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sposi in modo che e' si contentò. E notate questo, che dagli spessi suoi disordini nascono gli spessi suoi bisogni, dagli spessi suoi bisogni le spesse domande, e da quelle le spesse Diete, e dalla sua poca estimazione le deboli resoluzioni e debolissime esecuzioni.

Ma se fusse venute in Italia, voi non l'avreste potuto pagare di Diete, come fa la Magna; e tanto gli fa peggio questa sua liberalità, quanto a lui per far guerra bisogna più danari, che ad alcun altro principe; perchè i popoli suoi per esser liberi e ricchi, non sono tirati nè da bisogno, nè da alcuna affezione, ma lo servono per il comandamento della loro comunità e per il loro prezzo: inmodochè se in capo di trenta dì i danari non vengono, subito si partono, nè gli può ritenere prieghi o speranza o minaccia, mancandoli i danari. E se io dico, che i popoli della Magna sono ricchi egli è così la verità; e fagli ricchi in gran parte, perchè vivono come poveri, perchè non edificano, non vestono, e non hanno masserizie in casa, e basta loro abbondare di pane e di carne e avere una stufa dove rifuggire il freddo. Chi non ha dell' altre cose, fa senza esse, e non le cerca. Spendonsi indosso due fiorini in dieci anni, ed ognuno vive secondo il grado suo a questa proporzione, nessun fa conto di quello che gli manca, ma di quello che ha di necessità; e le loro necessità sono assai minori che le nostre, e per questo loro costume ne risulta, che non esce danaro del paese loro, sendo contenti a quello che il lor paese produce, e godono in questa loro vita rozza e libera, e non vogliono ire alla guerra, se tu non gli soprappaghi, e questo anco non gli basterebbe, se le comunità non gli comandassino; e però all' imperatore bisogneria molti più danari, che al re di Spagna, o ad altri che abbiai popoli suoi altrimenti fatti.

La sua facile e buona natura fa che ciascuno che egli ha dintorno, lo inganna ed hammi detto uno de' suoi, che ogni uomo ed ogni cosa lo può ingannare una volta, avveduto che se n'è; ma son tanti gli uomini e tante le cose, che gli può toccare d'esser ingannato ogni dì, quando e' se ne avvedesse sempre. Ha infinite virtù, e se temperasse quelle due parti sopraddette, sarebbe un uomo perfettissimo, perchè egli è perfetto capitano, tiene il suo paese con giustizia grande, facile nelle udienze e grato, e ha molte altre parti da ottimo principe, concludendo che se temperasse quelle dua, giudica ognuno che gli riuscirebbe ogni cosa.

Della potenza della Magna veruno non può dubitare, perch' ella abbonda d'uomini, di ricchezze e d'armi: e quanto alle ricchezze e' non v'è comunità che non abbia avanzo di danari in pubblico, e dice ciascuno, che Argentina ha parecchi milioni di fiorini, e questo nasce, perchè non hanno spesa, che tragga loro più danari di mano, che quella fanno in tener vive le munizioni, nelle quali avendo speso un tratto, nel rinfrescarle spendono poco, e hanno in questo un ordine bellissimo, perchè hanno sempre in pubblico da mangiare, bere, ardere per un anno, e così per un anno da lavorare le industrie loro, per potere in una ossidione pascere la plebe, e quelli che vivono delle braccia, per un anno intiero senza perdita. In soldati non ispendono, perchè tengono gli uomini loro armati ed esercitati. In salarj ed in altre cose spendono poco, talmentechè ogni comunità si trova in pubblico ricca. Resta ora, che le s'unischino co' principi a favorire le imprese dello imperatore, o che per lor medesimi senza i principi lo vogliano fare, che basterebbono. E costoro che ne parlano, dicono la cagione della disunione esser molti umori contrarj, che sono in quella provincia, e venendo ad una disunion generale, dicono che gli Svizzeri sono inimicati da tutta la Magna, le comunità da' principi ed i principi dall' imperatore. E' par forse cosa strana a dire che gli Svizzeri e le comunità sieno

inimiche, tenendo ciaschedun di loro ad un medesimo segno di salvare la libertà e guardarsi da' principi; ma questa lor disunione nasce perchè gli Svizzeri, non solamente sono inimici ai principi come le comunità, ma eziandio sono inimici ai gentiluomini, perchè nel paese loro non è dell'una nè dell'altra spezie, e godonsi senza distinzione veruna d'uomini, fuor di quelli che seggono nei magistrati, una libera libertà. Questo esemplo degli Svizzeri fa paura ai gentiluomini, che son rimasti nelle comunità, e tutta la loro industria è di tenerle disunite e poco amiche loro. Sono ancora nimici degli Svizzeri tutti quelli uomini delle comunità, che attendono alla guerra, mossi da un'invidia naturale; parendo loro d'esser meno stimati nell'arme di quelli, dimodochè non si può raccozzare in un campo sì poco, nè sì gran numero, che non si azzuffino.

Quanto alla nimicizia de' principi colle comunità e co'Svizzeri non bisogna ragionarne altrimenti, sendo cosa nota, e così di quella fra l'imperatore e detti principi; ed avete ad intendere, che avendo l'imperatore il principale suo odio contro a' principi, e non potendo per sè medesimo abbassargli, ha usato i favori delle comunità, e per questa medesima cagione daun tempo in qua ha intrattenuto gli Svizzeri, con i quali gli pareva in quest'ultimo esser venuto in qualche confidenza, tantochè considerato tutte queste divisioni in comune, ed aggiuntovi poi quelle che sono tra l'uno principe e l'altro e l'una comunità e l'altra, fanno difficile questa unione; di che lo imperatore avrebbe bisogno. E quello che ha tenuto in speranza ciascuno che faceva per lo addietro le cose dell' imperatore gagliarde e la impresa riuscibile, era che non si vedeva tal principe nella Magna, che potesse opporsi ai disegni suoi, come per lo addietro era stato. Il che era ed è la verità; ma quello, in che altri s' ingannava è, che non solamente l'imperatore può esser ritenuto, movendogli guerra e tumulto nella Magna, ma può esser ancora ritenuto, non lo aiutando; e quelli che non ardiscono fargli guerra, ardiscono levargli gli aiuti; e chi non ardisce negargliene, ha ardire, promessi che glie n' ha, di non gli osservare; e chi non ardisce ancora questo, ardisce ancor di differirgli in modo, che non sieno in tempo, che se ne vaglia. E tutte queste cose l'offendono e perturbanlo. Conoscesi questo da averli promesso, come è detto di sopra, la dieta diciannovemila persone, e non se n'esser mai viste tante che aggiunghino a cinquemila. Questo conviene che nasca, parte dalle cagioni sopraddette, parte dall' aver lui preso danari in cambio di gente, e per avventura preso cinque per dieci. E per venire ad un' altra declarazione circa alla potenza della Magna e all'unione sua, dico questa potenza esser più assai nelle comunità, che ne' principi; perchè i principi sono di due ragioni o temporali, o spirituali; i temporali sono quasi ridotti ad una grande debilità, parte per lor medesimi (sendo ogni principato diviso in più principi per la divisione eguale dell' eredità che gli osservano) parte per averli abbassati l'imperatore col favor delle comunità, come e' s'è detto, talmentechè sono inutili amici e poco formidabili nimici. Sonvi ancora, come è detto, i principi ecclesiastici, i quali se le divisioni ereditarie non gli hanno annichilati, gli ha ridotti a basso l'ambizione delle comunità loro col favore dell' imperatore; inmodochè gli arcivescovi elettori e altri simili non possono nulla nelle comunità grosse proprie; dal che ne è nato, che nè loro nè etiam le lor terre (sendo divise) insieme possono favorir l'imprese dell'imperatore, quando ben volessero.

Ma veniamo alle comunità franche e imperiali, che sono il nervo di quella provincia, dove è danari e ordine. Costoro per molte cagioni sono per esser fredde nel provvederlo, perchè la intenzione loro principale è di mantenere la

loro libertà, non d'acquistare imperio, e quello che non desiderano per loro, non si curano che altri lo abbi. Dipoi per esser tante e ciascuna far capo da per sè, le loro provvisioni, quando le vogliono ben fare, son tarde e non di quella utilità che si richiederebbe. In esempio ci è questo. Gli Svizzeri nove anni sono assaltarno lo stato di Massimiliano e la Svevia; convenne il re con queste comunità per reprimerli, e loro s'obbligarono tenere in campo quattordicimila persone, e mai vi se ne raccozzò la metà; perchè quando quelli d'una comunità venivano, gli altri se ne andavano. Talche l'imperatore disperato di quella impresa fece accordo con gli Svizzeri, e lasciò loro Basilea. Or se nell' imprese proprie egli hanno usati questi termini, pensate quello faranno nell' imprese d'altri; donde tutte queste cose raccozzate insieme fanno questa loro potenza tornare piccola e poco utile all' imperatore. E perchei Viniziani per lo commercio, ch'egli hanno co' mercanti delle comunità della Magna, l'hanno intesa meglio che verun altro d'Italia, si sono meglio opposti ; perchè s'egli avessino temuta questa potenza, e' non se gli sarebbono opposti, e quando pure e' se gli fussino opposti, s'eglino avessino creduto che si potessino unire insieme, e' non l'avrebbon mai ferita : ma perchè e' pareva lor conoscere questa impossibilità, sono stati si gagliardi, come si è visto. Non ostante quasi tutti quegl' Italiani, che sono nella corte dell'imperatore, da' quali io ho sentito discorrere le sopraddette cose, rimangono appiccati in su questa speranza; che la Magna si abbia a riunire adesso, e l'imperatore gettarsele in grembo e tenere ora quell' ordine di capitani e delle genti, che si ragionò anco nella dieta di Costanza, e che l'imperatore ora cederà per necessità, e loro lo faranno volentieri, per riavere l'onore dell' imperio, e la tregua non darà loro noia, come fatta dall' imperatore e non da loro. Al che risponde alcuno non ci prestar molta fede ch'egli abbi ad essere, perchè si vede tutto il giorno, che le cose che appartengono in una città a molti sono trascurate, tanto più debbe intervenire in una provincia; dipoi le comunità sanno, che l'acquisto d'Italia sarebbe pe' principi, e non per loro, potendo questi venire a godere personalmente li paesi d'Italia, e non loro; e dove il premio abbia ad essere ineguale, gli uomini mal volentieri egualmente spendono; e così rimane questa opinione indecisa senza potere risolversi a quello abbia ad essere. E questo è ciò che io ho inteso della Magna. Circa all'altre cose di quello, che potesse esser di pace e di guerre tra questi principi, io ne ho sentito dire cose assai, che per esser tutte fondate in su congetture, di che se ne ha qui più vera notizia e miglior giudizio, le lascierò indietro. Valete.

DISCORSO SOPRA LE COSE D' ALAMAGNA

E SOPRA L' IMPERATORE.

Per avere scritto (alla giunta mia anno qui) delle cose dello imperatore e della Magna, io non so che me ne dire più: dirò solo di nuovo della natura dell' imperatore, quale è uomo gittatore del suo sopra tutti gli altri che a' nostri tempi o prima sono stati : il che fa che sempre ha bisogno, nè somma alcuna è per bastargli in qualunque grado la fortuna si trovi. È vario perchè oggi vuole una cosa e domani no; non si consiglia con persona, e crede ad ognuno, vuole le cose che non può avere, e da quelle che può avere si discosta,

e per questo piglia sempre i partiti al contrario. È da altra banda uomo bellicosissimo, tiene e conduce bene un esercito con giustizia e con ordine. È sopportatore di ogni fatica quanto alcun altro affaticante uomo, animoso ne' pericoli, tale che per capitano non è inferiore ad alcun altro. È umano quando dà udienza, ma la vuole dare a sua posta, nè vuole essere corteggiato dagli ambasciatori se non quando egli manda per loro; è segretissimo; sta sempre in continue agitazioni d'animo e di corpo, ma spesso disfa la sera quello conclude la mattina. Questo fa difficili le legazioni appresso di lui, perchè la più importante parte che abbia un oratore che sia fuori per un principe o repubblica, si è conietturare bene le cose future, così delle pratiche come de' fatti, perchè chi le coniettura saviamente, e le fa intendere bene al suo superiore, è cagione che il suo superiore si possa avanzare sempre con le cose sue, e provvedersi ne' tempi debiti. Questa parte quando è fatta bene, onora chi è fuora, e benefica chi è in casa, ed il contrario fa quand'ella è fatta male : e per venire a descriverla particolarmente, voi sarete in luogo dove si maneggerà due cose, guerra e pratica: a volere far bene l'ufficio vostro voi avete a dire che opinione si abbia dell' una cosa e dell' altra; la guerra si ha a misurare con le genti, con il danaro, con il governo e con la fortuna, e chi ha più di dette cose si ha a credere che vincerà. E considerato per questo chi possa vincere, è necessario s' intenda qui, acciocchè voi e la città si possa meglio deliberare. Le pratiche sieno di più sorte, cioè parte se ne maneggerà infra i Viniziani e l'imperatore, parte infra l'imperatore e Francia, parte infra l'imperatore e il papa, parte infra l'imperatore e voi. Le vostre pratiche proprie vi doveriano esser facili a fare questa coniettura, e vedere che fine sia quello dell' imperatore con voi, quello che voglia, dove sia volto l'animo suo, e che cosa sia per farlo ritirare indietro, o andare innanzi; e trovatala, vedere se gli è più a proposito temporeggiare che concludere; questo starà a voi a deliberarlo circa a quanto si estenderà la commissione vostra.

DELL' ANNO MDXXVII.

PROEMIO.

DILETTISSIMO E DA ME MOLTO ONORATO COMPARE,

Sebbene la vostra dolce compagnia mi è stata sempre giocondissima, e sempre ho preso singolar piacere non solo degli onesti e cortesi costumi, ma de' piacevoli ed umanissimi ragionamenti vostri; non però, per esserne stato qualche volta privo, come più volte è avvenuto per esser voi assente, o in più gravi occupazioni implicato, ho sentito pari dolore, anzi nè anche simile in parte alcuna a quello che al presente sento, per il lungo dimorar vostro lontano dalla città; il che io attribuisco a due principali cagioni. L'una credo che sia che crescendo sempre la vostra benevolenza verso di me, con la continuazione di moltiplicarne gl' infiniti vostri benefizj, conviene ancora che cresca l'affezione mia verso di voi; quantunque, sendovi io in tanti modi più anni sono obbligato, non pensassi che appena fosse possibile che più crescere potesse. L'altra cagione è che s' egli è vero che la moltitudine delle cose e la diversità di quelle distragga le umane menti, io confesserò che la varietà delle conversazioni di molti amici, la quale al presente mi manca, non mi lasciava profondare così intensamente nella recordazione e considerazione di voi solo amico, e della vostra gentilissima consuetudine; della quale, sendone ora privato, mi accorgo che io manco in tutto di quel piacere, che altre volte solamente solevo sentire essere scemato alquanto. E non solo sono di un tale amico e di tutti gli altri ben cari miei compagni privo, ma ancora di uomini a me noti; tantochè riscontrandoli mi fosse lecito il salutarli; chè veramente se l'abito civile delle nostrali vesti, quantunque poco si vegga, non fosse, io mi crederei talora essere peregrino in qualche altra città. Onde poichè il Cielo non ci permette, unico e diletto compare, per la mortifera pestilenza pascere più le orecchie di quei dolci ragionamenti, e gli occhi di quei grati oggetti che già solevano ogni noiosa cura alleggerirne, non ci priviamo almeno di visitarci con lettere: conforto non piccolo in tutte le miserie umane. Perciò mi sono io mosso, sapendo massime quanto a chi è dilungato dalla patria è grato l' intenderne ogni minima novella, a scrivere tutto quello che nell' egregia città nostra han visto, quantunque non asciutti, gl' infelici occhi miei; e sebbene la materia poco diletto vi recherà, e l' intender voi essere fuori di sì periglioso loco vi fia grato, senzachè il certificarvi che io sia vivo, di cui forse la morte intesa avrete, vi dovrà fare men grave ogni maninconia, o altra dolorosa noia.

Non ardisco in sul foglio porre la timida mano per ordire sì noioso principio; anzi quanto più le tante miserie fra la mente mi rivolgo, più l'orrenda descrizione mi spaventa. E sebbene il tutto ho visto, mi rinnova il raccontarlo doloroso pianto, nè so anche da che parte tale cominciamento fare mi deggia, e se

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