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raccomanda una simile riforma. Ebbene questa riforma, per ciò che riguarda il nostro dialetto, se non altro io l'avrò tentata, avrò aperta la via a far altrettanto e meglio; e un tale esempio sarà partito ancora dal paese a cui mi glorio d'appartenere.

NOZIONI PRELIMINARI

IL DIALETTO PIEMONTESE E LA LINGUA COMUNE

<< La lingua italiana, dice il nostro Denina, « (Bibliopea) è nata immediatamente dalla << guasta latinità. Tutti i dialetti delle diverse << province d'Italia hanno l'impronto di << questa comune origine, perochè le pa<< role fondamentali sono in tutti le stesse. « Tutti hanno i medesimi articoli, le me<< desime preposizioni, il medesimo reg«gimento. La differenza sta in alcuni vo<< caboli familiari e domestici, o nella mag« giore o minore pienezza che può pro<< durre qualche diversità nell'ortografia, «o, se vuolsi, nella forma accidentale « delle parole. Le voci più necessarie e

< più comuni sono le medesime, ed anche < con poca diversità pronunciate, e chi « legge il Varchi, il Berni, il Pulci, e il < Teatro Fiorentino potrà trovare che in«finiti vocaboli che noi crediamo meri e « pretti piemontesi, sono o furono mede<< simamente in uso fra i Toscani, e infi«nite altre parole, moltissimi proverbi e « i più usati sono parimente comuni a « tutte le province ».

Cosi il Denina, spiacendomi di poter appena qui toccare (*) ciò che il dottissimo uomo lasciò scritto sulla questione della lingua in più capitoli dell'Opera sua didattica sopracitata.

Un altro nostro concittadino di non minore autorità, il Napione, così scriveva al toscano Rosini (Torino, 27 marzo 1819) mentre fervea il lavoro immortale della Proposta.

<< Per amor del cielo, così l'illustre To<rinese, lasciamo una volta queste con<< troversie municipali. Scriviamo buoni <libri; gloriamoci d'essser Italiani, e pro

(*) Tratterò questo soggetto più di proposito altrove.

curiamo di far amare la nostra lingua << dal Piemonte infino alla Sicilia ».

«Io sebbene sia d' avviso che porre si « debba studio grande nei più lodati scrit<< tori del secolo xiv e xvi, non potrò tut<< tavia mai persuadermi che si debba in « così ristretti confini tenere la lingua, « chiamandola, come alcuni fanno, la lingua dei libri. Crederò sempre bensì che « allo studio dei libri congiunger si debba << la pratica e l'uso della lingua vivente. «Ma questa lingua tuttochè meglio si << parli in Toscana e in Roma, non si « può dire che non sia vivente anche in « tutte le altre contrade del bel paese « dove il sì suona, vale a dire in tutta « l'Italia ».

È chiaro si o no? Certo non sarà mai chiaro abbastanza per chi non vuol vedere.

Ma ogni intelletto a cui non faccia velo pregiudicio di sorta, e che non abbia solo sulle labbra la comune patria, dirà che così è, e ne godrà, non solo per sincero affetto all' Italia, ma eziandio per ben inteso attaccamento al proprio suolo, pen

sando e ripetendo coll' Autore dei Promessi

Sposi:

"D'una terra siam tutti, un linguaggio

"Parliam tutti.

Il linguaggio piemontese, dice l'eru<< dito nostro Cibrario, è sufficientemente <copioso di voci. Abbonda in esso la vocale <a...; è vibrato, immaginoso, ricco di modi « proverbiali; la pronuncia n'è vibrata e << spiccata. Ma nuoce alla sua bellezza il « grand' uso che si fa dell'e muta, dell'u << lombarda, pronunciata cioè con suono << stretto ed acuto; e la mancanza dello z.

« Il più antico documento che si cono<<sca del dialetto piemontese è dell'anno « 1321, ed è uno statuto della società po<< polare di S. Giorgio di Chieri (V. Stor. « di Chieri, p. L. Cibrario); nè tra que<< st'idioma e quello che attualmente si << parla, vi ha molto maggior differenza di << ciò che sia tra la favella italica di quel< l'età, e quella dei più moderni ».

Ma se non dei più antichi, certo. il più bel documento sono le vivaci e saporite Commedie e Farse dell' Astigiano Alioni, di circa quattro secoli fa.

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