Immagini della pagina
PDF
ePub

ridionale s' applicava al nord. Allora l'Italia propriamente detta si compose di cinque provincie annonarie, chiamate Emilia, Liguria, Flaminia, Venezia ed Istria (43); fu da quest' uso che si nomò il regno dei Lombardi, e benchè vi mancasse l'Istria poterono senza presunzione dargli questo titolo per l' estensione delle sue frontiere verso il sud.

Dionigi d'Alicarnasso ci dice (44) che prima d' Ercole i Greci chiamavano tutta la penisola Esperia od Ausonia e che gl' indigeni la nominavano Saturnia. Nè spenderemo le nostre parole a dar nota di folli a quelli che vollero fermare storicamente ciò che nei tempi mitologici si è fatto più o men tardi. Contentandoci di dire che ci pajouo più consentanee le sottili osservazioni dei critici d'Alessandria che biasimavano gravemente Apollonio d' aver parlata dell'Ausonia nella sua spedizione degl' Argonauti, quando un tal nome non poteva venire a questo paese che da un figlio d'Ulisse e di Calipso (45). I poeti Romani seguendo dei Greci predecessori che più non abbiamo hanno spesso fatto uso della parola Esperia come nome archeologico dell' Italia. Negl' autori Greci che ci sono rimasti si rinviene ben di rado, e nei più antichi non s' accomoderebbe mai convenientemente all' Italia, Le iscrizioni della tavola iliaca fanno presumere che Stesicore nel suo l'lov mesdis cantasse la partenza d' Enea per l' Esperia (46), e in Dionigi, dice Agatillo, che Enea si mosse verso l' Esperia (47). Appollonio racconta che il Dio del sole condusse Circe su la riva tirseniense nel paese d' Esperia. Ma propriamente parlando e considerandola come Esperia Magna, questa denominazione abbraccia tutto l'occidente; era come una quarta parte del mondo a cui spettava tanto l'Iberia, quanto l'Italia. A questa forma secondo l'uso del nostro discorso il Levante e l' Anatolia sono compresi nell' Oriente come

ne fossero parti. Ma le parole dei poeti sull' Esperia mirando quasi sempre all' Italia, mentre appena s'occupavano dell' Iberia, n' uscì l'opinione che l' Esperia era Italia, e più tardi l'uso di così chiamarla. Il nome Ausonia ha come quello d'Italia varcati i limiti d' una mera denominazione di cantone. In questo significato era l'equivalente di Opica, e siccome i Greci nella fine del 4 secolo di Roma, chiamavano Opici tutti i popoli dell' Italia di Timeo, essi cominciarono nel linguaggio poetico a porre in uso la parola Ausonia in questo senso più largo (49). Ciò si sarà praticato dagli scrittori che più non abbiamo, assai tempo prima di Licofrone che, dopo il 560, chiama così tutta la parte meridionale della penisola, ad eccezione della Tirrenia e dell' Ombrica (50). Altri appellano Ausonia il paese ch'è posto fra l'Appennino e il mare inferiore, e dietro questo secondo significato più ampio, Apollonio che scriveva sotto Tolomeo Evergete, dal 505 al 531 usa questo nome per tutta la costa d'Italia verso il mare inferiore (51), compresa pur anche l' Etruria (52).

Saturnia, nome che secondo Dionigi veniva usato negli oracoli sibillini ( egli non ha potuto consultare che dei libri recenti e falsati) era forse secondo gl' antichi Greci il nome d' una porzione del centro dell' Italia comprendendovi il Lazio, di cui però non si saprebbero più determinare i confini. Quindi i versi Saturnini cantati nel ritmo proprio a queste nazioni. Ma le traccie di un tal nome sono così lievi che tutto ciò che possiamo asseverare con persuasione, si è che non fu mai diffuso per dinotare tutta

la penisola.

Italia, Enotria, Ausonia o Opica (53), Tirennia Japigia ed Ombrica sono denominazioni tratte dai nomi greci dei popoli, che nel tempo in cui fioriva la Magna Grecia,

abitavano le coste della penisola, e tale fu il numero delle contrade che la Gorografia dei Greci conosceva al sud del Po, e all' est della Magra. La più parte delle cose che noi sappiamo su l'Italia pei tempi anteriori a Roma, ci furono trasmesse dai Greci, e le ricerche che conducono con qualche lume ad iscoprire un vincolo fra questi popoli, si collegheranno accomodatamente per tener dietro alle loro divisioni ed ai loro intenti. Ma all'epoca in cui gli stabilimenti greci prosperavano nè Etruschi nè Sabelli erano ancora apparsi su la loro terra. Così quest' antica divisione. non li conosce per nulla, nè loca i poderosi governi che i Sabelli fondarono nel paese degl' antichi Itali od Opici, sotto i nomi di Sanniti, Lucani, o di Campani. Nell' Archeologia degl' antichi popoli italici, dove sto per entrare, prenderanno come gl' Etruschi il posto che gl' appartiene.

GL' ENOTRJ ED I PELASGI.

Ferecide parlando dell'origine degl' Enotrj (54) disse che Enotro era uno dei venti figli di Licaone, e che gl' Enotrj ebbero da lui il nome, come i Peuceti del golfo di Jonia avevano assunto quello di suo fratello Peucezio.

Diciassette generazioni innanzi la guerra di Troja parti rono dall'Arcadia (55) con un gran numero di Greci di questi paesi e d'altri che si trovavano in angustie nella loro patria, e questa colonia, secondo l'avviso di Pausania (56), è la più antica di cui si sia serbata memoria, non solo fra i Greci, ma fra i barbari ancora.

Altri genealogisti variano sul numero dei figli di Licaone. I nomi citati da Pausania non oltrepassano i ventisei, e forse se n'è perduto qualcheduno. Appollodoro (57) parla di cinquanta figli, ma manca un nome a questo nu

merò. Infine nei due cataloghi v' ha poca conformità, Pau sania non parlando di Peucezio, Appollodoro nè di costui, nè d' Enotro. Ma ciò che v' ha di più bizzarro, si è che malgrado la qualità di fondatori di città e di stati, indicata dai nomi medesimi di questi figli di Licaone, essi, secondo questo mitologo, sarebbero tutti periti nel diluvio di Deucalione. È evidente che quest' autore o colui che copiò, ha contradittoriamente mescolata una tradizione sopra i colpevoli figli di Licaone, con un' altra che numerava, dai nomi dei pretesi fondatori, le città d'Arcadia e quelle ch' erano congiunte ad esse per vincoli d'affinità.

[ocr errors]
[ocr errors]

Niuno vorrà tener come storico questo genere di tradizione; se non che tali genealogie son degne d'attenzione, nel senso che come quelle di Mosè, danno dei lumi su le cognizioni dei popoli che sono molto antichi se si paragonano alla nostra letteratura; lumi che i genealogisti non hanno inventato di loro testa, ma che attinsero dai poemi del genere della Teogonia, o da scritti vetusti, o da opinioni generalmente accreditate. Posano senza dubbio su false ipotesi, o sopra concetti non ben intesi, esempio ne sia la tavola di Mosè; ella stringe in rapporti d' affinità dei popoli, che appartengono a famiglie affatto diverse. E concederò pur volontieri che le mitologie greche rinchiudono degl' errori ancora più fitti. Però quand' esse parlano della nazione pelasgica è forza riconoscere che queste mitologie sono d' un'epoca, in cui questo nome e il suo significato non erano degli enigma, come lo divennero in seguito specialmente per Strabone. E quantunque gl' Arcadi si fossero cangiati in Elleni la loro parentela con i Tesproti, presso i quali era Dodona, poteva essere rimasta impressa nelle ricordanze in un modo assentato. Sarà forse lo stesso circa la consanguineità degl' Epiroti e di altri popoli, consangui

neità che è indicata dalla discendenza comune di Menelao

dagl' altri Arcadi come quella di Tesproto e d'Enotro che si connette a Pelasgo. Ma non è questa la sola genealogia che tenga gl' Enotrj come Pelasgi; ve ne ha un te stimonio non sospetto, ch'è storico e possibile a un tempo, negli schiavi Italioti ch'erano chiamati Pelasgi, i quali forse in origine non erano che Enotrj (58). Altre menzioni. meno autentiche, ma più moltiplici d'assai ci additano dei Pelasgi in molte contrade d'Italia.

Il nome di questo popolo, di cui i dotti del tempo d'Augusto non trovarono vestigi fra le nazioni esistenti fu pei moderni un argomento di molte acute opinioni ed asserzioni; ed offre allo storico, che non si compiace della falsa filologia su cui si fondano queste pretensioni di conoscenza di popoli obliati, offre ripeto qualche cosa di doloroso e disaggradevole a un tempo a norma che si abusò degl' errori dell' immaginazioue in cui si trascorse rispetto i misteri e la sapienza dei Pelasgi. Questa noja m' avea altre volte distolto di parlar d'essi in una maniera generale e tanto più volontieri perchè mi pareva di dar luogo a una nuova innondazione di scritti su questo sciagurato argomento. Io voleva restringermi alle tribù pelasgiche nominate in Italia; ma per avventura le mie fatiche non parranno compite. Quelle che ostento in questo luogo non mirano ad altr' intento, che a quel medesimo che si sarebbe prefisso lo stesso Strabone, s'egli si fosse raccolto in mente tutto ciò che sapeva a questo riguardo.

I Pelasgi erano una nazione differente dagl' Elleni (59); avevano una lingua particolare, e non era il greco (60). Ma non per questo bisogna spingersi tanto lontano d'ammettere una differenza simile a quella che divideva il greco dalla lingua illirica e dal tracio. Nazioni la di cui lingua

« IndietroContinua »