Immagini della pagina
PDF
ePub

dato luogo a questa voce in grazia dell' apparente significato. Il nome pure di Casci (247) è molto antico ed autentico; questo nome in seguito prese un significato aggettivo, come presso noi quello di Goti e di Franchi è stato usato nel medesimo senso. Nel corso dell' istoria di Roma noi faremo vedere che si chiamavano ancora più propriamente Prisci, parola che poscia corse la medesima fortuna.

La leggenda secondo la quale i Trojani d'Enea, e gli indigeni di Latino hanno adottato il nome comune di Latini, porta traccie della tradizione che vorrebbe che questi Latini fossero usciti dalla fusione dei due popoli. Prisci Latini è una parola che parla ancora più chiaramente a questo riguardo nel suo vero significato di Prisci e Latini; ma questa medesima parola mostra altresì che il nome di Latini è più antico della conquista, e che per conseguenza i Siculi della contrada si nominavano cosìi. Nulladimeno il vantaggio d' ottenere un nome distintivo ben pronunciato permette di conformarsi alla tradizione che abbiamo riferito, ed all' uso che ne derivò, chiamando del nome di Latina la nazione uscita dalla conquista, ed Aborigèni gl' antecedenti abitatori del Lazio.

S'intese che questo nome potesse significare gl' antenati (248) ma si applica più naturalmente a quelli che dalla prima origine abitavano la contrada, come si direbbe in greco Autochtoni. Ciò che fece inciampo a non poter prevalere quest' opinione, si è, a quel che pare, che alcuni riguardando gli Ombrj come il più antico popolo dell'Italia, stimavano che gli Aborigeni li avessero cacciati da questo paese, come pure si diceva dei Sacrani, Degl'altri (e quivi pure si sente l'influenza dei racconti dei Greci sulle invasioni pelasgiche) credevano che gli Aborigeni non Niebuhr T. I.

6

fossero altro che una moltitudine di diverse nazioni erranti, e davano aberrigini per etimologia del nome.

Parrebbe forse che siffatto nome che è un contrassegno di astratto, gli fosse stato attribuito dagli storici d' un'epoca recente; ma quantunque sia chiaro che non è mai stato il nome di alcun popolo, è molto anteriore al tempo in cui la storia di Roma uscì dalle fasce in cui l'avviluppavano delle cronache monosillabiche. Sino verso l'anno 470 Callia, istorico d' Agatocle, parla di Latino, re degli Aborigeni (249), ed a Licofrone che d'un tratto, non sapeva altro di Roma, che il poco che aveva appreso in Timeo ed altri autori greci, Cassandra predice che Enea fonderà tre fortezze nelle contrade dei Boreigoni (250). Che in un modo versatile siano detti Aborigeni ora i nuovi venuti, ora i Tirreni, questo è veramente dell' indole dell' istoria tradizionale; ma è chiaro che la parola Autoctoni non può essere accomodata ai primi che per abuso. Catone che asseriva che la più gran parte della pianura dei Volsci era stata precedentemente in potere degli Aborigeni (251), significa apertamente con ciò gli abitatori della Maremma; perchè l'interno del paese dei Volsci non ha pianura. Ciò che non è meno fuori di dubbio si è ch'egli stesso e C. Sempronio intendevano sotto questo nome dei Pelasgi, poichè li dichiararono Argivi (252). Non può dunque essere che per una mal' intelligenza che Dionigi abbia esposto ciò che scrisse Catone delle conquiste dei Sabini, come se quest' autore avesse chiamato Aborigene il popolo espulso da essi (255). Varrone si è manifestamente reso colpevole di quest' errore, e forse aveva egli ancora prima di Dionigi rappresentati i Pelasgi come alleati degli Aborigeni, con cui espulsero in comune i Siculi, ma i Pelasgi in seguito si divisero dai loro alleati e si dispersero,

Nulladimeno i Siculi non scompajono per nulla dal Lazio ; pare anzi che verso il Tebro e nei contorni di Roma, parecchie delle loro città si serbassero indipendenti. In generale è raro che le invasioni dei popoli cangino nella sua integrità la popolazione, a meno che i conquistatori non siano degl' efferati operatori di stragi. Per l' ordinario quelli che amano la libertà abbandonano la loro patria, mentre degl'altri, e forse il maggior numero, si rassegnano al giogo del vincitore. Così pure avvenne in quest' occasione; nei huoghi conquistati una parte della nazione si congiunse ai Casci, un'altra abbandonò le proprie sedi, e collegarono quest' accidente alle tradizioni su le migrazioni marittime dei Siculi verso la Trinacria, e dei Tirreni Pelasgici verso la Grecia.

Per le tradizioni dei Greci d'Italia appare che gl'Opici è stato il popolo che violentò i Siculi a trapassare nell'isola (254). E in vero è molto dubbio che questa emigrazione abbia maggior fondamento di quello che portano altre tradizioni del medesimo genere; forse non posa che sopra un' induzione o un' ipotesi, e poichè tutti gl' Itali si chiamavano Siculi, mi pare per lo meno inverosimile che i più lontani di tutti siano arrivati in Sicilia. Ma il legame visibile con l'Osco di quegl' elementi della lingua latina che sono alieni dal greco, non consente di dubitare che i Siculi non abbiano appartenuto allo stipite Osco. Nel latino le parole osche sono compendiate e tronche, del pari che nel persiano le parole della lingua zend; come insomma. accade quasi sempre quando una lingua pesante, dura, che ha le parole di molte sillabe, è adottata da una nazione che tiene un linguaggio originale di tutt' altr' indole. Poichè noi vedevamo gl' antichi Ombrj, al tempo della loro prisca grandezza, estendersi fino al territorio dei Casci noi possiamo riguardare la tradizione adottata da Filisto, giusta

la quale i Siculi sarebbero stati cacciati dagli Ombrj e dai Pelasgi, come veramente la stessa che mosse Tucidide quando scrisse che quest' espulsione era opera degl' Opici e degli Enotrj, donde ne verrebbe che gl' Ombrj e gl'Opici che hanno nomi di tanta consonanza, non fossero in origine che una medesima nazione.

Sallustio e Virgilio ci dipinsero gl' Aborigeni come selvaggi spartiti in orde, senza costumi, senza leggi, senza agricoltura, vivendo di frutta, e di cacciagione. Questo potrebbe non essere che un vecchio sogno sul lento progredire dell' umanità, dalla brutalità efferata sino alla civiltà, sogno del genere di quelli, che sotto il nome di storia filosofica, si ripeterono a sazietà specialmente dagli stranieri nella metà dell' ultimo secolo, senza che si degnassero di risparmiarci, in questi fastidiosi racconti, la privazione della parola che avviliva l'uomo allo stato di bruto. Questi filosofi osservatori hanno in pronto innumerevoli citazioni che tolsero dai viaggiatori; ma quello a cui non hanno pensato, si è che non v' ha un solo esempio d'un popolo veramente selvaggio che sia venuto di suo libero arbitrio alla civiltà; giacchè per tutto ov' ella è stata imposta dallo straniero ne venne di conseguenza lo struggimento e la morte fisica dello stipite che la raccolse. Noi citeremo i Nattici, i Guarani, le missioni della novella California, e quelle del Capo. Ciascuna razza umana tiene da Dio la sua vocazione con un carattere proprio a questa vocazione, il suggello che la distingue. Da un' altra parte la società stava prima dell'individuo chiamato a farne parte, Ciò che questi filosofi non conoscono si è che il selvaggio sia degenerato, o che in origine non fosse uomo che per metà. Potrebbe essere tuttavia che questa tradizione non fosse che un racconto dei sudditi su la lunganimità dei loro padroni,

e

the torpivano nell' ozie, mentr' essi coltivavano le terre per loro. Non è possibile d'attribuire al solo caso la coincidenza nel latino e nel greco, delle parole che esprimono una casa, un campo, un aratro, il travaglio, il vino, l'olio, il latte, i buoi, i porci, i montoni, i pomi, e in generale tutte le parole che concernono l'agricoltura

la vita dei campi (256), mentre all' incontro tutti gli oggetti che hanno rapporto alla guerra od alla caccia sono designati con parole aliene dal greco. Se la coincidenza delle parole della prima specie non è assoluta, si è perchè non può essere altrimenti per delle lingue come quelle degl' Elleni e dei Pelasgi, che non ostante la loro compita affinità sono di diversa essenza e forse nella più gran parte.

Si tiene per fermo che gl' Aborigeni abbiano onorato Giano come autore d'un miglior genere di vita, e poi Saturno che gli educò nell' agricoltura, e stabili le loro sedi. Giano o Diano, è come lo mostra Scaligero il Dio del sole (257); è molto verosimile che Saturno e la sua donna Opi, siano l'uno il Dio, l'altra la Dea della terra; l'uno la forza vivificante, l'ara la forza che concepisce e genera i beni della terra; il suo regno è nelle sue profonde viscere. L' interpretazione che fece dei re di questi Dei, è molto moderna.

All' arrivo dei Trojani la tradizione non annoverava di Saturno che tre re degl' Aborigeni; Pico, Fauno e Latino di padre in figlio, essi non furono innalzati alle sedi celesti ed adorati come Indigeti che dopo avere abbandoData la terra. Non è che nelle più recenti narrazioni che si fa perire Latino in un combattimento contro Turno o Mesenzio; secondo la vera tradizione scomparve ed è adorato sotto il nome di Giove Laziale (258).

In un' altro dialetto latino fu chiamato anche Lavino,

« IndietroContinua »