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soddisfazione quando paragonava gl' orribili casi di guerre civili ch' egli aveva a dipingere colla dolce sicurtà in cui si riposava di presente il mondo affaticato. Il suo scopo era d'insegnar alla sua nazione, e di nobilitar a' suoi occhi, dei fatti che sino allora erano stati mal raccontati o mal conosciuti, lasciando in rettaggio alla letteratura romana un capo d'opera d'una dimensione colossale, a cui la letteratura greca non avea niente da paragonare, e che la letteratura moderna non potrà mai pareggiare. Nessuna delle perdite che abbiam fatte può star al paragone dei libri di T. Livio che sono periti.

Ma quand' anche noi l'avessimo ancora, non avremmo per questo una men forte volontà di scrivere una storia romana, come la reclamano i nostri bisogni; perchè se noi vogliamo che l' istoria di queste epoche lontane passate da tanto tempo sia per noi come quella dell' età in cui abbiam vissuto, se noi vogliamo vedere gl'eroi e i cittadini di Roma, non come gli angeli di Milton, ma come esseri di carne e d'ossa al pari noi, ci abbisognerà ben' altra cosa che l'inimitabile narrazione di T. Livio. D'altronde non si può negare che fra questi racconti vi siano delle particolarità che anche oggidì dopo diciotto secoli, il lettore più accurato non saprebbe più scolpire nella sua memoria. Sarebbe travagliarsi in vani impedimenti, condurre un lavor puerile, quando si studiasse di fabbricarsi i bisogni d'un altr'epoca, fosse anche migliore di quella in cui viviamo, mentre da un altro lato si ricusasse di attendere a quello che realmente dimanda il nostro secolo. Sarebbe ridicolo di voler gareggiar come storico con T. Livio e di presumere che con dei materiali più abbondanti si potessero ricomporre le parti perdute della sua opera. Dove invece non è per niente un pensiero presuntuoso, nudrire qualche lusinga

di penetrare a forza d'indagini e di meditazione, il senso delle notizie disperse e poco numerose, e di trarne fuori accozzandole insieme, le sembianze d' un' epoca per cui ci manca un' istoria più perfetta, immagine così compita, così viva per le cose essenziali, come quella che si forma, senza difficoltà da materiali più ricchi, e di già nobilmente lavorati.

Spetta a un ingegno più sublime di conoscere sino a qual punto vi si può riescire. Ma io devo a queste indagiui i giorni più caldi de' miei più begl' anni, la continuazione della mia opera occuperà la mia vecchiezza, come la creazione di T. Livio riempi la sua. Questa fatica mi assicura la freschezza e la serenità degli anni futuri colui che richiama alla vita delle cose già spente, gusta tutte le dolcezze della creazione. Sarebbe un grand' utile se potessi disgombrare dagli occhi de' miei lettori le nubi che coprono ancora questa bella parte dell' istoria antica, se io potessi spandervi sopra una sfavillante chiarezza, se i romani insomma potessero rivivere ed operare ancora sugl' ccchi nostri, s'essi si svelassero a noi in una maniera così precisa, così intelligibile, così famigliare come i nostri contemporanei.

L'ITALIA ANTICA.

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Romani non sono parte di alcuna nazione italica. Gl'autori che ci intrattennero con una credula ingenuità del popolo di Romolo come d' una colonia d'Alba, non li annoverano per questo tra i Latini, è nelle tradizioni degli antichi tempi, sembrano del pari estranei ai tre popoli in mezzo dei quali è sorta la città. Di modo che la loro istoria, in quanto che si contenta dell'epica narrazione dei fatti e delle avventure può senza contradizione, fare da se, ed è per questo che la più parte di quelli che l' hanno scritta nell'antichità l'hanno divisa dal resto d'Italia. Non per questo i Romani, potevano come gl' Ateniesi, ambire alla gloria d'un popolo primitivo; poichè, anche per mezzo a tanto travisamento di favole e di tradizioni, è troppo agevole Jo scorgere che se essi non appartenevano ad alcuna nazione, non era per altro se non perchè erano sorti dalla mescolanza di parecchie intieramente estranee le une dall' altre (1). Elleno trasmisero al novo popolo parte della lor religione, lingua ed istituzioni; ma in quanto all' essenza che lo costituiva, il carattere nazionale di Roma, teneva un non so che di diverso dall' uno e dall' altro ceppo da cui originava. Ne viene da ciò che l' istoria anteriore di queste nazioni servirebbe come d'introduzione all' istoria romana, quand'anche questa si fosse ristretta fra le mura della città; ma tutti i popoli d' Italia sparirono allo splendore di questa città, e la nazione dei cittadini s' allargò per tutta la penisola. Quasi tutti gli uomini grandi di cui ci parla la storia contemporanea, ad eccezione di pochi, discesero da al

leati divenuti Romani; e quando se ne escluda Cesare, questo è vero di tutti gl'oratori e di tutti i poeti. Non si può dunque applaudire agli storici dell'antichità di non aver fatto menzione che del ruscello che ha dato il nome al fiume, senza tener conto dei rigagnoli che v'affluirono ad ingrossarlo, quantunque alcuni di essi fossero ben meno oscuri.

Nè posso tenermi dal biasimare quelli che hanno rac colto delle favole non per altro che per qualche rapporto di località con Roma immemori e trascurati del poco che si sapeva della caduta degl' Ombrii, e del sorgere e della grandezza dei Sabelli e degli Etruschi. D'altronde l'istoria di questi popoli, non si studierebbe soltanto per la gravità degl' eventi; Cicerone, Volsco egli stesso, sapeva che la sua nazione e i Sabini, Sannio e l'Etruria non avevano meno di Roma di potersi gloriare di sapienti e di grandi, e certo i Ponzi non erano i soli che pareggiassero i Romani. Eppure non ci è rimasta che una rimembranza confusa di questi Ponzi, tutti gl'eroi e sapienti Italici ed Etruschi sono dimenticati, ed appena in qualche parte si è serbata traecia di qualche nome mal noto. Nulla di meno si ritrovano i vestigi delle diverse origini dei popoli, delle loro intraprese e delle loro conquiste, poichè non tutte si smarrirono certe solinghe notizie sparse nei monumenti e pei campi dell'antica letteratura. Ei sarebbe tanto più utile di raccoglierle, e farne stima senza amore di parte, rifondendo in certo modo le cognizioni che con tanto desiderio piangiamo, in quanto che questo è argomento che fu agitato con troppo arbitrio, senza critica, e bene spesso senza buona fede. Queste indagini e questi prospetti, servirebbero agli scrittori moderni, come d'un' introduzione necessaria all' istoria Romana.

Catone il Censore, il primo senza dubbio, dopo i pocti che scrisse in latino la storia della sua patria, ebbe cura, per quanto i popoli d'Italia e le sue città si collegavano all' istoria di Roma, di frammischiarvi ciò ch' egli sapeva di tutti i lor movimenti, origini, e fondazione (2). Ed a lui appunto siamo tenuti della maggior parte di queste notizie, anche laddove non è pur nominato. Egli viveva in tempi di grandissimo favore per la sua intrapresa ; questi popoli vivevano ancora, ed erano tuttavia Etruschi, Oschi o Sabelli, e benchè il cittadino romano tenesse il primo posto, la dignità degl' altri stati non era però conculcata, e la memoria del passato era ancor cara ai successori. Essi avevano come Roma i loro fasti, e le loro indicazioni annuali, e se ne possono perfino citar degl' annali (3). Nei luoghi ove l'antica lingua era per anco intesa questi annali dovevano salire a più alte origini; non però in Roma dove non s'erano potuto salvar dal naufragio che sconnessi frammenti. Ora se d'anno in anno uscirono dalle mani dell' autorità, o dei preti, dovevano esser quanto più aridi, altrettanto più autentici pel suggello del tempo. Dei popoli come gli Oschi che s'erano addomesti cati con l'arti greche, come i Sabelli del sud che certo non parteciparono favolosamente alla greca filosofia, anche in qualità di scrittori (4), tali popoli, diciamo noi avranno avuto verosimilmente degli storici tanto in greco che nella lingua nativa, assai tempo prima che si svolgesse in Roma una letteratura qualunque. Tanto più che prima della guerra. dei Marsi, essa aveva ancora tutta l' indole della giovinezza, dove invece l'erudizione e l'arte delle parole fiorivano davvantaggio presso i Latini (5); denominazione che quivi comprende tutti i popoli d'Italia, che avevano l'uso della lingua latina. Il voto uscito dalla bocca d'un primo magi

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