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occupato la Campania; vengono poscia gl' abitatori di Cuma, dopo i Tirreni, che per ultimi sarebbero stati vinti dai Sanniti (204). Strabone annovera i Sedicini fra gl' Oschi ch'ei riputava estinti (205); d'onde ne viene che pare che abbia fatt' uso di questo nome in quel tanto che ha potuto vedere di chiaro in siffatte cose, per designare gl' Ausonj non mescolati ai Sanniti. Forse vi fu indotto dall' aver trovato negli scritti greci, il nome d'Opica dato ai Sanniti e ad altri Sabelli del sud (206). Uno scrittore di tanta eccellenza poteva schermirsi d'ogni anfibologia impadronendosi della forma latina, e dandole un significato determinato, lasciando sussistere la forma greca secondo il senso che vi si era insinuato. Non poteva ignorare ch' Opico, Opsco, o Osco non sono che un solo e medesimo nome come l'additano formalmente i grammatici Romani (207). La lingua greca non fece uso che della prima di queste forme, p. e. l'ultima rimase alla lingua latina. Per questo Strabone avrebbe dovuto senza dubbio chiamar Osco e non Opico il popolo che abitò il Sannio prima dei Sabelli (208); ma chi più cerca di essere accurato può talvolta incorrere in una simile dimenticanza.

Il nome d'Opici ricorda alla memoria dei Greci un popolo d'inculta barbarie, perchè alcuni selvaggi mercenari lo portavano. Essi davano pur questo nome ingiurioso ai Romani, nella loro qualità di parentela coi Mamertini, e questo pure ai tempi di Catone. Pertanto quando aveano d'uopo di protezione si studiavano di lusingare l'origine spartana dei Sanniti, e l'origine arcadica dei Romani. Ma se questi Opici di cui i Sanniti occuparono le terre, erano Oschi, farà meraviglia che la lingua dei conquistatori e dei popoli che ne uscirono sia chiamata Osca (209). Tuttavia se soggiornarono nel paese conquistato più numerosi

degli stessi vincitori, la loro lingua può avere prevalso, e se non si mantenne pura, ha potuto dominare nella sua mistione colle altre, quand' anche gl' Oschi avessero differito dai Sabelli e di stipite e di lingua. Così si videro i discendenti dei Lombardi adottare di corto la lingua italiana. La storia per dei secoli, non discorre che di Lombardi, quantunque fossero la minor parte della nazione, senza mai dare un cenno della loro lingua. Varrone parla formalmente di una miscela, precisamente in ciò che egli distingue fra il Sabino e l'Osco (210); ma desso non è tal testimonio dalle parole del quale si possa conchiudere che non vi avea punto d' affinità fra queste lingue (211).

La lingua osca era sparsa per tutto il sud dell' Italia, fin nel Bruzio ed in Messapia, dove nacque Ennio, che parlava l'osco e il greco come lingue materne. Convien credere che le differenze della lingua osca siano state molto grandi, perchè era parlata tanto dagl' antichi Ausonj, che da altri popoli in cui non solamente i Sabelli, ma gli Enotri stessi erano mescolati al sangue osco; e le iscrizioni che se ne serbano in diversi paesi ci rappresentano agl' occhi questi dialetti.

Ma l'Osco non è punto come l'Etrusco un mistero impenetrabile; se ci rimanesse un sol libro scritto in questa lingua non avremmo bisogno per decifrarlo d' altro soccorso che di questa lingua istessa. Fra le iscrizioni di cui ho parlato ve ne sono di certe che si possono interpretare parola per parola, ed altre di cui si può almeno raccogliere una parte di senso con una certezza assoluta. Vi si ravvisano gli elementi della lingua latina che sono alieni del greco sotto tali sembianze che nel latino hanno perduto delle sillabe, e delle desinenze come accade alle lingue che invecchiano o si mescolano ad altre. Vi si vedono usitate

delle forme e delle flessioni che nel latino non appajono che raramente o come eccezione. E quando noi stessi possiamo farci un concetto di questa lingua, non è da meravigliarsi che i Romani n'abbiano perfettamente inteso le opere teatrali; bastava la consuetudine per addomesticarvisi (212).

Torno agli Ausonj che dopo la testimonianza d' Antioco noi dobbiamo tenere come una parte della nazione Osca. In quanto all'Italia questo nome ha qualche cosa affatto estranea a lei, e non è che nella bocca dei Greci che assunse questo carattere. La forma nativa della parola non può essere stata che Auruni; perchè è evidente che ne derivò Auronzio (213). Non è necessario il testimonio di Dione Cassio nè quello di Servio per dimostrare che gli Ausonj e gli Aurunci sono un medesimo popolo (214). Gotestoro abitavano precisamente le contrade in cui Tito, Livio pose la sede degli ultimi Ausonj; e Cale lor capitale fu conquistata nel 419 mentre tre altre città sul basso Liri perirono nel 440 in una guerra di esterminio che non avevano punto provocata. Se Tito Livio nomina quivi degli Ausonj e non degli Aurunci pare che non sia per altro se non perchè rispetto questo periodo aveva gli occhi sui libri di Dionigi a cui teneva dietro senza molta attenzione come gli accade nel medesimo periodo rispetto dei Messapi, dove ne parla invece dei Sallentini come avrebbe voluto l'espressione latina.

Fra le città degli Aurunci si conosce Suessa che si trova appunto nel mezzo del territorio degli Ausonj. Dietro la menzione molto più antica che non se ne fece per un' epoca che segue d'appresso l'espulsione dei Tarquinj, è evidente che i vecchi aunali davano pure ai Volsci il nome di Aurunci, e che gli storici posteriori soltanto hanno creduto di vedere in essi due popoli (215). Aggiungete a ciò che Scillace comprende

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sotto il nome di Volsci gli abitanti di tutta la Costa lungo una giornata di navigazione oltre Circejo (216) cammino che ne guida al Volturno ove la storia loca degli Ausonj, degli Aurunci e dei Volsci. Non bisogna riguardare la parola got tale qual'è in Periplo (217) come un fallo dell' amanuense; perchè è Volsci con l'omissione del Digamma onde se ne fece Volsici che per contrazione si proferi Volsci. I Volscenti o Volcenti popolo d'altronde incognito che si nomina insieme ai Locani (218) sono senza dubbio della medesima nazione.

Sono antichi Opici ributtati dall' imigrazione Sabellica ma che però avevano riserbata la loro indipendenza sotto i Lucani; esempio meraviglioso delle modificazioni senza fine, onde furono tocchi i nomi italici (219). A questo modo del pari s'è originato il nome Volusci, che i Greci hanno adotato per designare i Volsci, nè dubito che gli Elisyci o Hèlisyci nominati da Erodoto fra i popoli presso i quali si raccolse l'armata con cui sotto Gelone i Cartaginesi invasero la Sicilia (220), non fossero Volsci. E vero che Ecateo ha disignati questi Elisyci come un popolo Ligure (221), ma questo non può essere inteso che in un senso assai vago, nell' istesso modo che al dire di Dionigi, occorse ad alcuni Greci di annoverare i Romani fra i Liguri, nell' istesso modo che Filisto attribuì ad esso i Siculi, perchè Erodoto nomina gli Elisyci come gli Iberi ed i Celti accanto ai Liguri.

Si distingue la lingua dei Volsci (222) da quella degli Oschi, cioè da quella dei paesi ove dominavano i Sabelli, e la tavola in cui sembra essere scritto il nome di Velitri, appartiene in effetto a un' altra lingua; ma l'origine di questa tavola è di soverchio incerta perchè se ne possa avere per Volsca l'iscrizione che porta.

I Sedicini di Teano che Strabone nomina formalmente per Oschi sono circonvicini degli Aurunci di Cale e del medesimo ceppo (223). Dicasi lo stesso dei Saticuli che sono un po' più lontani sul Volturno (224). Questi due nomi non sono altro che forme dedotte dai nomi più semplici di Sidici e Satici che noi non possiamo a meno così raffrontati, di riscontrare in relazione di affinità.

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Gli Equi (225) che si qualificano per un popolo antichissimo sono presso che indivisi dai Volsci nell' istoria romana appajono grandi e tremendi per Roma (326), è un popolo di montanari che ingagliardirono alla caccia esercitando continue rapine sulle terre dei loro vicini (227). A tempi della maggior floridezza il loro territorio s'estendeva sino ad Algido, fra Tusculo, Velitri e le città degl' Ernici, e sino al lago Fucino, ove non si può a meno di tenere per Equa una fortezza qualificata per Volsca di cui i Romani s' impadronirono nel 347 (228). Convien pure annoverare fra gl' Equi i Falisci di Soratte (229), nel nome dei quali s' intravede chiaramente quello dei Volsci. Nulladimeno la popolazione di Faleria e delle città che ne dipendevano non era tutta Ausonica, perchè i discendenti dei Pelasgi conservarono il culto della Giunone Argiva con le cerimonie che gl' erano particolari (230); potrebb' essere tuttavia che i conquistatori l'avessero adottato tutt' intiero com' era. E citano a proposito una parola della lingua Falisca ch' era comune al dialetto Sannitico (231).

È veramente dell' indole dell' Osco di mettere un p invece d'un q nelle parole che sono d'un tratto latine; onde profferivano pid per quid; e così via via. Per questo si potrebbe asserire con certezza che nella parola Equi si trovava la sillaba fondamentale dei nomi degl' Opici e degli Apuli espressi in latino. Gli Apuli propriamente detti non

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