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che Fabio fece mosso dalla carità della patria, ancora che col tacere e con molti altri modi facesse segno che tale nominazione gli premesse. Dal qual debbono pigliare esempio tutti quelli che cercano d' essere tenuti buoni cittadini.

CAPITOLO XLVIII.

Quando si vede fare uno errore grande ad un nimico, si debbe credere che vi sia sotto inganno.

Essendo rimaso Fulvio legato nello esercito che i Romani avevano in Toscana, per esser ito il consolo per alcune cerimonie a Roma, i Toscani per vedere se potevano avere quello alla tratta, posono un aguato propinquo ai campi romani, e mandarono alcuni soldati con veste di pastori con assai armento, e gli feciono venire alla vista dell' esercito romano, i quali così travestiti s'accostarono allo steccato del campo; onde il legato maravigliandosi di questa loro presunzione, non gli parendo ragionevole, tenne modo ch' egli scoperse la fraude, e così restò il disegno de' Toscani rotto. Qui si può comodamente notare, che un capitano d' eserciti non debbe prestare fede ad uno er⚫rore che evidentemente si vegga fare al nimico; perchè sempre vi sarà sotto fraude, non sendo ragionevole che gli uomini siano tanto incauti. Ma spesso il desiderio del vincere acceca gli animi degli uomini, che non veggono altro che quello pare facci per loro. I Francesi avendo vinto i Romani ad Allia, e ve‐ nendo a Roma, e trovando le porte aperte e senza guardia, stettero tutto quel giorno e la notte senza entrarvi, temendo di fraude, e non potendo credere che fusse tanta viltà e tanto poco consiglio ne' petti romani, ch'egli abbandonassino la patria. Quando nel MDVIII s' andò per gli Fiorentini a Pisa a campo, Alfonso del Mutolo cittadino pisano si trovava prigione de' Fiorentini, e promise che s' egli era libero darebbe una porta di Pisa all' esercito fiorentino. Fu costui libero. Dipoi per praticar la cosa, venne molte volte a parlare con i mandati de' commissari, e veniva non di nascosto, ma scoperto, ed accompagnato da' Pisani, i quali lasciava da parte, quando parlava con Fiorentini. Talmentechè si poteva conietturare il suo animo doppio, perchè non era ragionevole, se la pratica fusse stata fedele, ch' egli l'avesse trattata si alla scoperta. Ma il desiderio che s' aveva d'aver Pisa, accecò in modo i Fiorentini, che condottisi con l'ordine suo alla porta a Lucca, vi lasciarono più loro capi ed altre genti con disonore loro, per il tradimento doppio che fece detto Alfonso.

CAPITOLO XLIX.

Una repubblica, a volerla mantenere libera, ha ciascuno dì bisogno di nuovi provvedimenti, e per quali meriti Quinto Fabio fu chiamato Massimo.

È di necessità (come altre volte s'è detto) che ciascuno di in una città grande naschino accidenti che abbino bisogno del medico, e secondo che egli importano più, conviene trovare il medico più savio. E se in alcune città nacquero mai simili accidenti, nacquero in Roma strani e insperati; come fu

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DE' DISCORSI, LIBRO III, CAPITOLO XLIX.

quello quando e' parve che tutte le donne romane avessino congiurato contro ai loro mariti d' ammazzarli, tante se ne trovò che gli avevano avvelenati, e tante ch'avevano preparato il veleno per avvelenarli. Come fu ancora quella congiura de' Baccanali, che si scuoprì nel tempo della guerra macedonica, dov' erano già inviluppate molte migliaia d' uomini e di donne; e se la non si scuopriva, sarebbe stata pericolosa per quella città, o seppure i Romani non fussino stati consueti a gastigare le moltitudini degli uomini erranti, perchè quando e' non si vedesse per altri infiniti segni la grandezza di quella repubblica e la potenza delle esecuzioni sue, si vede per la qualità della pena che la imponeva a chi errava. Nè dubitò far morire per via di giustizia una legione intera per volta, ed una città tutta, e di confinare otto o diecimila uomini con condizioni straordinarie, da non essere osservate da un solo, non che da tanti: come intervenne a quelli soldati, che infelicemente avevano combattuto a Canne, i quali confinò in Sicilia, e impose loro che non albergassino in terre, e che mangiassino ritti. Ma di tutte l'altre esecuzioni era terribile il decimare gli eserciti, dove a sorte da tutto uno esercito era morto d'ogni dieci uno. Nè si poteva a castigare una moltitudine trovare più spaventevole punizione di questa. Perchè quando una moltitudine erra, dove non sia l'autore certo, tutti non si possono castigare per essere troppi; punirne parte e parte lasciare impuniti, si farebbe torto a quelli che si punissino, e gl'impuniti arebbono animo d' errare un' altra volta. Ma ammazzare la decima parte a sorte, quando tutti la meritano, chi è punito si duole della sorte; chi non è punito, ba paura che un' altra volta non tocchi a lui, e guardasi d'errare. Furono punite adunque le venefiche e le Baccanali, secondo che meritavano i peccati loro. E benchè questi morbi in una repubblica faccino cattivi effetti, non sono a morte, perchè sempre quasi s'ha tempo a correggerli, ma non s' ha già tempo in quel che riguardano lo stato, i quali se non sono da un prudente corretti rovinano la città. Erano in Roma, per la liberalità che i Romani usavano di donare la civiltà a' forestieri, nate tante genti nuove, che le cominciavano aver tanta parte nei suffragi, che il governo cominciava a variare, e partivasi da quelle cose e da quelli uomini dov' era consueto andare. Di che accorgendosi Quinte Fabio, ch' era censore, messe tutte queste genti nuove da chi dipendeva questo disordine, sotto quattro tribù, acciocchè non potessino, ridotte in si picciolo spazio, corrompere tutta Roma. Fu questa cosa ben conosciuta da Fabio, e postovi senza alterazione conveniente rimedio; il quale fu tanto accetto a quella civiltà, che meritò d' essere chiamato Massimo.

LA VITA DI CASTRUCCIO CASTRACANI

DA LUCCA.

A ZANOBI BUONDELMONTI ED A LUIGI ALAMANNI SUOI AMICISSIMI.

E' pare, Zanobi e Luigi carissimi, a quelli che la considerano, cosa maravigliosa, che tutti coloro o la maggior parte d' essi, che hanno in questo mondo operato grandissime cose, e tra gli altri della loro età siano stati eccellenti, abbiano avuto il principio e nascimento loro basso ed oscuro, ovvero dalla fortuna fuora di ogni modo travagliato; perchè tutti o e' sono stati esposti alle fiere, o eglino hanno avuto sì vile padre, che vergognatisi di quello si sono fatti figliuoli di Giove, o di qualche altro Dio. Quali sieno stati questi, sendone a ciascuno noti molti, sarebbe cosa a replicare fastidiosa e poco accetta a chi leggesse; perciò come superflua la posporremo. Credo bene che questo nasca, che volendo la fortuna dimostrare al mondo d' essere quella che faccia gli uomini grandi, e non la prudenza, comincia a dimostrare le sue forze in tempo che la prudenza non ci possa avere alcuna parte; anzi da lei si abbia a riconoscere il tutto. Fu adunque Castruccio Castracani da Lucca uno di quelli, il quale secondo i tempi ne' quali visse, e la città donde nacque, fece cose grandissime, e come gli altri non ebbe più felice, nè più noto nascimento, come nel ragionare del corso della sua vita s' intenderà, la quale mi è parso ridurre alla memoria degli uomini; parendomi aver trovato in essa molte cose e quanto alla virtù e quanto alla fortuna di grandissimo esempio. E mi è parso indirizzarla a voi, come a quelli che più che altri uomini che io conosca, delle azioni virtuose vi dilettate.

Dico adunque che la famiglia de' Castracani è connumerata tra le famiglie nobili della città di Lucca, ancora ch'ella sia in questi tempi, secondo l'ordine di tutte le mondane cose, mancata. Di questa nacque già un Antonio, che diventato religioso fu calonaco di San Michele di Lucca, ed in segno di onore era chiamato messer Antonio. Non aveva costui altri che una sorella, la quale maritò già a Buonaccorso Cenami; ma sendo Buonaccorso morto, ed essa rimasta vedova, si ridusse a stare col fratello con animo di non più rimaritarsi. Aveva messer Antonio dietro alla casa ch' egli abitava una vigna, in la quale, per aver ai confini di molti orti, da molte parti e senza molta difficoltà vi si poteva entrare. Occorse che andando una mattina poco poi levata di sole madonna Dianora (chè così si chiamava la sirocchia di messer Antonio) a spasso per la vigna, cogliendo, secondo il costume delle donne, certe erbe per farne certi suoi condimenti, sentì frascheggiare sotto una vite tra i pampini; e rivolti verso quella parte gli occhi sentì come piagnere. Ondechè tiratasi verso quel romore, scoperse le mani e il viso d' un bambino, che rinvolto nelle foglie pareva che aiuto le domandasse. Talchè essa parte maravigliata, parte sbigottita, ripiena di compassione e di stupore lo ricolse; e portato a casa e lavatolo e

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rinvoltolo in panni bianchi, come si costuma, lo presentò alla tornata in casa a messer Antonio. Il quale udendo il caso, e vedendo il fanciullo, non meno si riempiè di maraviglia e di pietade, che si fusse ripiena la donna. E consigliatisi tra loro, quale partito dovessero pigliare, deliberarono allevarlo, sendo esso prete, e quella non avendo figliuoli. Presa adunque in casa una nutrice, con quello amore che se loro figliuolo fusse, lo nutricorno. Ed avendolo fatto battezzare, per il nome di Castruccio loro padre lo nominarono. Crescevain Castruccio con gli anni la grazia, ed in ogni cosa dimostrava ingegno e prudenza, e presto secondo l' età imparò quelle cose, a che da messer Antonio era indirizzato; il quale disegnando di farlo sacerdote, e con il tempo rinunziargli il calonacato ed altri suoi benefizj, secondo tale fine lo ammaestrava, ma aveva trovato soggetto all' animo sacerdotale al tutto disforme. Perchè come prima Castruccio pervenne all' età di quattordici anni, e che incominciò a pigliare un poco di animo sopra messer Antonio e madonna Dianora, e non gli temer punto, lasciati i libri ecclesiastici da parte, cominciò a trattare l'armi, nè di altro si dilettava che o di maneggiare quelle, o con gli altri suoi eguali correre, saltare, fare alle braccia e simili esercizj; dove ei mostrava virtù di animo e di corpo grandissima, e di lunga tutti gli altri della sua età superava. E se pure ei leggeva alcuna volta, altre lezioni non gli piacevano, che quelle che di guerre o di cose fatte da grandissimi uomini ragionassino. Per la qual cosa messer Antonio ne riportava dolore e noia inestimabile.

Era nella città di Lucca un gentiluomo della famiglia de' Guinigi, chiamato messer Francesco, il quale per ricchezza, per grazia e per virtù passava di lunga tutti gli altri Lucchesi; l'esercizio del quale era la guerra, e sotto i Visconti di Milano aveva lungamente militato; e perchè Ghibellino era, sopra tutti gli altri che quella parte in Lucca seguitavano era stimato. Costui trovandosi in Lucca, e ragunandosi sera e mattina con gli altri cittadini sotto la loggia del podestà, la quale è in testa della piazza di San Michele, che è la prima piazza di Lucca; vide più volte Castruccio con gli altri fanciulli della contrada, in quelli esercizi che io dico di sopra esercitarsi; e parendogli che oltre al supe rarli, egli avesse sopra di loro una autorità regia, e che quelli in certo modo lo amassino e riverissino, diventò sommamente desideroso d' intendere di suo essere. Di che sendo informato dai circostanti, si accese di maggior desideric di averlo appresso, ed un giorno chiamatolo, il domandò dove più volentieri starebbe, o in casa di un gentiluomo che gl' insegnasse cavalcare e trattare armi, o in casa d'un prete, dove non si udisse mai altro che uffizj e messe? Conobbe messer Francesco quanto Castruccio si rallegrò, sentendo ricordare cavalli ed armi; pure stando un poco vergognoso, e dandogli animo messer Francesco a parlare, rispose che quando piacesse al suo messere, che non potrebbe avere maggior piacere che lasciare gli studj del prete, e pigliare quelli del soldato. Piacque assai a messer Francesco la risposta, ed in brevissimi giorni operò tanto, che messer Antonio gliene concedette; a che lo spinse p che alcun' altra cosa la natura del fanciullo, giudicando non lo potere tenere molto tempo così.

Passato pertanto Castruccio di casa di messer Antonio Castracani calonaco in casa di messer Francesco Guinigi condottiero, è cosa straordinaria a pensare in quanto brevissimo tempo ei diventò pieno di tutte quelle virtù e costumi, che in un gentiluomo si richieggono. In prima ei si fece uno eccellente cavalcatore, perchè ogni ferccissimo cavallo con somma destrezza maneggiava, e nelle giostre e ne' torniamenti, ancora che giovinetto, era più che alcun altro riguardevole; tantochè in ogni azione o forte o destra non trovava uomo che

lo superasse. A che si aggiugnevano i costumi, dove si vedeva una modestia inestimabile, perchè mai non se gli vedeva fare atto, o sentivagli dire parola che dispiacesse; ed era riverente ai maggiori, modesto con gli eguali, e con gl' inferiori piacevole. Le quali cose lo facevano non solamente da tutta la famiglia di Guinigi, ma da tutta la città di Lucca amare. Occorse in quelli tempi, sendo già Castruccio di diciotto anni, che i Ghibellini furono cacciati dai Guelfi di Pavia, in favore de' quali fu mandato dai Visconti di Milano messer Francesco Guinigi, con il quale andò Castruccio, come quello che aveva il pondo di tutta la compagnia sua; nella quale espedizione Castruccio dette tanti saggi di sè di prudenza e d'animo, che niuno che in quella impresa si trovasse, ne acquistò grazia appresso di qualunque, quanta ne riportò egli; e non solo il nome suo in Pavia, ma in tutta la Lombardia diventò grande ed

onorato.

Tornato adunque in Lucca Castruccio, assai più stimato che al partire suo non era, non mancava in quanto a lui era possibile, di farsi amici, osservando tutti quelli modi, che a guadagnarsi uomini sono necessari. Ma sendo venuto messer Francesco Guinigi a morte, ed avendo lasciato un suo figliuolo di età di anni tredici chiamato Pagolo, lasciò tutore e governatore de' suoi beni Castruccio, avendolo innanzi al morire fatto venire a sè, e pregatolo che fusse contento allevare il suo figliuolo con quella fede che era stato allevato egli, e quelli meriti che non aveva potuto rendere al padre, rendesse al figliuolo. Morto pertanto messer Francesco Guinigi, e rimasto Castruccio governatore e tutore di Pagolo, accrebbe tanto in riputazione e potenza, che quella grazia che soleva avere in Lucca, si convertì parte in invidia, talmentechè molti come uomo sospetto, e che avesse l' animo tirannico lo calunniavano tra i quali il primo era messer Giorgio degli Opizi, capo della parte guelfa. Costui sperando per la morte di messer Francesco rimanere come principe di Lucca, gli pareva che Castruccio sendo rimasto in quel governo, per la grazia che gli davano le sue qualità, gliene avesse tolta ogni occasione, e per questo andava seminando cose che gli togliessino grazia; di che Castruccio prese prima sdegno, al quale poco dipoi si aggiunse il sospetto, perchè pensava che messer Giorgio non poserebbe mai di metterlo in disgrazia al vicario del re Roberto di Napoli, che lo farebbe cacciare di Lucca.

Era signore di Pisa in quel tempo Uguccione della Faggiola d' Arezzo, il quale prima era stato eletto da' Pisani loro capitano, dipoi se n'era fatto signore; appresso Uguccione si trovavano alcuni fuorusciti lucchesi della parte ghibellina, con i quali Castruccio tenne pratica di rimetterli con lo aiuto di Uguccione, e comunicò ancora questo suo disegno con i suoi amici di dentro, i quali non potevano sopportare la potenza degli Opizi. Dato pertanto ordine a quello che dovevano fare, Castruccio cautamente affortificò la torre degli Onesti, e quella riempiè di munizione e di molta vettovaglia, per potere bisognando mantenersi in quella qualche giorno; e venuta la notte che si era composta con Uguccione, dette il segno a quello, il quale era sceso nel piano con di molta gente tra i monti e Lucca; e veduto il segno si accostò alla porta San Piero, e mise fuoco nell' antiporto. Castruccio dall' altra parte levò il romore, chia mando il popolo all' arme, e sforzò la porta dalla parte di dentro. Talchè entrato Uguccione e le sue genti, corsono la terra, e ammazzarono messer Giorgio con tutti quelli della sua famiglia, e con molti altri suoi amici e partigiani, ed il governatore cacciarono, e lo stato della città si riformò secondo che ad Uguccione piacque, con grandissimo danno di quella; perchè si trova che più di cento famiglie furono cacciate allora di Lucca. Quelle che fuggirono, una

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