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Italia non significa dunque nient'altro che il paese degli Itali. Quelli che si affaticarono senza quest' ajuto di trac dall' antico greco o tirreno i nomi d'Itali, o Ituli (13) quasi che significassero un bue mostrerebbero certo un traviamento inesplicabile se non si sapesse come i Romani ed i Greci smarrivano volontieri il filo troppo studiosi di correre dietro alle etimologie, I mitologi connessero questa spiegazione col‐ l'arrivo d'Ercole che traeva seco gl' armenti di Gerione (14). Time che viveva in un' epoca che non poteva contentarsi di simili puerilità non vide altro che un allusione alla ricchezza del paese in fatto di bestiame (15).

I Greci facevano derivare il nome della nazione da un re, o legislatore enotrio. Nel nome Osco del paese Vitellium v' ha un rapporto manifesto con Vitellio figlio di Fauno (16) e di una dea Vitellia in grande. venerazione presso, molti cantoni dell' Italia (17). Questi senza dubbio non è diverso di quell' Italo re di cui abbiamo parlato. S'egli è possibile d'indovinar qualche cosa su le vetuste genealogie dei popoli veramente italici, şi è che le diverse progenie. son sempre tratte da Fauno, quella degl' Enotrj per via di Vitellio, e l'altra dei latini in grazia di Latino,

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Itali sono gl' Enotrj per quel che ne dicono i Greci. E senza dubbio, in un più generale riguardo, si può bene. applicar questo, nome a tutti i popoli del medesimo ceppo, siano Tirreni, Siculi, Latini. Di qui il soprannome di Vitulo, con cui si distingue un ramo della casa o gente mamilia, come Turino o Tirreno, ne designa un' altro. Era un uso confermato dagl' antichi fasti di Roma, che le il lustri famiglie assumessero dei soprannomi distinti secondo, i popoli ai quali erano legati per sangue o per ospitalità. La parte meridionale della penisola abitata da questa grande nazione o per lo meno tutto ciò ch'è fra il Tebro e il

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promontorio di Gargano si chiamava dal nome d' Italia o di Vitalia (18), e quando i popoli Oschi o Sabellici ebberą distrutte, cacciate od ingojate le antiche tribù questo nome potè mantenersi ed eternarsi. Mai nè Romani, nè Sanniti tolsero da' paesi stranieri i nomi delle regioni di cui erano abitatori; se non fosse stato d' un uso indigeno, i casi della guerra, i quali risolsero quali dei due popoli avrebbe signoreggiato su la penisola, avrebbero pure deciso s' ellą si doveva chiamare Lazio o Sannio.

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Dal nome del paese si chiamarono italici i popoli abi tatori e questo pome l'accomunarono a tutti quelli dellą medesima origine, non che ai Romani, e ad alcuni stranieri che abitarono il Nord. Dopo la dissoluzione dell' antica nazione non si parlò più mai d'itali che lungo tempo dopo, eppure si vede che tutti gli abitatori della penisola si chiamavano con questo nome. Gl' Itali erano per la più parte Sabelli, e quest' unità di comune origine, di lingua e di leggi fu vieppiù rassodata da loro e dagl' altri popoli che non erano Greci in grazia di civili rapporti con Roma, La guerra dei Marsi fece vedere che si contayano per un sol popolo. Prima gl' Etruschi e gl' Ombrii s'erano astenuti di farsi partecipi alle guerre d'Annibale; ma in quella dei Marsi corsero all' armi tutti i cittadini d'Italia quant' era estesa; denominarono italica il capo della loro lega, e le monete federali portano i nomi d' Italia o di Vitellio (19).

Il significato indigeno e più largo della parola Itálią dimorò lungo tempo estraneo ed insolito per i Greci, chę non consideravano come Itali che gli Enotrii. Si figuravano questa contrada di larghi o d' angusti confini, secondo che le tradizioni o l' istoria stringevano od allargavano le fronțiere degl' Enotrii. Stimavano che la pristina Italia non fosse che la penisola formata dall' istmo largo non più che

venti miglia (20) tra il golfo scilletico e il golfo nepe

tico (21), in quel lato dove l'Appennino e la catena che scende dall' Etna, ch'è interrotta presso Reggio, si legano, per così dire, in umili colli: è la parte più meridionale, che in seguito fu detto Abbruzio. È quella parte che conosceva Antioco figlio di Zenofane di Siracusa, che Aristotele cita senza pur nominarlo, ma appoggiandosi al testimonio degli indigeni che conoscevano le tradizioni.

Quest' Antioco non era, per vero dire, un autore d ́un'alta antichità, come lo chiama Dionigi (22); ma forse un giovane contemporaneo d' Erodoto perchè terminò la sua storia di Sicilia nell'anno 329 (olimpiade 89, 2) (23). In ogni modo era il più antico scrittore di quelle contrade; e non d'altri che da lui Dionigi imparò, che in un senso più largo si chiamava Italia (24) il paese che s'estende da Taranto sino a Posidonia quando vi avevano sede dei popoli Enotri; cosa ch' egli riferisce alle più vetuste età ove i destini dei popoli sono raccontati sotto la forma d'istoria da principi omonimi. Se non che in quanto ai suoi tempi, Antioco riserrava Italia in troppo brevi confini, Egli dal fiume Lao che in seguito divise la Lucania dall' Abruzzio traeva una linea sino a Metaponto (25); perchè i Lucani s'erano già innoltrati nel paese e ne avevano conquistata la parte occidentale. Egli loca Taranto in Japigia, fuori d' Italia. Tucidide che scriveva verso il 350 divise nell' istesso modo la Japigia e l'Italia (26). Per ciò i Tarentini non partecipano in niun modo alla denominazione d'Italioti (27), che del resto non si sostava á Velia, ma s'allargava senz' ostacolo sino a Posidonia. Ma nessun greco anteriore ai successori Macedoni di Alessandro citerà mai Cuma di Calcide come una città d'Italia, dirà ch'ell' è

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nell' Opica, (28) come Aristotele chiama il Lazio un cantone dell' Opica (29).

L'Italia pare ancora più breve di confini ed angusta verso oriente, nel Trittolemo di Sofocle, di cui sventuratamente Dionigi (30) non ha citati che tre versi. Secondo il costume che serbavano gli Dei nelle tragedie, di tracciare il cammino che avevano da tenere coloro che s'erano assunte lunghe peregrinazioni, Gerere insegna all' Eroe d'Eleusi, come costeggiando, egli porterà i suoi benefici nelle contrade occidentali: dal promontorio di Japigia, seguirà la costa d' Italia, poi volgendosi per la Sicilia, ritornerà sul continente, e se ne andrà per l'Enotria, lungo il golfo Tirreno fino in Ligistica. Questa piaggia orientale era l'Italia, ricca della bianchezza de' suoi frumenti (31), come canta il poeta nella sua tragedia; quivi era Siriti tanto vantata dai greci e la campagna di Metaponto. È chiaro che il poeta non dà queste lodi alla fertile Campania, come avrebbe fatto se fosse stato nudrito nelle opinioni di Roma. Un autore più recente, che affatto al bujo di ciò che correva nell' età sua, scrisse coll' ajuto di vecchi libri, la corografia (32), la variabilissima cioè di tutte le scienze, denomina Enotria (33) tutta la costa dal Faro sino a Posidonia; ma non per questo ci è meno utile, poichè ci tien luogo di quei libri che non abbiamo più.

Lungo tempo dopo si vide durare ancora quell' antico modo di discorso almeno fra gli scrittori Ateniesi. Nel frammento d' una spiegazione di ciò che noi chiamiamo la Rosa dei venti, frammento attribuito ad Aristotele è detto che il Tracio, porta in Italia ed in Sicilia il nome di Circas Circio) perchè soffia dal promontorio di Circejo (34). E dai luoghi che si annoverano pel medesimo vento, tanto in Tracia, a Lesbo che a Megara è chiaro che si tratta Niebuhr T. I. 3

d'un vento nord-ovest. Ora Circejo in quanto alla Sicilia ed alla Calabria può essere tenuto come posto a un dipresso su la medesima direzione. Per verità io non attribuisco questo frammento ad Aristotele perchè contradice a degl' altri scritti che sono senza dubbio di lui (35). È certo tuttavia che non è però più antico (36). E forse è di Teofrasto come un altro libro che s'è mischiato all' opere di Aristotele (37). Quegli distingue il Lazio dall' Italia (38) in un passo della sua storia delle piante, che certamente non è stato scritto gran tempo dopo la morte di Cassandro (39). Olimp. 120, 3, 455.

Ma verso il medesimo tempo, il re Demetrio faceva intendere ai Romani che non era conveniente che un medesimo popolo signoreggiasse l'Italia ed armasse Corsari, (40) e precisamente l'Italia, che ai tempi d' Antioco era tenuta come indipendente dalla loro potenza. I Tarentini chiamarono Pirro in Italia, come lo dice Pausania (41)? È ciò che noi non possiamo risolvere sull' espressione non troppo misurata di questo scrittore d' un' epoca più recente. Tuttavia non è quasi permesso di dubitarne, perchè ciò che nell' uso del discorso latino si chiamava allora Italia era quasi iutieramente sottoposto al dominio romano, e più lę città greche che c'erano ancora si sentivano deboli a paragone dei popoli italici, più dovevano chiamare il paese dal nome che gli davano i Romani. È dunque tutt' al più al principio della guerra di Pirro che trapassò nei libri greci l'uso di questa parola.

La collezione delle cose maravigliose che si trova nelle opere d'Aristotele non può essere di lui, e se lo spirito e lo stile di questo libro non bastassero a convincerne, la menzione di Cleonimo e d' Agatocle potrebbe almeno compire la prova. Però bisogna che questa collezione sia stata

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