopera istessamente, ammettendo per la durata d'Alba sino alla sua distruzione verso l'anno 100, quattrocento an ni (577). Tuttavia non era questa la sola indicazione avversa alla cronologia greca. Perchè seguitandone un' altra di cui Servio ci ha conservata notizia, sarebbero corsi, dalla distruzione di Troja fino alla fondazione di Roma anni 360. (578) Tanti insomma quanti ne corsero da questa fondazione alla presura della città fatta dai Galli; massime che si trovano due altri dati che accostandoli insieme possono condurre a quest' ultimo numero, e conciliarlo coll' altro. Il primo di questi dati si è che Enea visse sette anni dopo l'espugnazione di Troja parte errando, parte combattendo (579); e il secondo si è che Silvio non ha potuto venire in possesso del trono che nel suo cinquantesimo terzo anno (580). Non vorrei per questo storicamente difendere che una casa Silvia regnasse in Alba; ma le tradizioni albane ammisero il fatto. L'esistenza di un Genos di questo nome suppone quella di un Eroe Silvio o Silno. Ora se la tradizione latina, indipendente dalla leggenda trojana, ne

faceva il fondatore della città; e se da questi principj sino a Roma, s' ammetteva che corsero trecento anni, conveniva, per accomodare Silvio a quest' altra tradizione; e per riem¬ pir l'intervallo dei trecent' anni corsi da Roma sino a Troja, replico che conveniva ammettere i cinquantatre anni dopo la morte di Enea per farsi carico del tempo in cui visse questo figlio Postumo, ingiustamente escluso dal trono. Si è per conciliare questa dinastia indigena dei Silvj ď' Alba con la tradizione trojana, che si allontanano dal trono i discendenti di Ascanio per via dell' abdicazione di Giulio.

La tradizione romana dava Silvio per ascendente materno ai fondatori di Roma, e faceva dei Romani una caz lonia d'Alba.

ROMA,

TRADIZIONI DIVERSE SULLA FONDAZIONE DELLA CITTA'.

Fra tutte le città greche costruite dopo il ritorno degli Eraclidi ve ne erano alcune sì poco importanti, che Eforo, e quelli che dopo di lui accolsero le fondazioni nella storia generale, non poterono indicare di nome e con abbastanza certezza il popolo a cui apparteneva la colonia, nè i nomi dei capi che la condussero, e le diedero leggi, e in generale neppur l'epoca, in cui pose la propria sede. Ma la fondazione di Roma che si ha come più recente del più gran numero delle altre città, e da qual popolo sia vera¬ mente uscita la città eterna è ciò che noi intieramente ignoriamo. Tuttavia non è però men degno dell'eternità di Roma che le sue radici si perdono nell'infinito di quel che non sia ciò che narrano i poeti intorno alla sua maestà coll' al

lattamento e la deificazione di Roma. Doveva essere fondata da un Dio o da nessuno.

Ora che l'ho riconosciuto con un sentimento che un fanatico poco sincero mi potrebbe solo contrastare, ora che ho aperto un campo libero all'immaginazione ed al cuore, mi studierò di far prevalere i diritti della ragione, non ammettendo come storico se non ciò che può storicamente esistere; e mi studierò d' indagare (senza disputare a questa pobile tradizione il grado che ella occupa nella storia) se si potrà sino ad un certo punto scoprire a qual popolo appartenevano i primi Romani, e da quali rivoluzioni è sorto lo stato di Roma, nell' istante in cui comincia a spontare un raggio di verità per la storia.

Nei tempi in cui la città cominciò ad uscire dal suo umile stato, in cui il sommo aumento consentiva a' suoi abitanti di proferire il nome romano con compiacenza, era naturale che volgendosi indietro nel bujo del passato, e dalle prime origini della loro comnnanza, nominassero Romo per fondatore del popolo, o piuttosto Romolo secondo questa flessione si comune nelle desinenze. Se nel vicinato, una città a cui. 1. erano congiuuti di sangue, Remuria ora alleata ora nemica fosse stata prostrata dalle loro armi, potevano tener Remo per fondatore di lei come fratello gemello di Romolo, ed ucciso da lui in un impeto di collera. Più si costituiva in Roma un doppio stato d'un carattere particolare più si fortificava l'opinione della fondazione della città per opera dei due gemelli, I forestieri avrebbero potuto così agevolmente come i Romani imaginare un Romolo, ma non quest'ultimo punto di vista che non appartiene a nessun altro stato, e che conviene così specialmente a Roma. La tradizione si concentra davvantaggio sul territorio della città. per l'antro della lupa, e il fico al piede del quale furono Niebuhr. T. I.

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trovati i due lattanti e per tutto ciò insomma che correa sul conto di Romolo; in fine per quel poema sì ricco di particolarità locali ignorate dallo straniero. Come tutto questo entrò mai nello spirito e nella bocca dei poeti e dei narratori? Per quante generazioni, s'accomodarono alla fondazione di Roma le tradizioni da lungo tempo sparse presso gli altri popoli, prima che ciò che aveva cominciato come poema prendesse radice nella credenza del popolo ? Tutto questo ci può e deve essere indifferente. Se gli annali ebbero forma cronologica dopo il disastro di Roma per parte dei Galli dovrebbe essere evidente tanto per questi annali come per quelli reddati in seguito che Romolo fu il primo re.

Se si ha mente ai pochi monumenti che ci rimangono dei primi tempi di Roma, si può avere come antichissimo testimonio di un' opinione popolare viva e corrente, l'erezione fatta nel quattrocento cinquantotto di una statua di bronzo, rappresentante la lupa ei suoi lattanti appiedi del fico, questa bell'opera antica arrivò sino a noi come i poemi di Omero quantunque sia perita una innumerevole quantità di cose più recenti.

Ciò che era fermo come opinione popolare si è che Roma fosse stata fondata da due gemelli partoriti da una principessa a cui Marte aveva fatto violenza. Questi gemelli che la protezione divina sottrae alla morte fra i vortici del fiume sono conservati e nudriti da una lupa animale in favore presso del padre loro. Questi tratti principali della tradizione non poterono a meno d'essere modificati nel corso delle età e probabilmente presero altre forme oltre queste due più prominenti che appajono agl' occhi nostri secondo che si rannoda ad Alba, ai Silvj o ad Enea,

Ommettere il racconto della prima già nota assai, e che basterebbe di accennare se non fosse di qualche interesse di posare parecchj tratti ch' hanno corso alcune varietà nelle relazioni che si fecero più tardi. La seconda che si leggeva in Nevio, ed in Ennio faceva della sciagurata principessa Ilvia una figliuola di Enea (581). È probabile che quivi fosse rappresentata come vestale, perchè senza di ciò non vi sarebbe stato pretesto di condannarla alla morte. Fu precipitata nell' Anio, dal seno e delle acque cominciò la sua beatitudine (582). Il Dio del fiume sposolla (583). Virgilio è immitatore di Ennio quando ne dipinge la pietosa belva che vezzeggia ed allatta i fanciulletti nell' antro (584). In Ennio, il tiranno è pure appellato Amulio, e pare fuori di dubbio che Nevio l'avesse così nominato prima di lui; perchè dessa è una correzione che si offre naturalmente e che ne comporterebbe dificilmente un' altra (585). Però io non posso discoprire per indizio nessuno se gli antichi poeti ammettessero una parentela fra questo Amulio e la famiglia d' Enea, nè come Ilia gli fosse soggetta, nè se parlassero d' Ascanio. Nel frammento di Ennio, Ilia è orfana poichè gli appare il padre in sogno; e sua sorella a cui ella racconta nella sua trepidazione l'apparizione notturna è quivi la figlia d'un Euridice.

L'ingegnoso Perizonio le fiue osservazioni del quale andarono perdute pe' suoi contemporanei ha mostrato come Ilia madre di Romolo è sempre figlia di Enea; che, come Rea Silvia, ella è sempre figlia del re d'Alba, e che non si dà mai ad Ilia il nome di Rea (586). Io vi aggiungo che l'ortografia di Rea è una falsificazione degli editori che hanno molto male a proposito pensato alla dea: probabilmente rea altro non significava che l'accusata (587). Senza dubbio l'apparizione d'un nome proprio è nata as

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