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seritta avanti la fine della prima guerra punica, perchè vi si parla della provincia cartaginese in Sicilia. Molti fatti e specialmente quelli che concernano l'Europa occidentale sono evidentemente tratti da Timeo, la di cui storia è tutta piena di fatti maravigliosi. Ora Timeo scriveva verso il 490, o un poco più tardi, e in quanto alle ricerche che noi facciamo questa collezione d'annedoti può senza inconveniente essere riguardata come contemporanea. Quivi si dà all'Italia una notabile estensione: i Sirenusii, Cuma e Circejo ne sono veramente una parte; ma la Tirenia, e il paese degl' Ombrici sono nominati separatamente. Pare adunque che allora l'Italia senza limiti ben precisi si fosse innoltrata a un dipresso sino al Tebro e sul Piceno (42). Questa regione era grande abbastanza per essere chiamata la vasta Italia nell' epigramma del Messenio Alceo nel 557. Ma cinquant' anni avanti la guerra dei Marsi (verso il 615) Polibio usa la parola Italia in un più largo significato, traendola sino all' Alpi, e chiudendovi dentro la Gallia cisalpina e il paese di Venezia ad eccezione forse della sola metà italica della liguria. Par certo che Catone nelle sue origini abbia contato per Italia l'Etruria e l'Ombria, quantunque il fatto di aver parlato dei Liguri, degl' Euganei e dei popoli dell' Alpi non dimostri perciò che li abbia compresi nell' Italia. Perchè si sarebbe egli posta la legge di non ricercare altre origini che quelle di popoli stanziati dentro i suoi limiti? Perchè esigliare dalla sua opera tutto ciò ch' egli poteva apprendere in altre opere ?

Verso gl' ultimi tempi dell' impero romano, quando Massimiano ne trasportò la sede a Milano, lo stile degli affari restrinse ancor davvantaggio l'estensione del nome italico. Nell' istesso modo ch' era nato nell' estremità me

ridionale s' applicava al nord. Allora l'Italia propriamente detta si compose di cinque provincie annonarie, chiamate Emilia, Liguria, Flaminia, Venezia ed Istria (43); fu da quest' uso che si nomò il regno dei Lombardi, e benchè vi mancasse l'Istria poterono senza presunzione dargli questo titolo per l' estensione delle sue frontiere verso il sud.

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Dionigi d' Alicarnasso ci dice (44) che prima d' Ercole i. Greci chiamavano tutta la penisola Esperia od Ausonia e che gl' indigeni la nominavano Saturnia. Nè spenderemo le nostre parole a dar nota di folli a quelli che vollero fermare storicamente ciò che nei tempi mitologici si è fatto più o men tardi. Contentandoci di dire che ci pajono più consentanee le sottili osservazioni dei critici d'Alessandria che biasimavano gravemente Apollonio d' aver parlato dell'Ausonia nella sua spedizione degl' Argonauti, quando un tal nome non poteva venire a questo paese che da un figlio d'Ulisse e di Calipso (45). I poeti Romani seguendo dei Greci predecessori che più non abbiamo hanno spesso fatto uso della parola Esperia come nome archeologico dell' Italia. Negl' autori Greci che ci sono rimasti si rinviene ben di rado, e nei più antichi non s'accomoderebbe mai convenientemente all' Italia. Le iscrizioni della tavola iliaca fanno presumere che Stesicore nel suo l'alov Tesdis cantasse la partenza d' Enea per l' Esperia (46), e in Dionigi, dice Agatillo, che Enea si mosse verso l' Esperia (47). Appollonio racconta che il Dio del sole condusse Circe su la riva tirseniense nel paese d' Esperia. Ma propriamente parlando e considerandola come Esperia Magna, questa denominazione abbraccia tutto l'occidente; era come una quarta parte del mondo a cui spettava tanto l' Iberia, quanto l'Italia. A questa forma secondo l'uso del nostro discorso il Levante e l' Anatolia sono compresi nell' Oriente come

ne fossero parti. Ma le parole dei poeti sull' Esperia mirando quasi sempre all' Italia, mentre appena s'occupavano dell' Iberia, n' uscì l'opinione che l' Esperia era Italia, e più tardi l'uso di così chiamarla. Il nome Ausonia ha come quello d'Italia varcati i limiti d' una mera denominazione di cantone. In questo significato era l' equivalente di Opica, e siccome i Greci nella fine del 4 secolo di Roma, chiamavano Opici tutti i popoli dell' Italia di Timeo, essi cominciarono nel linguaggio poetico a porre in uso la parola Ausonia in questo senso più largo (49). Ciò si sarà praticato dagli scrittori che più non abbiamo, assai tempo prima di Licofrone che, dopo il 560, chiama così tutta la parte meridionale della penisola, ad eccezione della Tirrenia e dell' Ombrica (50). Altri appellano Ausonia il paese ch'è posto fra l'Appennino e il mare inferiore, e dietro questo secondo significato più ampio, Apollonio che scriveva sotto Tolomeo Evergete, dal 505 al 531 usa questo nome per tutta la costa d'Italia verso il mare inferiore (51), compresa pur anche l'Etruria (52).

Saturnia, nome che secondo Dionigi veniva usato negli oracoli sibillini (egli non ha potuto consultare che dei libri recenti e falsati) era forse secondo gl' antichi Greci il nome d'una porzione del centro dell' Italia comprendendovi il Lazio, di cui però non si saprebbero più determinare i confini. Quindi i versi Saturnini cantati nel ritmo proprio a queste nazioni. Ma le traccie di un tal nome sono così lievi che tutto ciò che possiamo asseverare con persuasione, si è che non fu mai diffuso per dinotare tutta la penisola.

Italia, Enotria, Ausonia o Opica (53), Tirennia Japigia ed Ombrica sono denominazioni tratte dai nomi greci dei popoli, che nel tempo in cui fioriva la Magna Grecia,

abitavano le coste della penisola, e tale fu il numero delle contrade che la Corografia dei Greci conosceva al sud del Po, e all' est della Magra. La più parte delle cose che noi sappiamo su l'Italia pei tempi anteriori a Roma, ci furono trasmesse dai Greci, e le ricerche che conducono con qualche lume ad iscoprire un vincolo fra questi popoli, si collegheranno accomodatamente per tener dietro alle loro divisioni ed ai loro intenti. Ma all'epoca in cui gli stabilimenti greci prosperavano nè Etruschi nè Sabelli erano ancora apparsi su la loro terra. Così quest' antica divisione non li conosce per nulla, nè loca i poderosi governi che i Sabelli fondarono nel paese degl' antichi Itali od Opici, sotto i nomi di Sanniti, Lucani, o di Campaní. Nell' Archeologia degl' antichi popoli italici, dove sto per entrare, prenderanno come gl' Etruschi il posto che gl' appartiene.

GL' ENOTRJ ED I PELASGI.

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Ferecide parlando dell'origine degl' Enotrj (54) disse che Enotro era uno dei venti figli di Licaone, e che gl' Enotrj ebbero da lui il nome, come i Peuceti del golfo di Jonia avevano assunto quello di suo fratello Peucezio.

Diciassette generazioni innanzi la guerra di Troja parti rono dall'Arcadia (55) con un gran numero di Greci di questi paesi e d'altri che si trovavano in angustie nella loro patria, e questa colonia, secondo l'avviso di Pausania (56), è la più antica di cui si sia serbata memoria, non solo fra i Greci, ma fra i barbari ancora.

Altri genealogisti variano sul numero dei figli di Licaoue. I nomi citati da Pausania non oltrepassano i ventisei, e forse se n'è perduto qualcheduno. Appollodoro (57) parla di cinquanta figli, ma manca un nome a questo nu

méro. Înfine nei due cataloghi v' ha poca conformità, Pausania non parlando di Peucezio, Appollodoro nè di costui, nè d'Enotro. Ma ciò che v' ha di più bizzarro, si è che malgrado la qualità di fondatori di città e di stati, indicata dai nomi medesimi di questi figli di Licaone, essi, secondo questo mitologo, sarebbero tutti periti nel diluvio di Deucalione. È evidente che quest' autore o colui che copiò, ha contradittoriamente mescolata una tradizione sopra i colpevoli figli di Licaone, con un' altra che numerava, dai nomi dei pretesi fondatori, le città d'Arcadia e quelle ch' erano congiunte ad esse per vincoli d'affinità.

Niuno vorrà tener come storico questo genere di tradizione; se non che tali genealogie son degne d'attenzione, nel senso, che come quelle di Mosè, danno dei lumi su le cognizioni dei popoli che sono molto antichi se si paragonano alla nostra letteratura; lumi che i genealogisti non hanno inventato di loro testa, ma che attinsero dai poemi del genere della Teogonia, o da scritti vetusti, o da opinioni generalmente accreditate. Posano senza dubbio su false ipotesi, o sopra concetti non ben intesi, esempio ne sia la tavola di Mosè; ella stringe in rapporti d' affinità dei popoli, che appartengono a famiglie affatto diverse. E concederò pur volontieri che le mitologie greche rinchiudono degl' errori ancora più fitti. Però quand' esse parlano della nazione pelasgica è forza riconoscere che queste mitologie sono d' un'epoca, in cui questo nome e il suo significato non erano degli enigma, come lo divennero in seguito spe cialmente per Strabone. E quantunque gl' Arcadi si fossero cangiati in Elleni la loro parentela con i Tesproti, presso i quali era Dodona, poteva essere rimasta impressa nelle ricordanze in un modo assentato. Sarà forse lo stesso circa la consanguineità degl' Epiroti e di altri popoli, consangui

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