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strato comé Catone d'aver la comunicazione dei loro libri, fossero pur tradizioni, non poteva essere che un ordine per dei sudditi di Roma.

I titoli e le iscrizioni scolpite sul bronzo e sulle pietre offrivano all' istoria dei materiali più solidi e più abbondanti dei libri stessi. Arrivarono sino a noi di queste iserizioni in una lingua che non si intende, e stanno come un tesoro che non ha più nessun valore nell' uso. Nell' età di Catone, ne dovevano essere perite ben poche massime nell'Italia centrale, dove le città non erano state tanto disertate nè dalle conquiste romane, nè dalle guerre di Annibale. Già da cento cinquant' anni in Atene, avendo di già compiuta la storia di questa città, s'erano rivolti gli studi verso queste sorgenti che non fallano; ma i Romani erano ciechi sui loro proprj documenti, e quelli dell' Italia possono appena essere annoverati fra i materiali di cui si sia servito Catone.

Sessant' anni dopo le sue scritture, venne la guerra dei Marsi, a cui tennero dietro gl' orrori dei tempi di Silla. Queste spaventose devastazioni che di città in città invasero tutte le contrade d'Italia trucidando ovunque i più riputati cittadini, non poterono a meno di mettere a soqquadro i monumenti d'ogni specie, e massimamente i monumenti scritti. Anzi in molta parte di paese si scambiò la popolazione. Tale fu l'effetto della vendetta consumata contro Sannio, e il fine dell' ostinata difesa dell' Etruria per non lasciare calpestare dei diritti che si avevano guadagnati non facendo parte comune colla causa d'Italia, per non cedere da pusillanimi al capricció tirannico d'un generale di povera mente, che voleva disciorre in un punto le concessioni di molte generazioni come un usurpamento della necessità. Allora la nazione etrusca colle sue scienze

è la sua letteratura; e i magnanimi che avevano condotto quell' universale tumulto, caddero anch'essi sotto la clava; in tutte le grandi città si fondarono delle colonie di soldati, è la lingua latina signoreggiò tutta sola. La più gran parte della nazione perdette anche gli averi, ed immiserita sotto estranei signori, i degeneri nipoti, compressero nell'oppressione ogni genere di rimembranza, non serbando altro desiderio che di venire Romani (6). Diffatti quando Pompeja ed Ercolano scomparvero, l'Osco non s'era ancora tutt' affatto smarrito. Aulo Gellio da un'altra parte sembra parlar dell' Etrusco come d' una lingua ancor viva; ma gli scritti ed i monumenti non erano per nulla intesi come quelli in lingua punica o iberica, onde si dileguarono, per così dire, inavveduti. In quanto ai libri teologici si potevano leggere nelle traduzioni latine.

Varrone ebbe di frequente occasione di riferirsi agl'antichi tempi d'Italia; egli è molto citato a questo proposito; però la perdita de' suoi scritti non fu una grande sventura, qualunque fosse il merito che potesse avere su certi ́ particolari dei romani costumi. Non intendeva punto l'Etrusco, e quasi è dubbio se fosse molto avanti nell' intelligenza dell'Osco, poichè non pare che si fosse curato di supplire con altri studi a quanto gli poteva mancare da questo lato. E per quel che sappiamo delle sue indicazioni su l'antica storia d'Italia ci pare ben poca cosa, se non gli vogliamo esser grati di quanto c'insegnò su le primitive città di coloro ch'egli chiama Aborigeni. È quasi sempre manifesto ch' egli tien dietro ai Greci recenti senza riguardo alla gravità della storia, avendo aderito una volta sino ad un aperto impostore (7). È ben doloroso che la sua autorità abbia tratto in errore Dionigi ed altri autori.

Giulio Igino contemporaneo ed amico d' Ovidio scrisse

su la fondazione delle città d'Italia; ma senza luce di cri tica e non fortificandosi che di alcuni autori greci troppo recenti, che non meritavano che si facesse conto di loro. Nulladimeno i grammatici studiarono molto in quest' opera, e Plinio stesso accolse volontieri nella sua descrizione d'Italia, molte cose cavate da questa fetida belletta. Quel medesimo Plinio, che poi non reputò degni di studio venti libri d'istoria tirrena dell' imperatore Claudio, come apparisce dal catalogo degl' autori che ha consultato. Pare che dal suo primo comparire questo disgraziato lavoro sia stato così conquassato dall' universale disprezzo, che non si trova che persona abbia tolta da lui la più tenue citazione. Tuttavia le tavole lionesi provano che quest' imperatore conosceva perfettamente gl' annali Etruschi (8); e il modo con cui frugava gl' archivj di Roma può far congetturare, che per condurre a qualche perfezione il suo libro ebbe cura di far prender nota di tutti i monumenti d'Etruria. La storia antica di Roma non ha forse una più gran perdita da deplorare, e quando si badi ai vantaggi della posizione dell'autore, sarà concesso di dire che per l'importanza storica le sue ricerche non potevano essere pareggiate nè dalla storia d'Etruria di Flacco nè dall' opera di Cecina (9), quantunque per tutti gl' altri rispetti, questi libri abbiano potuto essere preferiti di molto.

L'ignoranza di Catone su gl' Enotrii attesta che non fece uso degli scritti di Fimeo, ed ancor meno di quelli d'Antioco. Non si può presumere ch'egli abbia consultato le Polities d'Aristotele, ove senza dubbio non si parlava solamente di Taranto, e delle città greche ma altresì di molti popoli d'Italia, e secondo tutta l'apparenza anche di Roma (10). Si vede dal poco che ci è rimasto, e specialmente sul governo d' Atene che questi abbozzi d'istoria e della

costituzione di più di 150 stati aveano gli stessi pregi che eternarono gl' altri scritti di Aristotele su l'istoria naturale e se ne potrebbe avere la misura del merito dagli accorgimenti che insegna la sua politica a proposito dei diversi governi. Il diritto criminale di Cuma divenuta osca, op pure una tradizione mitologica su la fondazione d'una città risvegliavano tutti i pensieri del maestro di color che (11) sanno, al pari delle speculazioni su le cause prime e il supremo motore vi si affezionava del pari come a suoi studi su la vita degli animali e su la poesia; ed è questa moltiplicità di cognizioni, quest' abitudine a tanti oggetti diversi, il carattere più distinto della sua scuola. L'Italia non ha formata che molto tardi una colleganza di popoli del medesimo nome dentro ai medesimi limiti che la natura le diede nelle Alpi e nel mare. Questo nome che nel sud era indigeno d'una lontana antichità non si distese alle contrade settentrionali, se non allora che il romano dominio rannodo quasi tutta l'isola in un solo stato, e che i suoi abitatori şi costituirono in una sola nazione col sistema delle colonie e la propagazione della lingua latina. Da qualche isola in fuori non si vede nell'alta antichità alcun paese diviso in parecchie nazioni portare un nome comune, per naturali che fossero d'altronde i limiti che il circondavano; non l'assumeva se non quando un solo popolo se ne era reso padrone. Forse così nell' Asia minore dopo che Creso soggiogò le contrade che s'estendono sino al fiume Alis, il nome di Lidia avrebbe probabilmente prevalso per tutto, s' ella fosse rimasta unita in un solo stato; come si vide più tardi diffondersi il nome d' Asia nel paese dell'impero di Pergamo, e quello d' Asiani pe' suoi abitatori.

Nell'antichità come presso i nostri antenati i nomi del paesi prendevano sempre forma da quelli dei popoli (12).

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Italia non significa dunque nient'altro che il paese degli Itali. Quelli che si affaticarono senza quest' ajuto di trag dall' antico greco o tirreno i nomi d'Itali, o Ituli (13) quasi che significassero un bue mostrerebbero certo un traviamento inesplicabile se non si sapesse come i Romani ed i Greci smarrivano volontieri il filo troppo studiosi di correre dietro alle etimologie. I mitologi connessero questa spiegazione. coll'arrivo d'Ercole che traeva seco gl' armenti di Gerione (14). Time che viveva in un' epoca che non poteva contentarsi di simili puerilità non vide altro che un allusione alla ricchezza del paese in fatto di bestiame (15).

I Greci facevano derivare il nome della nazione da un re, o legislatore enotrio. Nel nome Osco del paese Vitellium v' ha un rapporto manifesto con Vitellio figlio di Fauno (16) e di una dea Vitellia in grande venerazione presso molti cantoni dell'Italia (17). Questi senza dubbio non è diverso di quell' Italo re di cui abbiamo parlato. S'egli è possibile d'indovinar qualche cosa su le vetuste genealogie dei popoli veramente italici, si è che le diverse progenie son sempre tratte da Fauno, quella degl' Enotri per via di Vitellio, e l'altra dei latini in grazia di Latino.

Itali sono gl' Enotrj per quel che ne dicono i Greci. E senza dubbio, in un più generale riguardo, si può benc applicar questo nome a tutti i popoli del medesimo ceppo, siano Tirreni, Siculi, Latini. Di qui il soprannome di Vitulo, con cui si distingue un ramo della casa o gente mamilia, come Turino o Tirreno ne designa un' altro. Era un uso confermato dagl' antichi fasti di Roma, che le illustri famiglie assumessero dei soprannomi distinti seconda i popoli ai quali erano legati per sangue o per ospitalità. La parte meridionale della penisola abitata da questa grande nazione, o per lo meno tutto ciò ch'è fra il Tebro e i

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