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la maggior parte delle città di Romagna, e di più Verona, Vicenza, Padova e Trevigi. Nelle parti dell'imperadore erano Cremona, Bergamo, Parma, Reggio, Modena e Trento. Le altre città e castella di Lombardia, di Romagna e della Marca Trivigiana favorivano, secondo la necessità, or questa or quella parte. Era venuto in Italia al tempo di Ottone III un Ezelino, del quale rimaso in Italia nacque un figliuolo, che generò un altro Ezelino. Costui sendo ricco e potente si accostò a Federigo II, il quale, come si è detto, era diventato nimico del papa; e venendo in Italia per opera e favore di Ezelino, prese Verona e Mantova, e disfece Vicenza, occupò Padova, e ruppe l'esercito delle terre collegate, e dipoi se ne venne verso Toscana. Ezelino intanto aveva sottomessa tutta la Marca Trivigiana. Nè potette espugnar Ferrara, perchè difesa da Azone da Esti, e dalle genti che il papa aveva in Lombardia; donde che partita l'ossidione, il papa dette quella città in feudo ad Azone Estense, dal quale sono discesi quelli, i quali ancora oggi la signoreggiano. Fermossi Federigo a Pisa desideroso d'insignorirsi di Toscana, e nel ricognoscere gli amici e nemici di quella provincia seminò tanta discordia, che fu cagione della rovina di tutta Italia, perche le parti guelfe e ghibelline moltiplicarono, chiamandosi Guelfi quelli che seguivano la Chiesa, e Ghibellini quelli che seguivano l'imperadore; ed a Pistoia in prima fu udito questo nome. Partito Federigo da Pisa, in molti modi assaltò e guastò le terre della Chiesa, tanto che il papa, non avendo altro rimedio, gli bandì la crociata contro, come avevano fatto gli antecessori suoi contro i Saracini. E Federigo per non essere abbandonato dalle sue genti ad un tratto, come erano stati Federigo Barbarossa e gli altri suoi maggiori, soldò assai Saracini e per obbligarsegli e per fare un ostacolo in Italia fermo contro la Chiesa, che non temesse le papali maledizioni, donò loro Nocera nel regno, acciocchè avendo un proprio rifugio, potessero con maggior securtà servirlo. Era venuto al pontificato Innocenzio IV, il quale temendo di Federigo se ne andò a Genova, e di quivi in Francia, dove ordinò un concilio a Lione, al quale Federigo diliberò di andare. Ma fu ritenuto dalla ribellione di Parma, dall'impresa della quale sendo ributtato se ne andò in Toscana, e di quivi in Sicilia dove si morì, e lasciò in Svevia Corrado suo figliuolo, ed in Puglia Manfredi nato di concubina, il quale aveva fatto duca di Benevento. Venne Corrado per la possessione del regno, ed arrivato a Napoli si morì, e di lui ne rimase Corradino piccolo, che si trovava nella Magna. Pertanto Manfredi, prima come tutore di Corradino, occupò quello stato; dipoi dando nome che Corradino era morto, si fece re contra alla voglia del papa e dei Napoletani, i quali fece acconsentire per forza.

Mentre che queste cose nel regno si travagliavano, seguirono in Lombardia assai movimenti intra la parte guelfa e ghibellina. Per la guelfa era un legato del papa, per la ghibellina Ezelino, il quale possedeva quasi tutta la Lombardia di là dal Po. E perchè nel trattare la guerra se gli ribellò Padova, fece morire dodici mila Padovani, ed egli avanti che la guerra terminasse fu morto, che era di età di anni ottanta, dopo la cui morte tutte le terre possedute da lui diventarono libere. Seguitava Manfredi re di Napoli le inimicizie contra la Chiesa secondo gli suoi antenati, e tenea il papa, che si chiamava Urbano IV, in continue angustie; tanto che il pontefice per domarlo gli convocò la crociata contro, e ne andò ad aspettare le genti a Perugia. E parendogli che le genti venissero poche, deboli e tarde, pensò che a vincere Manfredi bisognassero più certi aiuti; e si volse per aiuto e favori in Francia, e creò re di Sicilia e di Napoli Carlo d'Angiò, fratello di Lodovico re di Francia, e lo eccitò a venire in Italia a pigliare quel regno. Ma prima che Carlo venisse a Roma il papa

mori, e fu fatto in suo luogo Clemente IV, al tempo del quale Carlo con trenta galee venne ad Ostia, ed ordinò che le altre sue genti venissero per terra; e nel dimorare che fece in Roma, i Romani per gratificarselo lo fecero senatore, ed il papa lo investì del regno, con obbligo che dovesse ogni anno pagare alla Chiesa cinquanta mila fiorini; e fece un decreto che per l'avvenire nè Carlo nè altri che tenessero quel regno, non potessero essere imperadori. E andato Carlo contra Manfredi lo ruppe ed ammazzò propinquo a Benevento, e s'insignori di Sicilia e del regno. Ma Corradino, a cui per testamento del padre s'apparteneva quello stato, ragunata assai gente nella Magna, venne in Italia contra Carlo, con il quale combattè a Tagliacozzo, e fu prima rotto, e poi, fuggendosi sconosciuto, fu preso e morto.

Stette la Italia quieta, tanto che successe al pontificato Adriano V. E stando Carlo a Roma, e quella governando per l'uffizio che egli aveva di senatore, il papa non poteva sopportare la sua potenza, e se ne andò ad abitare a Viterbo, e sollecitava Ridolfo imperadore a venire in Italia contra Carlo. E così i pontefici ora per carità della religione, ora per loro propria ambizione, non cessavano di chiamare in Italia uomini nuovi, e suscitare nuove guerre; e poichè eglino avevano fatto potente un principe se ne pentivano, e cercavano la sua rovina, nè permettevano che quella provincia, la quale per loro debolezza non potevano possedere, altri la possedesse. Ei principi ne temevano, perchè sempre o combattendo o fuggendo vincevano, se con qualche inganno non erano oppressi, come fu Bonifacio VIII, ed alcuni altri, i quali sotto colore di amicizia furono dagl' imperadori presi. Non venne Ridolfo in Italia, sendo ritenuto dalla guerra che aveva con il re di Boemia. In quel mezzo morì Adriano, e fu creato pontefice Niccolò III di casa Orsina, uomo audace ed ambizioso; il quale pensò ad ogni modo di diminuire la potenza di Carlo, ed ordinò che Ridolfo imperadore si dolesse che Carlo teneva un governatore in Toscana rispetto alla parte guelfa, che era stata da lui dopo la morte di Manfredi in quella provincia rimessa. Cedette Carlo all' imperadore, e ne trasse i suoi governatori, ed il papa vi mandò un suo nipote cardinale per governatore dell' imperio, talchè l'imperadore per questo onore fattogli restituì alla Chiesa la Romagna, stata dai suoi antecessori tolta a quella, ed il papa fece duca di Romagna Bertoldo Orsino. E parendogli essere diventato potente e da poter mostrare il viso a Carlo, lo privò dell' ufficio del senatore, e fece un decreto che niuno di stirpe regia potesse essere più senatore in Roma. Aveva in animo ancora di torre la Sicilia a Carlo, e mosse a questo fine segretamente pratica con Pietro re d'Aragona, la quale poi al tempo del suo successore ebbe effetto. Disegnava ancora fare di casa sua duoi re, l' uno in Lombardia, l'altro in Toscana, la potenza de' quali difendesse la Chiesa da' Tedeschi che volessero venire in Italia, e dai Francesi che erano nel regno. Ma con questi pensieri si mori, e fu il primo de' papi che apertamente mostrasse la propria ambizione, e che disegnasse, sotto colore di far grande la Chiesa, onorare e beneficare i suoi. E come da questi tempi indietro non si è mai fatta menzione di nipoti o di parenti di alcuno pontefice, così per l'avvenire ne fia piena l' istoria, tanto che noi ci condurremo ai figliuoli; nè manca altro a tentare ai pontefici, se non che come eglino hanno disegnato insino ai tempi nostri di lasciarli principi, così per lo avvenire pensino di lasciare loro il papato ereditario. Bene è vero, che per insino a qui i principati ordinati da loro hanno avuto poca vita, perchè il più delle volte i pontefici per vivere poco tempo, o ei non finiscono di piantare le piante loro, o se pure le piantano, le lasciano con sì poche e deboli barbe, che al primo vento, quando è mancata quella virtù che le sostiene, si fiaccano.

Successe a costui Martino IV, il quale per essere di nazione Francioso favori le parti di Carlo, in favore del quale Carlo mandò in Romagna, che se gli era ribellata, le sue genti; ed essendo a campo a Furli, Guido Bonatti astrologo ordinò che in un punto dato da lui il popolo gli assaltasse, in modo che tutti i Francesi vi furono presi e morti. In questo tempo si mandò ad effetto la pratica mossa da papa Niccolao con Pietro re d'Aragona, mediante la quale i Siciliani ammazzarono tutti i Francesi che si trovarono in quell'isola, della quale Pietro si fece signore, dicendo appartenersegli per aver per moglie Gostanza figliuola di Manfredi. Ma Carlo nel riordinare la guerra per la ricuperazione di quella si morì, e rimase di lui Carlo II, il quale in quella guerra era rimaso prigione in Sicilia, e per essere libero promise di ritornare prigione, se infra tre anni non aveva impetrato dal papa, che i reali di Aragona fossero investiti del regno di Sicilia.

Ridolfo imperadore in cambio di venire in Italia, per rendere all' imperio la riputazione in quella, vi mandò un suo oratore con autorità di poter fare libere tutte quelle città che si ricomperassero; ondechè molte città si comperarono, e con la libertà mutarono modo di vivere. Adulfo di Sassonia successe all'imperio, ed al pontificato Pietro del Murone, che fu nominato papa Celestino; il quale sendo eremita e pieno di santità, dopo sei mesi rinunziò il pontificato, e fu eletto Bonifacio VIII. I Cieli, i quali sapevano come ei doveva venir tempo che i Francesi ed' i Tedeschi s'allargherebbero d'Italia, e che quella provincia resterebbe al tutto in mano degl' Italiani, acciocchè il papa quando mancasse degli ostacoli oltramontani non potesse nè fermare nè godere la potenza sua, fecero crescere in Roma due potentissime famiglie, Colonnesi ed Orsini, accioc chè con la potenza e propinquità loro tenessero il pontificato infermo. Ondechè papa Bonifacio, il quale conosceva questo, si volse a volere spegnere i Colonnesi, ed oltre allo avergli scomunicati, bandì loro la crociata contro. Il che sebbene offese alquanto loro, offese più la Chiesa; perchè quell'arme la quale per carità della fede aveva virtuosamente adoperato, come si volse per propria ambizione ai Cristiani, cominciò a non tagliare. E così il troppo desiderio di sfogare il loro appetito, faceva che i pontefici appoco appoco si disarmavano. Privo, oltre di questo, due che di quella famiglia erano cardinali, del cardinalato; e fuggendo Sciarra capo di quella casa davanti a lui scognosciuto, fu preso dai corsali catelani, e messo al remo; ma cognosciuto dipoi a Marsiglia fu mandato al re Filippo di Francia, il quale era stato da Bonifacio scomunicato e privo del regno. E considerando Filippo come nella guerra aperta contro ai pontefici o e' si rimaneva perdente, o e' vi si correva assai pericoli, si volse agl'inganni, e simulato di volere fare accordo col papa, mandò Sciarra in Italia segretamente, il quale arrivato in Anagnia dove era il papa, convocati di notte i suoi amici, lo prese. E benchè poco dipoi dal popolo di Anagnia fusse liberato, nondimeno per il dolore di quella ingiuria rabbioso morì. Fu Bonifacio ordinatore del giubbileo nel Mccc, e provvide che ogni cento anni si celebrasse. In questi tempi seguirono molti travagli intra le parti guelfe e ghibelline; e per essere stata abbandonata Italia dagl' imperadori, molte terre diventarono libere, e molte furono dai tiranni occupate. Restitul papa Benedetto ai cardinali Colonnesi il cappello, e Filippo re di Francia ribenedisse. A costui successe Clemente V, il quale per essere Francioso ridusse la corte in Francia nell' anno MCCCV.

In quel mezzo Carlo II re di Napoli morì, al quale successe Ruberto suo figliuolo; ed all' imperio era pervenuto Arrigo di Lucem borgo, il quale venne a Roma per incoronarsi, nonostante che il papa non vi fusse. Per la cui venuta

seguirono assai movimenti in Lombardia, perchè furono rimessi nelle terre tutti i fuorusciti o guelfi o ghibellini che fossero. Di che ne seguì che cacciando l'uno l'altro, si riempiè quella provincia di guerra, a che l' imperadore con ogni suo sforzo non potette ovviare. Partito costui di Lombardia, per la via di Genova se ne venne a Pisa, dove s' ingegnò di torre la Toscana al re Ruberto; e non facendo alcun profitto se ne andò a Roma, dove stette pochi giorni, perche dagli Orsini con il favore del re Ruberto ne fu cacciato, e ritornossi a Pisa; e per fare più sicuramente guerra alla Toscana, e trarla dal governo del re Ruberto, la fece assaltare da Federigo re di Sicilia. Ma quando egli sperava in un tempo occupare la Toscana e torre al re Ruberto lo stato, si morì; al quale successe nell' imperio Lodovico di Baviera. In quel mezzo pervenne al papato Giovanni XXII, al tempo del quale l'imperadore non cessava di perseguitare i Guelfi e la Chiesa, la quale in maggior parte dal re Ruberto e dai Fiorentini era difesa. Donde nacquero assai guerre fatte in Lombardia dai Visconti contra i Guelfi, ed in Toscana da Castruccio di Lucca contra i Fiorentini. Ma perchè la famiglia de' Visconti fu quella che dette principio alla ducea di Milano, uno de' cinque principati che dipoi governarono l'Italia, mi pare di replicare da più alto luogo la loro condizione.

Poichè seguì in Lombardia la lega di quelle città, delle quali di sopra facemmo menzione, per difendersi da Federigo Barbarossa, Milano ristorato che fu dalla rovina sua, per vendicarsi delle ingiurie ricevute si congiunse con quella lega, la quale raffrenò il Barbarossa, e tenne vive un tempo in Lombardia le parti della Chiesa; e ne' travagli di quelle guerre, che allora seguirono, diventò in quella città potentissima la famiglia di quelli della Torre, della quale sempre crebbe la riputazione, mentre che gl' imperadori ebbero in quella provincia poca autorità. Ma venendo Federigo II in Italia, e diventata la parte ghibellina per le opere di Ezelino potente, nacquero in ogni città umori ghibellini; donde che in Milano di quelli che tenevano la parte ghibellina fu la famiglia dei Visconti, la quale cacciò quelli della Torre da Milano. Ma poco stettero fuori, che per accordi fatti tra l' imperadore ed il papa furono restituiti nella patria loro. Ma sendone andato il papa con la corte in Francia, e venendo Arrigo di Lucemborgo in Italia per andare per la corona a Roma, fu ricevuto in Milano da Maffeo Visconti e Guido della Torre, i quali allora erano i capi di quelle famiglie. Ma disegnando Maffeo servirsi dell' imperadore per cacciare Guido, giudicando l'impresa facile, per essere quello di contraria fazione all' imperio, prese occasione dai rammarichi che il popolo faceva per i sinistri portamenti dei Tedeschi, e cautamente andava dando animo a ciascuno, e gli persuadeva a pigliar l' armi, e levarsi da dosso la servitù di quei barbari. E quando gli parve aver disposta la materia a suo proposito, fece per alcun suo fidato nascere un tumulto, sopra il quale tutto il popolo prese l'armi contro il nome tedesco. Nè prima fu mosso lo scandolo, che Maffeo con i suoi figliuoli e tutti i suoi partigiani si trovarono in arme, e corsero ad Arrigo, significandogli come questo tumulto nasceva da quelli della Torre, i quali, non contenti di stare in Milano privatamente, avevano presa occasione di volerlo spogliare, per gratificarsi i Guelfi d'Italia, e diventar principi di quella città; ma che stesse di buono animo, chè loro con la loro parte, quando si volesse difendere, erano per salvarlo in ogni modo. Credette Arrigo esser vere tutte le cose dette da Maffeo, e ristrinse le sue forze con quelle de' Visconti, ed assall quelli della Torre, i quali erano corsi in più parti della città per fermare i tumulti, e quelli che poterono avere ammazzarono, e gli altri spogliati delle loro sostanze mandarono in esilio. Restato adunque Maffeo Visconti come principe in Milano rimasero

dopo lui Galeazzo ed Azzo e dopo costoro Luchino e Giovanni. Diventò Giovanni arcivescovo di quella città; e di Luchino, il quale mori avanti a lui, rimasero Bernabò e Galeazzo: ma morendo ancora poco dipoi Galeazzo, rimase di lui Giovanni Galeazzo, detto Conte di Virtù. Costui, dopo la morte dell' arcivescovo, con inganno ammazzò Bernabò suo zio, e restò solo principe di Milano, il quale fu il primo che avesse titolo di duca. Di costui rimase Filippo e Gio. Maria Angelo, il quale sendo morto dal popolo di Milano, rimase lo stato a Filippo, del quale non rimasero figliuoli maschi, dondechè quello stato si trasferl dalla casa de' Visconti a quella degli Sforzeschi nel modo e per le cagioni che nel suo luogo si narreranno.

Ma tornando donde io mi partii, Lodovico imperadore, per dar riputazione alla parte sua e per pigliare la corona, venne in Italia; e trovandosi in Milano, per aver cagione di trar danari dai Milanesi, mostrò di lasciarli fiberi, e mise i Visconti in prigione; dipoi per mezzo di Castruccio da Lucca gli liberò, e andato a Roma, per poter più facilmente perturbare l'Italia, fece Piero della Corvara antipapa; con la riputazione del quale e con la forza de' Visconti disegnava tenere inferme le parti contrarie di Toscana e di Lombardia. Ma Castruccio mori; la qual morte fu cagione del principio della sua rovina, perchè Pisa e Lucca se gli ribellarono, ed i Pisani mandarono l' antipapa prigione al papa in Francia, in modo che l'imperadore, disperato delle cose d'Italia, se ne tornò nella Magna. Nè fu prima partito costui, che Giovanni re di Boemia venne in Italia chiamato dai Ghibellini di Brescia e s' insignorì di quella e di Bergamo. E perchè questa venuta fu di consentimento del papa, ancora che fingesse il contrario, il legato di Bologna lo favoriva, giudicando che questo fusse buon rimedio a provvedere che l'imperadore non tornasse in Italia. Per il qual partito l'Italia mutò condizione; perchè i Fiorentini ed il re Ruberto, vedendo che il legato favoriva le imprese dei Ghibellini, diventarono nimici di tutti quelli, di chi il legato e il re di Boemia era amico. E senza aver riguardo a parti guelfe o ghibelline, si unirono molti principi con loro, intra i quali furono i Visconti, quelli della Scala, Filippo Gonzaga Mantovano, quelli da Carrara, quelli da Este. Dondechè il papa gli scomunicò tutti, e il re per timore di questa lega se ne andò per ragunare più forze a casa, e tornato dipoi in Italia con più genti, gli riuscì nondimeno l'impresa difficile; tanto che sbigottito, con dispiacere del legato se ne tornò in Boemia, e lasciò solo guardato Reggio e Modena, ed a Marsilio e Piero de' Rossi raccomandò Parma, i quali erano in quella città potentissimi. Partito costui, Bologna si accostò con la lega, ed i collegati si divisero intra loro quattro città che restavano nella parte della Chiesa, e convennero che Parma pervenisse a quelli della Scala, Reggio a' Gonzaga, Modena a quelli da Este, Lucca ai Fiorentini. Ma nelle imprese di queste terre seguirono molte guerre, le quali furono poi in buona parte da' Vineziani composte. E' parrà forse ad alcuno cosa non conveniente che intra tanti accidenti seguiti in Italia noi abbiamo differito tanto a ragionare de' Vineziani, sendo la loro una repubblica che per ordine e per potenza debbe essere sopra ad ogni altro principato d'Italia celebrata. Ma perchè tale ammirazione manchi intendendosene la cagione, io mi farò indietro assai tempo, acciocchè ciascuno intenda quali fossero i principj suoi, e perchè differirono tanto tempo nelle cose d'Italia a travagliarsi.

Campeggiando Attila re degli Unni Aquileia, gli abitatori di quella, poichè si furono difesi molto tempo, disperati della salute loro, come meglio poterono con le loro cose mobili sopra molti scogli, i quali erano nella punta del mare Adriatico disabitati, si rifuggirono. I Padovani ancora veggendosi il fuoco pro

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