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tosi all'orecchio di quella, umilmente si raccomandò a Roderigo, ricordandogli il benefizio fattogli, e di quanta ingratitudine sarebbe esempio se l'abbandonasse in tanta necessità. Al quale Roderigo disse: Deh villano traditore, sì che tu hai ardire di venirmi innanzi? Credi tu poterti vantare d'esser arricchito per le mie mani? lo voglio mostrar a te e a ciascuno, come io so dare e torre ogni cosa a mia posta, ed innanzi che tu ti parta di qui io, ti farò impiccare in ogni mcdo. Donde che Gio. Matteo non veggendo per all'ora rimedio, pensò di tentare la sua fortuna per un'altra via, e fatto andar via la spiritata, disse al re: Sire, come vi ho detto, e' ci sono di molti spiriti che sono sì maligni, che con loro non s' ha alcun buon partito, e questo è un di quelli: pertanto io voglio fare un'ultima sperienza la quale se gioverà, la Vostra Maestà ed io aremo l' intenzione nostra: quando non giovi, io sarò nelle tue forze, ed arai di me quella compassione che merita l'innocenza mia. Farai pertanto fare in su la piazza di Nostra Donna un palco grande e capace di tuoi baroni e di tutto il clero di questa città; farai parar il palco di drappi di seta e d'oro: fabbricherai nel mezzo di quello un altare; e voglio che domenica mattina prossima tu col clero, insieme con tutti i tuoi principi e baroni, con la real pompa, con splendidi e ricchi abbigliamenti convegniate sopra quello, dove, celebrata prima una solenne messa, farai venire l'indemoniata. Voglio oltre a questo che dall' un canto della piazza sieno insieme venti persone almeno, che abbiano trombe, corni, tamburi, cornamuse, cembanelle, cemboli ed ogni altra qualità romori, i quali quando io alzerò un cappello, dieno in quegl' instrumenti, e sonando ne vengano verso il palco. Le quali cose, insieme con certi altri secreti rimedj, credo che faranno partire questo spirito. Fu subito dal re ordinato tutto, e venuta la domenica mattina, e ripieno il palco di personaggi e la piazza di popolo, celebrata la messa, venne la spiritata, condotta in sul palco per le mani di due vescovi e molti signori. Quando Roderigo vide tanto popolo insieme, e tanto apparato, rimase quasi che stupido, e fra sè disse: Che cosa ha pensato di fare questo poltrone di questo villano? Cred' egli sbigottirmi con questa pompa? Non sa egli che io sono uso a veder le pompe del cielo e le furie dello inferno? Io lo castigherò in ogni modo. Ed accostandosegli Gio. Matteo, e pregandolo che dovesse uscire, gli disse: Oh tu hai fatto il bel pensiero! Che credi tu fare con questi tuoi apparati? Credi tu fuggir per questo la potenza mia e l'ira del re? Villano, ribaldo, io ti farò impiccare in ogni modo. E così ripregandolo quello, e quell' altro dicendogli villania, non parve a Gio. Matteo di perdere più tempo; e fatto il cenno col cappello, tutti quelli ch' erano a romoreggiar deputati, diedero in quelli suoni, e con romori che andavano al cielo ne vennero verso il palco. Al quale romore alzò Roderigo gli orecchi, e non sapendo che cosa fosse, e stando forte maravigliato, tutto stupido domandò Gio. Matteo che cosa quella fosse. Al quale Gio. Matteo tutto turbato disse: Ohimè, Roderigo mio! quella è la moglie tua che ti viene a ritrovare. Fu cosa maravigliosa a pensare quanta alterazione di mente recasse a Roderigo, sentir ricordare il nome della moglie; la quale fu tanta che non pensando s' egli era possibile o ragionevole che la fosse dessa, senza replicare altro, tutto spaventato se ne fuggì, lasciando la fanciulla libera, e volle più tosto tornarsene in inferno a render ragione delle sue azioni, che di nuovo con tanti fastidj, dispetti e pericolo sottoporsi al giogo matrimoniale. E così Belfagor tornato in inferno, fece fede de' mali che conduce in una casa la moglie, e Gio. Matteo che ne seppe più che 'l diavolo, si ritornò tosto lieto a casa.

CAPITOLI PER UNA BIZZARRA COMPAGNIA.

Sendosi ragunati insieme più uomini e donne più tempo per far chiacchiere: ed essendo accaduto, che molte volte si son fatte cose piacevoli, e molte volte dispettose, e non vi si essendo per ancora trovato modo a far le cose piacevoli diventare più piacevoli, e le cose dispettose meno dispettose; ed essendosi qualche volta pensato qualche natta, e non avendo, per poca diligenza di chi l' ha pensata, avuto effetto; è parso a chi ha qualche cervello, e nelle cose degli uomini e delle donne qualche esperienza, di ordinare, o vogliam dire regolare in modo tal compagnia, che ciascuno possa pensare, e pensando operare quelle cose, che alle donne e agli uomini e a qualunque di essi in qualunque modo giovino; però si delibera che la detta compagnia sia e si intenda essere sottoposta agl' infrascritti capitoli, formati e deliberati di comun consenso, i quali sono questi, cioè:

Che niuno uomo minore di trenta anni possa essere di detta compagnia, e le donne possano essere di ogni età.

Che detta compagnia abbia un capo, uomo o donna che sia, da stare otto di; e degli uomini sia il primo capo quello che ha di mano in mano maggior naso, e delle donne quella che di mano in mano avrà minor piè.

Niuno, o uomo o donna, che non ridicessi fra un dì le cose che si facessing in detta compagnia, sia punito in questo modo: se la è donna, si abbiano ad appiccare le sue pianelle in luogo che ognuno le vegga con una polizza da piè del nome suo: se gli è uomo, si appendano le sue calze a rovescio in luogo eminente, e da ciascuno veduto.

Debbasi sempre dir male l'uno dell' altro, e de' forestieri che vi capitassero dire tutti i peccati loro, e farli intendere pubblicamente senza rispetto alcuno.

Non si possa alcuno di detta compagnia, o uomo o donna, confessare in altri tempi che per la settimana santa; e chi contraffacesse sia obbligato, se ella è donna portare, se gli è uomo esser portato dal capo della compagnia in quel modo che a lui parrà. E il confessore si debba torre cieco, e quando egli avesse l'udir grosso, sarà tanto meglio.

Non si possa mai per alcun conto dir bene l' uno dell' altro; e se alcuno contraffacesse sia punito come di sopra.

Se ad alcuno uomo, o ad alcuna donna paresse esser troppo bella, e di questo si trovasse due testimonj, sia obbligata la donna mostrare la gamba ignuda infino sopra il ginocchio quattro dita; e se gli è uomo chiarire la compagnia se egli avesse nella brachetta fazzoletto, o simil cosa.

Sieno obbligate le donne ad andare quattro volte il mese a'Servi almeno, e di più tutte quelle volte che da quelli della compagnia fussero richieste sotto la pena del doppio.

Quando uomo o donna di detta compagnia cominciasse a dire una cosa, e gli altri gliela lasciassero fornire, siano condannati in quella pena che parrà a colu o a colei che avrà cominciata detta novella.

Deliberinsi in detta compagnia tutte quelle cose, alle quali la minor parte dei ragunati si accorderà; e i manco favori sempre ottengano il partito.

Se ad alcuno della compagnia da alcuno de' suoi fratelli o da altri fosse detto alcun segreto, e fra due di non l'abbia pubblicato, s'intenda se egli è uomo o donna incorso in pena di avere a far sempre ogni cosa al contrario, senza potersene per alcun modo, o via retta o indiretta, sgabellare.

Non si debba, nè possa tener mai in detta compagnia silenzio, ma quanto più si cicalerà, e più insieme, tanto più commendazione si meriti, e quello che fia prima a restare di ciarlare debba essere tanto stivato da tutti gli altri della compagnia, che renda conto perchè si è racchetato.

Non debbano, nè possano quelli della compagnia accomodare l'uno l'altro di cosa alcuna; ma sendo da alcuno richiesti d'imbasciate, debbano sempre riferirle al contrario.

Sia obbligato ciascuno ad avere invidia al bene dell' altro, e per questo fargli tutti quei dispetti che potrà; e potendo farne alcuno e non lo facendo, sia punito a beneplacito del signore.

Che ciascuno in ogni luogo e di ogni tempo senza alcun rispetto sia tenuto voltarsi a qualunque riso, spurgo, o altro cenno, e rispondere col medesimo, sotto pena di non poter negare cosa, di che fosse richiesto per tutto quel mese. Volendo ancora che ciascuno possa avere la sua comodità, si provvede che ciascun uomo e ciascuna donna, l'uno senza la moglie, e l'altra senza il marito, debba dormire del mese almeno quindici di netti, sotto pena di avere a dormire due mesi insieme alla fila.

Colui o colei che farà più parole e meno conclusione, sia più onorato e tenutone più conto.

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Debbano così uomini e donne di detta compagnia andare a tutti i perdoni, feste, e altre cose che si fanno per le chiese, e a tutti i desinari, merende cene commedie, veglie ed altre chiacchiere simili che si fanno per le case, sotto pena, sendo donna, di esser confinata in una regola di frati, e sendo uomo, in un monistero.

Siano tenute le donne stare i tre quarti del tempo tra le finestre e gli usci, o dinan zi o di dietro come par loro; e gli uomini di detta compagnia siano tenuti rappresentarsi loro almeno dodici volte il dì.

Che le donne di detta compagnia non abbiano ad avere suocera; e se alcuna per ancora l'avesse, debba infra sei mesi con scamonea o altri simili rimedj levarsela dinanzi : la qual medicina possano anche usare contro ai loro mariti, che non facessino il debito loro.

Non possano le donne di detta compagnia portare faldiglie o altra cosa sotto, che dia impedimento; e gli uomini tutti debbano ire senza stringhe, e in luogo di quelle usino gli spilletti, i quali siano proibiti portare alle donne, sotto pena di avere a guardare con gli occhiali il Gigante di piazza.

Che ciascuno così maschio come femmina, per dare riputazione al luogo, si debba vantare delle cose che non ha, e che non fa; e quando dicesse il vero appunto, per il qual vero mostrasse o la povertà sua, o altra simil cosa, sia punito a beneplacito del principe.

Che non si debba mai mostrare con segni di fuora l'animo suo di dentro, anzi fare tutto il contrario; e quello che sa meglio fingere o dire le bugie, meriti più commendazione.

Che si debba mettere la maggior parte del tempo in azzimarsi e ripulirsi, sotto pena a chi contraffacesse di non esser mai guatato dagli altri della compagnia.

Qualunque in sogno ridicessi alcuna cosa che egli avesse detta o fatta il giorno, sia tenuto una mezz'ora a culo alzato, e ciascuno della compagnia gli debba dare una scoreggiata.

Qualunque udendo messa non guarderà spesso intorno, o si porrà in luogo da non esser veduto da ciascuno, sia punito pro peccato di Læsæ Majestatis. Che non debba mai o uomo o donna, massime chi desidera aver figliuoli,

calzare il piè ritto, sotto pena di avere ad ire scalza un mese, o quel più paresse al principe.

Che nessuno nell' addormentarsi possa chiudere tutti due gli occhi ad un tratto, ma prima l'uno e poi l' altro; il quale è ottimo rimedio a mantenere la vista.

Che le donne nell' andare portino in modo i piedi, che non si possa mediante quelli conoscere se le sono accollate alte o basse.

Che nessuno si possa mai soffiare il naso quando è visto, se non in caso di necessità.

Che ciascuno sia obbligato in forma camera a grattarsi quando gli pizzica. Che l' ugua de' piè, come quelle delle mani, si debbano ogni quattro giorni

neltare.

Che le donne siano tenute nel porsi a sedere, sempre mettersi qualche cosa sotto per parer maggiori,

Che si debba eleggere un medico per la compagnia, che non passi anni ventiquattro acciocchè possa i disagj, e regga alla fatica.

ALLOCUZIONE

FATTA AD UN MAGISTRATO NELL' INGRESSO Dell' ufficio.

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ECCELSI SIGNORI, MAGNIFICO PRETORE, VENERABILI COLLEGJ EGREGJ DOTTORI,
E ONOREVOLI MAGISTRATI,

Ciascuna delle Prestanze Vostre può aver veduto come io, non per mia volontà, ma per espresso comandamento de' nostri Eccelsi Signori, son venuto a parlare dinanzi a Voi il che mi alleggerisce assai l' animo, perchè, come sendoci per me medesimo venuto, io meritavo di esser biasimato come presuntuo so; così sendo costretto dal comandamento di questi Eccelsi Signori, merito di essere non già laudato, ma almeno scusato come obbediente. E benchè l'inesperienza mia sia grande, la potenza e autorità loro è tanta, che la può molto più in me che non può quella. Non posso nondimanco fare che io non abbia dispia cere di esser ridotto a parlare di quelle cose che io non ho notizia nè veggo altro rimedio a soddisfare a me e a voi, che esser brevissimo, acciocchè nel parlar poco faccia meno errori, e manco v' infastidisca. Nè credo ancora, che il parlar lungamente sia conveniente, perchè, avendo a parlare della giustizia davanti ad uomini giustissimi, par cosa piuttosto superflua che necessaria. Pure per soddisfare a questa cerimonia e antica consuetudine dico, come gli antichi poeti, i quali furono quelli che secondo i Gentili cominciarono a dar le leggi al mondo, riferiscono che gli uomini erano nella prima età tanto buoni, che gli Dei non si vergognarono di discender di cielo, e venire insieme con loro ad abitare la terra. Dipoi, mancando la virtù e sorgendo i vizj, cominciarono appoco appoco a ritornarsene in cielo; e l' ultimo che si parti di terra fu la Giustizia. Questo non mostra altro se non la necessità che hanno gli uomini di vivere sotto le leggi di quella, mostrando che benchè gli uomini fossero diventati ripieni di tutti i vizj, e col puzzo di quelli avessero cacciati gli altri Dei; nondi

manco si mantennero giusti. Ma col tempo mancando ancora la Giustizia, mancò con quella la pace: donde ne nacquero le ruine de' regni e delle repubbliche. Questa Giustizia andatasene in cielo non è mai poi tornata ad abitare universalmente intra gli uomini, ma sì bene particolarmente in qualche città, la quale, mentre vi è stata ricevuta, l' ha fatta grande e potente. Questa esaltò lo stato de' Greci e de' Romani; questa ha fatto molte repubbliche e regni felici; questa ancora ha qualche volta abitata la nostra patria, e l' ha accresciuta e mantenuta ed ora anche la mantiene ed accresce. Questa genera negli stati e ne' regni unione; l'unione potenza e mantenimento di quelli; questa difende i poveri e gl' impotenti, reprime i ricchi e i potenti, umilia i superbi e gli audaci, frena i rapaci e gli avari, gastiga gl' insolenti e i violenti disperge. Questa genera negli stati quella eguaglianza, che a volerli mantenere è cotanto desiderabile : questa sola virtù è quella che infra tutte le altre piace a Dio, e ne ha mostri particolari segni, come dimostrò nella persona di Traiano, il quale ancorachè pagano ed infedele, fu ricevuto per intercessione di san Gregorio nel numero degli eletti suoi, non per altri meriti, che per avere senza alcun rispetto amministrato giustizia; di che Dante nostro con versi aurei e divini fa pienissima fede dove dice :

« Ivi era effigiata l' altra gloria
Del principe romano, il cui valore'
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria.

«Io dico di Traiano imperatore,

Ed una vedovella gli era al freno
Di lagrime atteggiata e di dolore.

Dintorno a lui parea calcato e pieno

Di cavalieri e l' aquile dell' oro,
Sovr' esso in vista al vento si movieno.

«La vedovella infra tutti costoro,

Parea dicer Signor, fanne vendetta

Del mio figliuol, che è morto, ond' io m' accoro :

Ed ei dicere a lei : Ora ti aspetta

Tanto ch' io torni, ed ella : () signor mio,
Siccome donna in cui dolor si affretta,

«Se tu non torni? ed ei: Chi fia dov' io
La ti farà ed ella : L' altrui bene
Che giova a te, se 'l tuo metti in obblio?

E lui dicere allora : Omai conviene
Ch' io solva il mio dover anzi ch' io muova,
Giustizia il vuole, e pietà mi ritiene. »

Versi, come io dissi, veramente degni di essere scritti in oro, per i quali si vede quanto Iddio ama e la giustizia e la pietà.

Dovete pertanto, Prestantissimi Cittadini, e Voi altri che siete preposti a giudicare chiudervi gli occhi, turarvi gli orecchi, legarvi le mani quando voi abbiate a veder nel giudizio gli amici o parenti, o sentir preghi o persuasioni non ragionevoli; o a ricever cosa alcuna che vi corrompa l' animo, o vi devii dalle pie e giuste operazioni. Il che se farete, quando la Giustizia non ci sia, tornerà

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