Noi cangiam region di riva in riva, E lasciare uno albergo non ci duole Purchè contento e felice si viva; L'un fugge il ghiaccio e l'altro fugge il sole Seguendo il tempo al viver nostro amico, Come natura, che ne insegna, vuole. Voi infelici assai più ch' io non dico, E spesso in aere putrefatto e infermo E se parlar vogliam della fortezza, Tra noi son fatti e gesti valorosi, Vedesi nel leon gran vanagloria E tal valor nel suo petto ritiene, E se a la temperanza risguardate, In Vener noi spendiamo e breve e poco Tempo: ma voi senza alcuna misura Seguite quella in ogni tempo e loco. La nostra specie altro cibar non cura, Che 'l prodotto del ciel senz' arte, e voi Volete quel che non può far natura. Nè vi contenta un sol cibo, qual noi : Non basta quel ch' in terra si ricoglie, Il mio parlar mai non verrebbe meno, Noi a natura siam maggiori amici, Se vuoi questo veder, pon mano a' sensi Di quel che forse or pel contrario pensi. L'aquila l'occhio, il can l' orecchio e 'l naso, E'l gusto anco, possiam miglior mostrarvi Se 'l tatto a voi più proprio s' è rimaso; Il qual v' è dato non per onorarvi; Ma sol perchè di Vener l' appetito Dovesse maggior briga e noia darvi. Ogni animal tra noi nasce vestito, Che'l difende dal freddo tempo e crudo Sotto ogni cielo, per qualunque lito. Sol nasce l' uom d'ogni difesa ignudo, Dal pianto il viver suo comincia quello Da poi crescendo la sua vita è poca, Le man vi diè Natura, e la favella, A quante infermità vi sottomette Nostr' è l'ambizion, lussuria e 'l pianto Nessuno altro animal si trova ch'abbia Non dà l' un porco all' altro porco doglia, Pens' or come tu vuoi ch' io ritorni uomo E se alcun in fra gli uomin ti par divo, CAPITOLI. CAPITOLO DELL' OCCASIONE. A FILIPPO De' nerli. Chi se' tu, che non par donna mortale, Di tanta grazia il Ciel t'adorna e dota, Perchè non posi? Perchè a' piedi hai l'ale? Io son l' Occasione a pochi nota; E la cagion che sempre mi travagli, Volar non è ch' al mio correr s' agguagli, Gli sparsi miei capei dinanzi io tengo, Dietro del capo ogni capel m' è tolto; E tu mentre parlando il tempo spendi, Già non t'avvedi, lasso! e non comprendi CAPITOLO DELLA FORTUNA. A GIOVAN BATTISTA SODERINI. Con che rime giammai, o con che versi Canterò io del regno di Fortuna, E de' suoi casi prosperi ed avversi? E come ingiuriosa ed importuna, Secondo è giudicata qui da noi, Sotto il suo seggio tutto il mondo aduna? Temer, Giovan Battista, tu non puoi, Nè debbi in alcun modo aver paura D'altre ferite, che de' colpi suoi. Perchè questa volubil creatura Sua natural potenza ognuno sforza; Onde io ti priego che tu sia contento E la Diva crudel rivolga alquanto, Ver di me gli occhi suoi feroci e legga Quel ch' or di lei, e del suo regno io canto. E benchè in alto sopra tutti segga, Comandi e regni impetuosamente, Chi del suo stato ardisce cantar vegga. Questa da molti è detta onnipotente: Perchè qualunque in questa vita viene, O tardi o presto la sua forza sente. Spesso costei i buon sotto i piè tiene, Gl' improbi innalza, e se mai ti promette Cosa veruna, mai te la mantiene. E sotto sopra e stati e regni mette, Secondo che a lei pare, e i giusti priva Del bene, che agl' ingiusti larga dette. Questa incostante Dea e mobil Diva, Gl' indegni spesso sopra un seggio pone, Dove chi degno n'è mai non arriva. Costei il tempo a suo modo dispone; Questa ci esalta, questa ci disface, Senza pietà, senza legge, o ragione. Nè favorire alcun sempre le piace Per tutti i tempi, nè sempre mai preme Colui ch'in fondo di sua ruota giace. Di chi figliuola fusse, o di che seme Nascesse, non si sa; ben si sa certo, Che infino a Giove sua potenzia teme. Sopra un palazzo d'ogni parte aperto Regnar si vede, ed a verun non toglie L'entrar in quel, ma è l'uscir incerto. Tutto il mondo d' intorno vi s'accoglie, Ella dimora in su la cima, dove E ha duo volti questa antica strega, L'un fero, e l'altro mite; e mentre volta Or non ti vede, or ti minaccia, or priega. Qualunque vuol entrar benigna ascolta : Ma con chi vuol uscirne poi s'adira, E spesso del partir gli è la via tolta. Dentro con tante ruote vi si gira, Quant'è vario il salire a quelle cose Dove ciascun che vive pon la mira. Sospir, bestemmie e parole ingiuriose S'odon per tutto usar da quelle genti Che dentro al segno suo Fortuna ascose. E quanto son più ricchi e più potenti, Tanto più in lor discortesia si vede, Tanto son del suo ben men conoscenti. Perchè tutto quel mal ch'in noi procede S'imputa a lei, e s'alcun ben l'uom trova, Per sua propria virtude aver lo crede. Tra quella turba variata e nuova Di que' conservi che quel loco serra, Audacia e gioventù fa miglior prova. Vedevisi il Timor prostrato in terra, Tanto di dubbj pien che non sa nulla; Poi Penitenzia e Invidia gli fan guerra. Quivi l'Occasion sol si trastulla, E va scherzando tra le ruote attorno La scapigliata e semplice fanciulla. E quella ruota sempre notte e giorno, Perchè il Ciel vuole (a cui non si contrasta) Ch' Ozio e Necessità le volti intorno. |