Immagini della pagina
PDF
ePub

sino da quell' alta antichità (140). Acheo era pure uno dei nomi Pelasgici degli abitatori del paese che fu in seguito chiamato Elle. Questi Siculi Argivi o Tirreni come si voglian chiamare, furono domati da un popolo forastiero, disceso dalle montagne degli Abruzzi: nè si ricorda più il nome di questi conquistatori che si confusero insieme ai vinti in un solo popolo che si chiamò Latino. Per un errore madornale di Varrone che li nomò Aborigeni, Dionigi, troppo ligio alla sua autorità si smarri in un labirinto; congiunse cose d'indole affatto diversa, i racconti delle croniche romane e quelli di Ellanico e di Mirsiglio, di modo che bisognerebbe inferire che i Siculi fossero nemici dei Pelasgi e degli Aborigeni, che fossero barbari insomma; dove invece sotto questi tre nomi ei doveva ravvisare il medesimo popolo e ritrovare appunto quel che voleva, un popolo cioè che non era estraneo alla Grecia.

Questa sómmissione dei Siculi nel Lazio e nei paesi più meridionali, ne fece emigrare una parte ed è questo appunto che si addita come causa delle emigrazioni che li sospinse sino nella Grecia orientale sotto il nome di Tirreni e sino a trapassare nell'isola. Così fu pure la fuga di Sicelo da Roma sino presso al re italico Morgete (141). Io non immaginerò certamente di determinare colla cronologia alla mano quando accadesse questa emigrazione. Che monta per noi che Filisto la fermi ad ottant'anni prima della guerra di Troja, e che Tucidide seguace di Antioco la collochi due cento anni più tardi (142)? Ritornerò altre volte su questo primo avvenimento dell' istoria d'Italia. Quivi mi contento di far notare che Sicelo ed Italo sono il medesimo nome come appare da non poche analogie (143). Allorchè i Locri si posero in Italia trovarono dei Siculi presso Zefirio (144), e nel mezzodi della Calabria ve ne

aveano sino al tempo della guerra del Peloponeso. Gli Ita“ lieti di Antioco sono chiamati Siceli da Tucidide, e il loro re Italo (145). Morgete re degli Enotrj in un racconto di Antioco appare come re di Sicilia in una tradizione di antichità non dispregevole (146); e ciò che estende questo nome in una maniera ancora più aperta per tutta l' Italia Enotria, si è perchè Siride vi è accennata come sua figlia. In una narrazione che ci fu serbata da Servio (147), Italo re de' Siculi, trae questo popolo dall' isola nel Lazio. Stimo inutile di segnalare per l'innanzi queste inversioni della tradizione ogni volta che ci si parano d'innanzi, e mi contento di fare avvisato che questa tradizione pure dimostra che gli Enotrje i Siculi Tirreni facevano una sola nazione, e questi ultimi sono gl' Itali, secondo la più grande significazione indigena di questa parola.

Per quel che risguarda la costa, si potrebbero trovare presso i Greci non poche solenni testimonianze rispetto l'esistenza dei Pelasgi. Ma i loro poeti e genealogisti ebbero di rado occasione di discorrere dell' int rno della penisola. Però nell' istesso modo che lungo la riva del mare inferiore, e nei contorni del Liri i nomi dei luoghi attestano che vi avea un popolo consanguineo con i Greci, nell' istesso modo del pari nell' intimo del paese simili ve stigi provano la presenza di questa nazione sino al momento in cui fu vinta ed espulsa dalle forestiere tribù degli Opici e dei Sabelli. Questi vestigi stanno nei nomi di Acherontia, Telesia, Argiripa, Liponto, Malevento, Grumento (148), e la contrada che corre da un mare all' altro, su cui sono sparse queste città è la verace Italia.

Convien credere che Ellanico non conoscesse altri Pelasgi nel mare Adriatico tranne quelli di Spina, altrimenti non gli avrebbe tratti senza dubbio per così lungo spazio

i paese per farli arrivare in Italia. Ad ogni modo alcuni dettagli che per la fiducia che meritano non sono inferiori `a tanti altri ci additano dei Pelasgi su tutta la costa dall'Atterno sino al Po.

La tradizione portava che il Piceno era in possessione dei Pelasgi (149) prima d'essere occupato da una colonia di Sabelli, e Plinio che probabilmente copiava Catone, dice che innanzi agli Ombrj vi aveano dei Siculi lungo la costa ove si stabilirono i Senoni nel quinto secolo, e dové si trovava Ravenna nominata Tessalica, e le terre di Pretuzio, di Palma ed Adria (150). Sembra dunque che sia quest' Adria stessa e non la colonia molto più recente del tiranno di Siracusa che Trogo Pompeo annovera fra le città italiche che hanno un'origine greca (151). Nelle vicinanze vi era Cupra che secondo Strabone (152) era una città Tirrena onde bisogna piuttosto appropriarla agli antichi Tirreni che agli Etruschi. Sulla costa Gallica del Piceno sorge Pisauro, e le sue monete greche non consentono di tenere per Ombrj o Sabelli i suoi abitatori; forse non erano che coloni sopravvenuti d'Ancona se pure non si potrebbero tenere del pari per Siculi o per Tirreni.

Plinio dice inoltre che i Liburni abitavano coi Siculi la costa del Piceno, e che Truento città Liburna aveva sopravvissuto al tramutamento della popolazione (153). Questo per verità non si poteva più discernere al suo tempo, ma bensì all' epoca in cui visse Catone ch' egli non fa che copiare senza ponderazione. Parrebbe adunque che le due rive dell'Adriatico fossero abitate dagli Illirici ciò che non è niente di strano sia che si consenta che hanno tragittato il golfo per trasportarsi dall' una all' altra riva, sia che si accorda una più alta antichità a questa occupazione.

Ma Scillace (154) si esatto e sì degno di fede alla stessa foggia che ho tenuto io rispetto i nomi Pelasgici (155) distingue espressamente Truento, ed i Liburni della costa orientale dagl' Illirici, avendoli per un popolo diverso. Le prime nozioni istoriche che noi abbiamo ci mostrano i Liburni come molto seminati su quelle piaggie. Essi abitavano Corcira prima che fosse posseduta dai Greci (156), oltre che occupavano Issa e le isole vicine (157); ed univano di modo i Pelasgi Epiroti a quelli della spiaggia del mare dell' Italia superiore, che se io non avventuro di troppo le ipotesi, formavano essi stessi un popolo Pelasgico. Emigrazioni non meno violenti e non meno numerose di quelle che fecero le rivoluzioni che si leggono negl' annali dei popoli, mutarono l'aspetto dell' Europa molto tempo prima che il caso cominciasse la nostra storia. La spedizione degli Enchelieni d' Illiria, che s'innoltrarono, a quel che pare, sino in Grecia e saccheggiarono il tempio di Delfo (158), è uno dei moti di quest' orde innumerevoli ; accidente che si ignorerebbe senza un indizio poco preciso che non ne accenna pur l'epoca. Io vi ravviso un' innondazione di tutta la nazione illirica, venuta da lontani paesi del nord, e credo che la gente pelasgica ch' ella vinse in Dalmazia non sia stata tutta disfatta. Perchè si citano dei Pelagoni lungo la spiaggia, ed un popolo epirota di questo nome si trova ai confini della Macedonia e della Tessaglia; e quando ci si parla di Illeeni come di Greci divenuti barbari mi pare che si debba ravvisare in essi piuttosto dei Pelasgi, che quegl' Eleni lontani che non sorsero che molto più tardi in potenza ed in popolazione.

Erodoto riferendo la genealogia Teucra dei Peoni dello Strimone non esprime maggior dubbio che non è solito a mettervi in cose di questo genere. Egli s' immaginava con

tutta certezza ch'essi v' avessero posta la loro sede nella spedizione dei Teucri e dei Misj quando prima della guerra di Troja corsero coll' armi il paese che si stende sino al mar Jonio (159). E per certo essi non erano nè Tracj nè Illirj, nè si trova per avventura rispetto a quelli dello Strimone alcuna affinità di stirpe più probabile che quella che li ricongiunge ai Macedoni ed ai Bozj. Ma sta ancora nel bujo se i Greci più recenti abbiano con qualche ragionevolezza annoverati i Pannoni fra i Peoni. Una cosa che per questo lato è degna di considerazione, si è la facilità con cui i Pannoni si addomesticarono colla lingua latina, poichè sott' Augusto, poco innanzi appena che fossero venuti sotto il dominio romano, cotesta lingua era già universalmente diffusa fra loro (160). Ed è a questo modo che in Peonia, nell' alta Macedonia e nelle parti occupate dalle tribù Epirote presso Tessaglia, nacque la lingua valacca, mentre gl' Illirici conservarono la lingua schipica.

M' affretto quanto più posso di venir al termine di queste ricerche, perchè non posso dissimulare, che quanto più si allargano i Pelasgi, parrebbero sempre più suscettibili di objezione a chi legge. E mi risolvo di differire, sin dove prenderò a parlare della Japigia, i cenni che potrebbero fortificare le mie induzioni su questo paese. Ferecide fa discendere i Peucezj da Pelasgi, non meno che gli Enotrj del sud-est, e ciò che si dice delle immigrazioni illiriche dovrebbe pure estendersi agli abitanti Liburni. Sono arrivato al termine donde si scopre tutto il circolo in cui ho vişti e fatti vedere i Pelasgi, non come un assembraglia di Boemi erranti, ma come nazioni sedute su le proprie terre e fiorenti e gloriose ad un' epoca, che per la più gran parte precede la nostra storia degl' Elleni. Non è un ipotesi, ed io lo dico col più intiero convincimento sto

« IndietroContinua »