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pure uno stabilimento in Sardegna; in Sicilia tanto gl' Elimj quanto i Siculi appartenevano a quel ceppo. Nelle contrade interne dell' Europa i Pelasgi occupavano la schiena settenrionale delle Alpi Tirolesi ove si ritrovano sotto il nome di Peoni e di Pannoni fino sul Danubio, se pure i Teucri ed i Dardani non erano popoli diversi.

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In tutte le prime tradizioni i Pelasgi sono nel fiore della potenza. Le cose che ci si dicono dei loro destini non ce li dimostrano in declinazione. Giove aveva messo nella bilancia la loro fortuna e quella degli Eleni. Quella dei Pelasgi dovette sottostare. La caduta di Troja era il simbolo della loro storia.

Siccome sulla riva orientale dell' Adriatico gli Illicici procedenti dal nord s' innoltrano sino allo stretto ove le montagne d'Epiro gl'appongono dei confini, così i Tusci venendo dalle medesime regioni e cacciati dai Celti o dai Germani, scendono dall' alpi in Italia. Nella Lombardia occidentale, sino al lago di Garda s'incontrano dei Liguri, una delle grandi nazioni dell' Europa che teneva tutto il paese sino ai Pirenei, e che in antico aveva abitato la Toscana. I Liguri abbandonarono la pianura al di là del Po, e passarono il Ticino per ripararsi negli Appennini. Proseguendo le loro conquiste i nuovi venuti cacciarono gli Ombrii da quella parte di Lombardia ch'è al sud del Po e dall'interno dell' Etruria settentrionale; cacciarono altresì i Tirreni Pelasgi dalla piaggia e dall' Etruria meridionale sino al Tebro. Attinsero questo termine quasi nel tempo che noi designamo come la prima terza parte del secondo secolo di Roma. L'urto dell'invasione dei Tusci mise in moto tutti i popoli fino al sommo degli Appennini, ributtando sui Siculi, i Casci e gli Oschi sospinti dai Sabini. Mentre che i Pelasgi erano espulsi o soggiogati sui lidi del tirreno, le

altre Tribù correvano un' egual sorte nell' Enotria per parte dei Greci, nella Daunia per parte degli Oschi e più lon tano sull'Adriatico, dei Sabelli, e degli Ombrii. La propagazione del moto dei Sabelli trasse più tardi gl'Opici dell'Ausonia a venire alle mani coi Latini, popoli sorti da emigrazioni d'altri antichissimi popoli del medesimo stipite. Pei mutamenti che vennero dopo non occorre un prospetto generale.

STORIA PRELIMINARE DI ROMA.

ENEA E I TROJANI NEL LAZIO.

PER venire al mio vero scopo, abbandono volontieri la cura penosa di radunare sui popoli italici, delle notizie sparse, e la più parte ingrate, e mi tolgo all'istinto che mi trae a indovinare quello che non è più, seguendo del mio sguardo delle reliquie bene spesso incerte. Ad ogni modo mi converrà soffermarmi ancora per qualche tempo su un terreno della medesima natura, di quello che abbiamo lasciato or ora; ma egli appartiene a Roma, e ci è forza attraversarlo per giungere alla sua storia mitica, che noi dobbiamo correre separatamente, non però

escludere dalle nostre fatiche.

ma

Se lo scopo delle indagini su la colonia Trojana che venne dal Lazio, fosse di risolvere con qualche verosimiglianza istorica coll' ajuto di testimonj e d' indizj, se si è in effetto stabilita su questa piaggia, un uomo di sano giudizio non le vorrebbe accogliere certamente. Accuserebbe di demenza la speranza d' avere delle testimonianze su un accidente, che avanza di cinque secoli l' epoca in cui la storia Romana non era che favola e poesia. E quali vestigi se ne sarebbero conservati e quali starebbero in luogo di quelle testimonianze che sono evidentemente impossibili?

Non sappiamo noi che i Trojani d' Enea, stando pure alla narrazione che merita maggior importanza, non costituivano punto un' immigrazione capace di cangiare il popolo che la raccolse, nè d'imprimere il suo carattere in un modo visibile al nuovo ordine di cose che sorse alla sua venuta ? Il più antico racconto di Roma non rappresenta i Trojani che come l'equipaggio d' un vascello; e i più moderni che consentirebbero a un'ipotesi più numerosa, non ce l'additano che come una turba a cui basterebbe la terra di una sol villa. Che non ne sia rimasto vestigio dopo mille anni ciò non monta contro l'arrivo di questi stranieri.

L'oggetto delle indagini è di sapere se la leggenda trojana è antica ed indigena, o se i Latini l'hanno ricevuta dai Greci; di saperne insomma, se è possibile, la vera origine. Onde ci parrebbe fatica meritevole dei nostri pensieri raccogliere i tratti più solenni delle più antiche tradizioni romane che ci sono pur troppo ancora mal note.

Ne vi sia persona che sdegni questa cura perchè senza di lei l'esistenza d' Ilio sarebbe stata una favola nè avremmo potuto conoscere i peregrini che navigarono in queste incognite contrade di occidente. Senza dubbio la guerra di Troja è tutta mitica, nè si potrebbe distinguere alcuno de' suoi avvenimenti per via di indizj notabili che li rendessero più o meno verosimili; nulla di meno non si può impugnare che non abbiano il loro fondamento nella storia. E come non si può dubitare dell' essere stati gl' Atridi re del Peloponeso, del pari non si può dichiarare impossibile una navigazione verso il Lazio. L'audacia dei navigatori si lascia forse così facilmente sopraffare dall' imperfezione dell'arte? Dalle cognizioni dei loro concittadini che poltrirono a casa si possono forse misurare le loro cognizioni di paesi

lontani, in un tempo in cui non vi aveano nè libri, nè carte, nè dotti ?

La narrazione che ci tramandò che i Trojani non pe rirono tutti nella presa della città, ma che anzi ne sopravvisse una parte su cui stese lo scettro la discendenza d' Enea non è meno antica dei poemi che cantarono la guerra di Troja. Senza dubbio non ne procede per alcuna maniera che la tradizione che fa regnare la posterità di Enea fuori della Troade sui Trojani emigrati, sia contemporanea di quella; solamente si può notare che in queste due leggende non vi ha cosa che si contradica. Il noto passo dell' Iliade (307 e 308) altro non ci rivela che la continuazione di un popolo trojano. Sarebbe forse molto più verosimile che vi si accennassero dei Dardani indipendenti d'Enea presti ad occupare i campi d' Ilio lasciati vuoti dai Greci, piuttosto che immaginare uno stabilimento lontano in un paese di cui il poeta non poteva avere che qualche idea confusa, quand' anche i navigatori l'avessero di già scoperto; se questo non era che ai tempi d' Omero la Troade e l'Elesponto si trovavano da lungo tempo pieni di colonie Eoliche. Un contemporaneo della fondazione di Roma, Aretino di Mileto, se però gl' estratti della Cristomazia di Proclo non ci ingannano, si contentava a raccontare che spaventati dal portento di Laocoonte, Enea ed i suoi abbandonarono la città ricoverandosi sul monte Ida dalla strage generale. Ben è vero che in tali estratti potrebbe essere stato ommesso il fine del destino di questi profughi; ma Dionigi conosceva i poemi d' Aretino, e non pure Etiopiade, ma altresì la distruzione d' Ilio; perchè egli poggia il suo racconto sul ratto del falso Palladio (521); ma non l'aggiunse a quelli che dicevano che la statua fosse stata portata in Italia dai Trojani. Se il poeta Milesio avesse

la sua

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