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bene anche di ciò sia stato incolpato, od è raramente e solo per un lettore superficiale e che non abbia vacuas aures.

DELLA FORTUNA DI SALLUSTIO.

§ 43. Presso i contemporanei, come abbiamo visto, Sallustio ebbe poca fortuna. Gli erano contro, con ragione o senza, gli avversari politici. Dopo di aver passata una gioventù, se non corrotta, come vollero i nemici suoi, certo non castigata, era divenuto censore della corruzione dei piccoli e dei grandi; mostrava di biasimare le discordie e le lotte, per le quali alcuni o erano saliti o speravano di salire; appariva, insomma, un laudator temporis acti; e non è meraviglia, se, fortunato come egli fu (rari pur troppo sono quelli a cui la fortuna altrui non generi malanimo) pochi o nessuno gli volle riconoscere i pregi ch'egli aveva; anzi non si fece che cercarne e ingrandirne i difetti.

Ma più equamente giudicarono le età successive. Gran lode certo gli faceva M. Valerio Marziale (1), dicendolo Romana primus in historia, e Velleio Patercolo (2), giudicandolo Thucydidis aemulus, e Quintiliano che lo mette pari a Tucidide (3), e più Tacito, che lo disse rerum Romanarum florentissimus auctor (4). Più di onore gli fece M. Cornelio Frontone, oratore e retore famoso,. maestro e amico di M. Aurelio, vissuto fra il 100 e il 175 dell'êra nostra; il quale, per combattere la stucchevole ampollosità de' suoi tempi, non vide altra salute, che nel ritorno agli antichi, ma solo o più nelle parole che nei pensieri; e degli antichi raccomandava con insistenza Plauto, Ennio, Catone, Gracco,. Lucrezio, Sallustio. Anche Aulo Gellio, suo discepolo, prende non di rado le difese del nostro contro i malivoli reprehensores, presso i quali elegantia (5) orationis Sallustii verborumque fa-. cundia et novandi studium cum multa prorsus invidia fuit;· onde « multi non mediocri ingenio viri conati sunt reprehendere pleraque et obtrectare » .

(1) Cfr. Epig. lib. XIV, corda virorum Primus Romana

(2) Cfr. VELL. PAT. II, 36,
(3) Lib. X, 1–101.

30.

(4) Ann. III,
(5) Cfr. Lib. IV, 15.

191: « Hic erit, ut perhibent, doctorum Crispus in historia ».

2.

Lodatori e imitatori del nostro storico furono nel quarto e nel quinto secolo dell'êra volgare Ammiano Marcellino, il migliore storico dell'età sua (330-400 circa), Aurelio Vittore, Sulpicio Severo. Lo ricordano e citano spesso gli scrittori Cristiani, riportandone alcune sentenze; lo dicono veritiero S. Girolamo e Sant'Agostino. Più tardi il Petrarca, il quale non risparmiò Cicerone, chiama Sallustio nobilis veritatis historicus. Giovanni Pontano nel dialogo intitolato Actius, nome accademico di Iacopo Sannazaro, ne reca molti esempi a dimostrare i precetti, ch'egli dà intorno allo scrivere la storia, e mostra di averlo studiato, quand'egli stesso scrive i sei libri De bello Neapolitano. Bernardo Rucellai (Bernardus Oricellarius) fiorentino, padre di Giovanni, morto nel 1514, tanto lo studiò e imitò, che ne tolse di pianta alcuni pensieri (1) pure leggermente modificandoli, onde con troppa esagerazione fu da qualcuno detto che lo superasse, e meritò di essere chiamato da Erasmo alter Sallustius. Di più fecero Iacopo Bonfadio in latino e Camillo Porzio in italiano, il primo dei quali nei proemi ai cinque libri degli Annali Genovesi imita ora la intonazione, ora i pensieri della Catilinaria e della Giugurtina (2). L'altro, fu notato già da Francesco Torraca (3), si giovò di Sallustio nella « Congiura dei Baroni», che alcuna volta par che traduca, e cerchi, più che verità storica, la perfetta imitazione Sallustiana. In tempi a noi più vicini Vittorio Alfieri traduceva le due monografie per impararne stringatezza di forma e profondità di pensiero.

(1) Cfr. BERNARDI ORICELLARII, De bello Italico commentarius, Londini, 1733, nel Proemio: «< quin immo incidisse in obtrectatorum invidiam necesse est, si quid paulo accuratius reprehenderis, laudaverisque supra vires eius, qui laudem egregiam assequi nequiverit. Vitia enim per se crimini obnoxia, laus invidiae opportuna est ». E altrove. Vi compaiono qua e là, più o meno velate, imitazioni da Livio e da Tacito.

(2) Si veda il Proemio al secondo libro, dove ragiona delle virtù e del valore degli antichi Genovesi; quello del quarto, che sebbene parli di cose diverse, move dal principio della Giugurtina: «Omnes homines, qui tranquillam beatamque in terris consectantur vitam, summopere eniti oportet, ut in ea traducenda naturam ducem, tanquam deum, sequantur, eamque in rebus etiam agendis saepe numero consulant ». Nel quinto ricorda la Catilinaria.

(3) Nella prefazione a « La congiura de' baroni e il primo libro della Storia d'Italia di Camillo Porzio, Firenze, Sansoni, 1885, pagina XIX e seg.

Nelle scuole dei tempi di mezzo fu studiato forse più che qualsiasi altro storico latino; ai tempi nostri, dovunque è in fiore la cultura classica, la Catilinaria e la Giugurtina vanno per le mani dei giovani, ai quali piacciono forse più che un' orazione o un'opera filosofica di Cicerone. E utilmente vanno, perchè vi abbondano pensieri e sentenze alte, nobili, valevoli per ogni tempo, e, perchè dette in poche parole, facili da ritenere. Se aggiungiamo il periodare piuttosto breve e più corrispondente all'uso nostro, avremo dette le ragioni della preferenza della gioventù.

§ 44. tilinaria.

Ancora poche parole su la composizione della Ca

Comincia dunque con un lungo esordio sul dovere che ha l'uomo di lasciare memoria di sè dopo la morte [cap. I-IV], quindi, accennato l'argomento [cap. V, 1-8], ragiona della corruzione dei costumi, e paragona la generazione presente con le passate, i vizi di quella con le virtù e le glorie di queste [V-9 XIII]. Col cap. XIV entra in materia, ed espone come Catilina preparasse la congiura, e adescasse e traesse nelle trame la gioventù (XIV-XVI). Nel cap. XVII espone i primordi della congiura; nel XVIII ne racconta brevemente una precedente del 689. Nel XIX cap. riprende la narrazion principale e non se ne discosta più, eccetto che nei capitoli 53 e 54, dove, accennata la pochezza d'uomini degni a' suoi tempi, fa il ritratto di Cesare e di Catone. Quindi il racconto continua ininterrotto sino alla fine. I capitoli 51 e 52 contengono le orazioni di Cesare e di Catone in Senato. Dei 61 capitoli dunque, dei quali consta l'opera, 44 soli sono dati al racconto; i primi tredici contengono o considerazioni filosofiche, o storia de' primi tempi di Roma, o la descrizione dei costumi di Catilina.

§ 45.-Sono troppi, dicono. Male a proposito si ripetono i luoghi comuni intorno alla superiorità dell' animo sul corpo, e inutilmente per parlare di un fatto accaduto nel 691 si risale fino alla venuta di Enea e agli Aborigeni. La osservazione, sarebbe inutile negarlo, è giusta; e l'autore può essere scusato, non difeso. Chi vuol difenderlo dice, che la sproporzione e il

(1) SALL. Catil. VIII.

lungo proemio si devono a inesperienza di chi è al primo lavoro e non ha trovato ancora la vera via o la giusta misura. Potremmo aggiungere pure, che gli studi e lo scrivere non erano ancora stimati occupazioni degne in Roma, dove prudentissimus quisque negotiosus maxime erat. Cicerone stesso, quando, afflitto per le tristi condizioni della repubblica, non più tale, e per le disgrazie private, si dette a scrivere di filosofia, senti il bisogno di scusarsi, perchè, lasciate le cure dello stato, avea ripresi gli studi coltivati con amore in gioventù e per lungo tempo interrotti (1). Lo stesso bisogno dovette sentire Sallustio, e forse più forte, perchè dal governo della cosa pubblica egli si ritirava nel pieno vigore dell'età, mentre Cicerone l' avea lasciata, volente o no, quando volgeva già verso la vecchiezza; e perciò, se Cicerone potea trovare scusa nell'età e nelle sventure, egli non poteva, anzi lo accusavano forse di viltà per aver lasciate le lotte politiche appena gli era venuto meno il potente protettore. Onde le osservazioni sul dovere che ha ognuno di cercare di non morir tutto, e su l'eccellenza dell'animo, e su le ragioni che l'aveano fatto ritirare nella vita privata, appariranno un po' lunghe forse, ma fuor di luogo in tutto e per tutto non sono. Chè se ricordiamo ancora, come s'è detto più volte, che Sallustio s'era prefisso un fine morale, ed avea l'animo e la mente e gli occhi pieni della corruzione che dilagava e traeva lo stato alla disoluzione, ci spiegheremo e condoneremo più facilmente le prediche, le sentenze, le digressioni.

(1) Cfr. Cic. Tusc. I, 1.

C. SALLUSTI CRISPI

BELLUM CATILINAE

Omnis homines, qui sese student praestare ceteris anima- 1. libus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti

1.-4. L'uomo, composto d'anima e di corpo, deve cercare di lasciar memoria di sè; proprio dei bruti è provvedere solo al corpo. Nell'uomo il corpo deve obbedire e l'animo comandare; e miglior fama si procaccia uno, se a quella tende con le forze dell' animo, che se con quelle del corpo [cap. I, 1-6]. — Finchè ognuno fu pago del suo, coltivarono i principi o l' animo o il corpo, secondo la inclinazione di ciascuno: ma poi, sorte, con la brama d'impero, le guerre di conquista, si vide alla prova e nei cimenti quanto più valga l'ingegno; e questo coltivarono in tempo di guerra [II, 1-2]. Non così lo coltivarono e coltivano in pace; onde la corruzion de' costumi e i mutamenti d'uomini e cose, perchè ai meno buoni succedono sempre i migliori [3-6]. E non in guerra solo può molto l'ingegno; ma si anche nell'arte di coltivare i campi, di navigare, edificare. Se non che, servi della gola e del sonno, ignoranti e incolti, parecchi passano la vita come pellegrini. Ma il viver loro non vale più che la morte, ignorati l'uno e l'altra. Quegli vive e bene usa dell' anima, che si procaccia fama con l'ingegno. Il che si può per varie vie [7-9]: a) col bene amministrare la cosa pubblica; b) con l'eloquenza; c) con opere di guerra; d) con lo scrivere storie [III, 1.]. BELLUM CATILINAE.

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no».

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Si noti che sese con l'infinito si poteva tacere; ma qui sta bene per mettere in evidenza il contrasto fra uomo e bruto. Così trovasi anche in Cic. Off. II, 20,70: ille tenuis... gratum se videri studet, ove par necessario od è per lo meno efficace a far risaltare il soggetto operante. Il medesimo si dica di volo; Cic. Off. I, 31,113: Ulixes..., cum et mulieribus... inserviret, et in omni sermone omnibus adfabilem... esse se vellet. - ope: ‹ sforzo »; l'Alfieri: << con intenso volere sforzarsi. vitam... transeant, più comune vitam degant; ma quello è più vicino al

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