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sol volta Tarpeja fu vista da un fratello di quelle giovinette. Gli abitanti di questo quartiere sono marescalchi e acquacedraj, e ignoranti affatto di queste antichità che non hanno una vita apparente e che uscite da fonti nou pure di libri volgari si sono diffuse sulle altre classi delle altre società. È dunque in grazia d'una tradizione realmente verbale che da due mille cinquecento anni Tarpeja vive nella bocca di un popolo che da secoli non conosce più i nomi di Clelia e di Cornelia,

I Sabini diedero l'assalto alla città ch' era imminente di cadere, quando gli Dei disputavano sul destino di lei e della terra. Giunone riverita a' Guri con onori particolari favoriva i Sabini, sempre nemica alla razza di Enea. Ella aveva così spalancata una porta che forza umana non la poteva più chiudere, quando Giano fece zampillare una vena di acqua bollente che ributtò gli assalitori. Nel giorno veniente Romolo intraprese pure indarno l'assalto della fortezza ch' egli ayeva perduta; ma quando la sua armata respinta fuggiva verso la porta che è ai piedi del Palazio, non fu senza fortuna ch' egli votò un tempio a Giove Statore. La vittoria ondeggiò incerta tutto quel giorno fra le due armate e nessuno ancora ne disperava, quando le Sabine si gittarono fra i combattenti, abborrendo una tarda vendetta, e desiderando di conciliare coi loro parenti i parenti dei figli, e così fermare la pace. Le due nazioni distinte ma indivise non costituirono più che un solo stato di Romani e di Quiriti, e ciascuna ebbe il suo re: le cerimonie religiose furono comuni ad ambedue.

Le donne avevano salvato Roma; Romolo accordo loro degli onori per se stesse e per l' ordine delle matrone. I nomi delle Sabine furono dati alle curie; e si assenti loro in avvenire per tutte le donne maritate di poter essere

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dispensate dai travagli domestici, ad eccezione del filare e del tessere; ogni uomo che si incontrava in una matrona era tenuto a cederle il passo, e chiunque le offendeva con delle parole disoneste od offriva ai loro sguardi degli oggetti indecenti era punito della pena di morte. Quando Ja donna lo voleva, le si dava il diritto di mettersi fra i maschi (634), e di ereditare con essi. Ma in questo caso il marito che avesse abusato della potestà paterna per vendere la moglie come poteva vendere i suoi figli, sarebbe stato consacrato agli Dei infernali. Poteva dividersi dalla moglie se ella era adultera o aveva avvelenati i suoi figli o contraffaite le chiavi che le erano state confidate. Ma s' egli l'abbandonava senza pur uno di questi motivi la metà della sua fortuna cadea in retaggio dell' offesa, e l'altra metà apparteneva al tempio di Cerere (655).

I Sabini fondarono una nuova città sul Campidoglio che avevano conquistato e sul Quirinale. Tazio abitò it primo di questi monti dove consacrò degli altari agli Dei del suo paese. I re i senati e personalmente i membri delle famiglie, si radunarono fra il Campidoglio e il monte Palatino per le deliberazioni importanti, onde ne venne a questo luogo il nome di Comizio, È probabile che l'antica tradizione non fosse d'accordo, in quanto a sapere se Ta zio stette re di tutti i Sabini, o se questa dominazione comune non riguardava che i cittadini della doppia città. Ella non fu di lunga durata. Tazio fu ucciso nel sacrificio nazionale di Lavinio per mano dei Laurentini, ai quali egli aveva ricusato di far ragione contro i suoi a proposito di un assassinio. Si additava la sua tomba sul monte Aventino (636). D'allora in poi Romolo regnò sui due popoli. La sua negligenza ad accettare l' espiazione offerta pel saugue del suo collega, trasse sui Romani e sui Laurentini

una pestilenza che non cessò che quando da una parte é dall' altra furono consumati i necessarj sacrificj.

Quivi fini quel canto eroico che dopo lo stabilimento dell'asilo offre un insieme poetico. Tutti gli avvenimenti sono riferiti, sia con indicazione d'epoche vicine le une all' altre, sia senza indicazione del tempo che le divide, ma di tal foggia che secondo lo spirito dell' antica tradizione si succedono e si adempiono molto rapidamente. Le guerre di Etruria che riempiono il lungo intervallo corso da questo tempo sino alla morte di Romolo, ne sono affatto distinte. Sono scucite senza carattere storico e favo loso come i romanzi di cavalleria; in fine non hanno nè lo spirito nè i tratti del poema. L'impresa contra Fidene è raccontata a un dipresso come la presa della stessa città nel trecento ventotto, e si trovano molti di questi furti fatti a un tempó mitologico per un' epoca di già istorica, in grazia della povertà d'invenzione degli annalisti. Un' altra guerra contro Veja fu terminata da numerose battaglie, dove in una sola perdettero la vita quindici mila Etruschi; Romolo ne uccise più. della metà di sua propria mano. Si fece una tregua di trecento anni, tregua che fu conceduta a prezzo di molte terre, e delle saline alle rive del mare. In queste guerre, le sole che possono riempire un regno di trentasette anni, colui che credesse di ritrovar della storia non potrà guari ravvisare in Romolo quell' infaticabil guerriero che la fama dipinse. Ciò bastò alla poesia; ed è così che nella nostra epoca nazionale dopo che la riputa zione d'un eroe è fondata, scorrono molti anni senza che si faccia più menzione d' alcuna impresa. Il poema apparirà ancora in tutto il suo splendore, quando Romolo fut tolto alla terra; ciò che ne riempie l'intervallo non è che una ladra interpolazione.

La tradizione antica, quella che dopo Ennio, Cicerone, Tito Livio ci conservarono più puramente, non parla punto della degenerazione in tirannide violenta di questo regno, che fu pieno di gloria se non immune da macchia. Discorreva di Tazio come di un tiranno, e diceva che precisamente dopo la sua morte la potenza di Romolo si mostrò in una forma più legale e più dolce, conformandosi in tutto all' avviso del senato, e non infliggendo ai ricalcitranti, altro che multe pagabili in bestiame invece di pene corporali. I Celeri di cui si è voluto in seguito farne la guardia di lui non erano altro che i cavalieri e l'antichità ignorava assolutamente l'odio che gli avrebbe consacrato il senato. Pare che nei canti di Ennio Marte implorando il padre degli uomini e degli Dei per salvare Ilia, e suoi figliuoli, ne avesse per risposta l' inflessibilità def destino e la promessa insieme che Romolo sarebbe stato alzato al cielo (639). I tempi erano compiti; Giunone rapattumata colla razza trojana come con Ercole: il giorno delle None dei Quintili, oppure alle feste quirinali (640), il re passando la rivista della nazione, il sole si oscurò (641), e mentre le tenebre coprivano la terra, Marte calò fra le procelle sopra un carro di fuoco e trasportò suo figlio verso i Cieli (642), il popolo spaventato era fuggito: tornata la luce del sole cercò con ansietà il proprio padre questo figlio degli Dei che l'aveva condotto nelle ragioni della luce (643), ma tosto le querele si cangiarono in adorazione allorchè Romolo fatto Dio, apparve a Giulio Proculo, e fece conoscere per bocca di lui che in qualità di Dio Quirino veglierebbe sul suo popolo.

Questi sono tratti essenziali della narrata tradizione che corse realmente per molti secoli presso i Romani che la tennero come sacra, celebrandola con canti religiosi. Ma

tenne un tempo in cui la semplice credulità perdé la sua forza o piuttosto l'autorità della verace storia acquistò tanto più d'importanza, in quanto che si estendeva per un più largo spazio e che la vita politica e la grandezza della nazione avevano preso maggior aumento. Comparvero allora degli scrittori che si contaminarono dei più massicci errori non solo verso questa tradizione, ma verso tutte quelle dell' antichità. E questi sono coloro che Dionigi e Plutarco citano con elogio come i più giudiziosi; come quelli che raccontavano delle cose verosimili e ricercavano sempre ciò che era credibile (645): il censore Lucio Pisone contemporaneo dei Gracchi, se non è, come io stimo, l'autore di questo metodo, che aveva già avuto degli esempj presso i Greci, è senza fallo quello degli annalisti che ne fece uso più positivo. Ei meritava d'altronde molta considerazione, ma per quello che si conosce de' suoi annali, sembra povero di spirito, e falso di giudizio. L'unico voto di questi storici era di guadagnare all' istoria i tempi mitologici ; avvisandosi che sotto i racconti poetici vi era sempre un germe di verità e il loro sistema era di giungere ad iscoprirlo spogliandolo d'ogni maraviglioso (646).

I successi della loro impresa furono molto varj, e nella tradizione su Romolo è principalmente Tito Livio che fa traboccar la bilancia. E se non si teme di annojarsi di troppo travagliandosi in queste cose treviali che ostentano di parere assennate, si può vedere, in Dionigi ed in Plutarco la metamorfosi che corse la finzione di Silvia e de' suoi figli e di quello che segue sino alla vendetta esercitata contra Amulio. In quest' essere Tito Livio non l'ha punto giudicata degna d'essere menzionata, e quindi dannata all'oscurità. Sventuratamente non ha colpito del medesimo disprezzo, l'interpretazione che si faceva della disparizione

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