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Noi cangiam region di riva in riva, E lasciare uno albergo non ci duole Purchè contento e felice si viva;

L'un fugge il ghiaccio e l'altro fugge il sole Seguendo il tempo al viver nostro amico, Come natura, che ne insegna, vuole.

Voi infelici assai più ch' io non dico,
Gite cercando quel paese e questo,
Non per aer trovar fredde od aprico;
Ma perchè l'appetito disonesto
Dell'aver non vi tien l'animo fermo
Nè viver parco, civile e modesto.

E spesso in aere putrefatto e infermo
Lasciando l'aere buon, vi trasferite:
Non che facciate al viver vostro schermo.
Noi l'aere sol, voi povertà fuggite,
Cercando con pericoli ricchezza,
Che v' ha del bene oprar le vie impedite.

E se parlar vogliam della fortezza,
Quanto la parte nostra sia prestante
Si vide, come il sol per sua chiarezza.
Un toro, un fier leon, un leofante,
E infiniti di noi nel mondo sono,
A cui non può l' uom comparir davante.
E se dell' alma ragionare è buono,
Vedrai di cuori invitti e generosi,
E forti esserci fatto maggior dono.

Tra noi son fatti e gesti valorosi,
Senza sperar trionfo, o altra gloria,
Come già quei Roman che fur famosi.

Vedesi nel leon gran vanagloria
Dell' opra generosa, e della trista
Volerne al tutto spegner la memoria.
Alcuna fera ancor tra noi s' è vista,
Che per fuggir del carcer le catene,
E gloria e libertà morendo acquista ;

E tal valor nel suo petto ritiene,
Ch' avendo persa la sua libertate,
Di viver serva il suo cuor non sostiene.

E se a la temperanza risguardate,
Ancor e' vi parrà ch' a questo gioco
Abbiam le parti vostre superate.

In Vener noi spendiamo e breve e poco Tempo: ma voi senza alcuna misura Seguite quella in ogni tempo e loco.

La nostra specie altro cibar non cura, Che 'l prodotto del ciel senz' arte, e voi Volete quel che non può far natura.

Nè vi contenta un sol cibo, qual noi :
Ma per me' soddisfar l' ingorde voglie
Gite per quelli in fin ne' regni eoi.

Non basta quel ch' in terra si ricoglie,
Che voi entrate all' Oceano in seno
Per potervi saziar delle sue spoglie.

Il mio parlar mai non verrebbe meno,
S' io volessi mostrar come infelici
Voi siete più che ogni animal terreno.

Noi a natura siam maggiori amici,
E par che in noi più sua virtù dispensi,
Facendo voi d'ogni suo ben mendici.

Se vuoi questo veder, pon mano a' sensi
E sarai facilmente persuaso

Di quel che forse or pel contrario pensi.

L'aquila l'occhio, il can l' orecchio e 'l naso, E'l gusto anco, possiam miglior mostrarvi Se 'l tatto a voi più proprio s' è rimaso;

Il qual v' è dato non per onorarvi; Ma sol perchè di Vener l' appetito Dovesse maggior briga e noia darvi.

Ogni animal tra noi nasce vestito, Che'l difende dal freddo tempo e crudo Sotto ogni cielo, per qualunque lito.

Sol nasce l' uom d'ogni difesa ignudo,
E non ha cuoio, spine, o piume, o vello,
Setole, o scaglie, che li faccian scudo.

Dal pianto il viver suo comincia quello
Con tuon di voce dolorosa e roca,
Talch' egli è miserabile a vedello;

Da poi crescendo la sua vita è poca,
Senz' alcun dubbio, al paragon di quella
Che vive un cervo, una cornacchia, un' oca.

Le man vi diè Natura, e la favella,
E con quelle anco ambizion vi dette,
Ed avarizia, che quel ben cancella.

A quante infermità vi sottomette
Natura prima, e poi Fortuna quanto
Ben senz' alcuno effetto vi promette!

Nostr' è l'ambizion, lussuria e 'l pianto
E l'avarizia, che genera scabbia
Nel viver vostro, che stimate tanto.

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Nessuno altro animal si trova ch'abbia
Più fragil vita, e di viver più voglia,
Più confuso timore, o maggior rabbia.

Non dà l' un porco all' altro porco doglia,
L'un cervo all' altro; solamente l' uomo
L'altro uom ammazza, crocifigge e spoglia.

Pens' or come tu vuoi ch' io ritorni uomo
Sendo di tutte le miserie privo
Ch' io sopportava mentre che fui uomo.

E se alcun in fra gli uomin ti par divo,
Felice e lieto, non gli creder molto;
Che 'n questo fango più felice vivo
Dove senza pensier mi bagno e volto.

CAPITOLI.

CAPITOLO DELL' OCCASIONE.

A FILIPPO De' nerli.

Chi se' tu, che non par donna mortale, Di tanta grazia il Ciel t'adorna e dota, Perchè non posi? Perchè a' piedi hai l'ale?

Io son l' Occasione a pochi nota;

E la cagion che sempre mi travagli,
È perchè io tengo un piè sopra una ruota.

Volar non è ch' al mio correr s' agguagli,
E però l'ale a' piedi mi mantengo,
Acciò nel corso mio ciascuno abbagli.

Gli sparsi miei capei dinanzi io tengo,
Con essi mi ricuopro il petto e 'l volto,
Perch' un non mi conosca quando io vengo.

Dietro del capo ogni capel m' è tolto;
Onde in van s' affatica un se gli avviene
Che io l'abbia trapassato, o s' io mi volto.
Dimmi chi è colei che teco viene?
È Penitenzia; e però nota e intendi;
Chi non sa prender me, costei ritiene.

E tu mentre parlando il tempo spendi,
Occupato da molti pensier vani

Già non t'avvedi, lasso! e non comprendi
Com' io ti son fuggita dalle mani!

CAPITOLO DELLA FORTUNA.

A GIOVAN BATTISTA SODERINI.

Con che rime giammai, o con che versi Canterò io del regno di Fortuna,

E de' suoi casi prosperi ed avversi?

E come ingiuriosa ed importuna, Secondo è giudicata qui da noi, Sotto il suo seggio tutto il mondo aduna?

Temer, Giovan Battista, tu non puoi, Nè debbi in alcun modo aver paura D'altre ferite, che de' colpi suoi.

Perchè questa volubil creatura
Spesso si suole oppor con maggior forza,
Dove più forza vede aver natura.

Sua natural potenza ognuno sforza;
E'l regno suo è sempre violento,
Se virtù eccessiva non lo ammorza.

Onde io ti priego che tu sia contento
Considerar questi miei versi alquanto
Se ci sia cosa di te degna drento.

E la Diva crudel rivolga alquanto, Ver di me gli occhi suoi feroci e legga Quel ch' or di lei, e del suo regno io canto. E benchè in alto sopra tutti segga, Comandi e regni impetuosamente, Chi del suo stato ardisce cantar vegga.

Questa da molti è detta onnipotente: Perchè qualunque in questa vita viene, O tardi o presto la sua forza sente.

Spesso costei i buon sotto i piè tiene, Gl' improbi innalza, e se mai ti promette Cosa veruna, mai te la mantiene.

E sotto sopra e stati e regni mette, Secondo che a lei pare, e i giusti priva Del bene, che agl' ingiusti larga dette.

Questa incostante Dea e mobil Diva, Gl' indegni spesso sopra un seggio pone, Dove chi degno n'è mai non arriva.

Costei il tempo a suo modo dispone; Questa ci esalta, questa ci disface, Senza pietà, senza legge, o ragione.

Nè favorire alcun sempre le piace Per tutti i tempi, nè sempre mai preme Colui ch'in fondo di sua ruota giace.

Di chi figliuola fusse, o di che seme Nascesse, non si sa; ben si sa certo, Che infino a Giove sua potenzia teme.

Sopra un palazzo d'ogni parte aperto Regnar si vede, ed a verun non toglie L'entrar in quel, ma è l'uscir incerto.

Tutto il mondo d' intorno vi s'accoglie,
Desideroso veder cose nuove,
E pien d'ambizion, e pien di voglie.

Ella dimora in su la cima, dove
La vista sua qualunque uom non niega :
Ma in piccol tempo la rivolve e muove.

E ha duo volti questa antica strega, L'un fero, e l'altro mite; e mentre volta Or non ti vede, or ti minaccia, or priega.

Qualunque vuol entrar benigna ascolta : Ma con chi vuol uscirne poi s'adira, E spesso del partir gli è la via tolta.

Dentro con tante ruote vi si gira, Quant'è vario il salire a quelle cose Dove ciascun che vive pon la mira.

Sospir, bestemmie e parole ingiuriose S'odon per tutto usar da quelle genti Che dentro al segno suo Fortuna ascose.

E quanto son più ricchi e più potenti, Tanto più in lor discortesia si vede, Tanto son del suo ben men conoscenti.

Perchè tutto quel mal ch'in noi procede S'imputa a lei, e s'alcun ben l'uom trova, Per sua propria virtude aver lo crede.

Tra quella turba variata e nuova Di que' conservi che quel loco serra, Audacia e gioventù fa miglior prova.

Vedevisi il Timor prostrato in terra, Tanto di dubbj pien che non sa nulla; Poi Penitenzia e Invidia gli fan guerra.

Quivi l'Occasion sol si trastulla, E va scherzando tra le ruote attorno La scapigliata e semplice fanciulla.

E quella ruota sempre notte e giorno, Perchè il Ciel vuole (a cui non si contrasta) Ch' Ozio e Necessità le volti intorno.

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