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più de' Francesi, vinse ogni altro nella grandezza e magnanimità de' fini; come colui, che sorto quando la tirannide di fece uno o di pochi aveva culto pari alla generale servitù, due cose a un tempo: flagellò la prima, sferzò la seconda; ossia, cercò di rimettere nella prostrata generazione il vigore che bisognava per farle sentire l'odio a' tiranni; nessuna delle loro scelleratezze private e pubbliche trascurando di mettere in sulle scene, pennelleggiate si fieramente, da costringere do ignavo secolo a inorridirne, e accendersi nobilmente a libertà. Con questi solennissimi esempi è da concludere che lo scrittore di tragedia, sì nello scegliere come nel trat tare un subbietto, dee sapientemente mirare a farsi educatore civile, e sollevare gli animi a quei più generosi e magnanimi sentimenti che la patria, e quanto con essa ha legame, può suggerire. Onde male adoprano quegli scrittori di tragedie, che o senza fine alcuno, o con un fine contrario a virtù, intertengono il popolo in teatro, non pensando ch' essi o vani o perniciosi riescono.

5. Degli argomenti della tragedia, e della loro natura.Ora diremo degli argomenti; non che da' fini sieno essi nell'effetto disgiunti, non potendosi avere giammai buon fine senza scegliere buono argomento, ma per seguitar più distintamente l'ordine de' precetti. In generale, nella tragedia, come nell' epica, i soggetti devono esser tolti da storie o tradizioni stimate vere, e non solo stimate were, ma ancora divenute famose; e la ragione è allegata da un gran maestro qual era l'Alfieri che cioè, dove il fatto fosse inventato, o non fosse noto, non potrebbe aequistarsi quella venerazione preventiva, necessaria al cuor dello spettatore, perchè si acconci più la mente alla illusione della scena Ma oltre all' esser veri e noti, conviene che i soggetti per tragedie sieno altresì d'indole eroica; perciocchè la tragedia quando la prima volta fu dal carro di Tespi recata in teatro, non fece che rappresentare i fatti di Tebe, di Troia, di Corinto, e delle famiglie di Pelope e di Labdaco, come le opere rimasteci di Eschilo, Sofocle ed Euripide attestano.

6. Come le favole delle tragedie greche non corrispondono al sentire d'oggi, e quindi non possono avere il medesimo

effetto. Ma se i tempi non porgeranno materia eroica, come a quei tre che vissero quando l'età mitologica o non era cessata o di poco cessata, potrà egli il poeta tragico imitare 'l' epico nel togliere di lontano i soggetti, e renderli con accomodate allusioni come vivi al proprio secolo? Veramente, allo scrittore delle tragedie sarebbe ancor più importante ch'ei potesse trarre la materia alle sue favole non da età da cuǹ ci disgiunga non solo grande intervallo di anni, ma diversità di costumi, di leggi e di religione, che tanto ha parte nellarisoluzione verisimile delle tragiche rappresentazioni; e non è mestieri di grande accorgimento per avvedersi come tutto il filo delle tragedie greche è appiccato alla legge del fato : onde quegli autori potevano rappresentare fatti maravigliosi senza pregiudicare alla verisimiglianza nè offendere alla ragione. Perdoniamo ad Euripide, che l'ottimo fra gli uomini, lo invitto Ercole, dopo aver combattuto la sozza tirannide dell' oppressore degli Eraclidi, si vegga da una furia invocata da Iride turbar nell' intelletto, e spinto da irresistibil 'forza a saettare i propri figliuoli, cader vittima del suo crudel nemico Euristeo. Nè faremo rimprovero ad Eschilo, che Prometeo, dopo il maggior benefizio che render si potesse all' umana progenie, si vegga in cima alla gran rupe, per tirannica volontà di Giove, incatenato, pascere di sue viscere le ingorde brame di un'aquila. L'ordine de' fati pur questo recava, nè era potenza che valesse a mutarlo, dovendovi sottostare lo stesso Giove, come a supremo e imperscrutabile domma di natura. Laonde, i medesimi soggetti recati in iscena quando nuova religione recava credenze affatto con'trarie, bisognava che divenisse sconcio o vano quello che era savio e sentito. Il che fu confessato dall' Alfieri nel giudicare il suo Agamennone, parendogli dovesse fare stomaco vedere una matrona rimbambita, per un suo pazzo amore, ́tradire il più gran re della Grecia, i suoi figliuoli e se stessa, per un Egisto; mentre che a' Greci riesciva conforme alle orribili passioni ispirate da' Numi nel cuore di tutti gli Atridi, in punizione de' delitti de' loro avi: avendo la teologia pagana così composti i suoi Dei, che fossero punitori di delitti con farne commettere de' sempre più atroci. E quantun

que rimanga ognora la ragion naturale della dottrina antica, che cioè l' umana razza sia tratta ad essere infelice o colpevole per una sua ineluttabile condizione, tuttavia son cadute le favole che nel Paganesimo valevano a figurarla. Difatti l'Edipo di Sofocle rappresenta una verità che si sente in ogni tempo e da ognuno, e possiamo stimarlo uno specchio da mirarvi adombrata la immagine della nostra vita; non essendo forse chi non provi come il cercare il meglio mena spesso al peggio. Ma tutto ciò figurato con troppo visibile impero del destino, che è quanto dire con forme d'altra religione, male entrerebbe oggi nella mente de' più ; e perciò riescirebbe poco naturale che un uomo, quanto più teme di essere colpevole, tanto più cerchi di chiarirsene. Stimerebbesi altresì ingiusto che un infelice re, qual era Edipo, vada incontro alla maggiore disgrazia per quella medesima via onde cerca onorevolmente fuggirla. Imperocchè da disponimenti soprannaturali diversi ci fa queste contingenze della vita riconoscere il Cristianesimo: il quale se altresì non sempre si accomoda nelle sue manifestazioni a' bisogni sensibili della poesia, come la teologia pagana faceva, non per questo sarebbe lecito usare finzioni antiche con credenze nuove.

tese.

7. Delle cagioni per le quali i migliori tragici moderni hanno riprodotto favole greche, e con quali intendimenti le hanno riprodotte ; e se era meglio il cavarne da storie più inLaonde sarebbero da condannare i migliori scrittori del teatro francese e italiano, che la più parte de'suggetti trattati da Eschilo, da Sofocle e da Euripide riprodussero dopo duemila e più anni, e dopo tanto e sostanziale mutamento di ordini e di costumi; se pure non valga a scusarli la considerazione, ch' essi, non trovando nelle storie e tradizioni moderne subbietti acconci a tragedia, nè ridotti a particolari e naturali allegorie, togliessero quelle favole di Medea, Agamennone, Oreste, Eteocle e Polinice, Antigone, e simili, come tipi da rappresentare in ogni tempo le virtù e i vizi, le sventure e le tirannidi, i delitti e le punizioni; che mutando forma non mutano sostanza. E in vero, convien confessare, che delle tragedie de' moderni autori riescono migliori, rispetto alla struttura, quelle intessute di

greche favole; ma non così diresti rispetto al sentimento religioso e all' importanza civile, che è intrinseca motrice del tragico componimento: onde se l'Agamennone e l' Oreste mettono il magistero dell' Alfieri alla medesima altezza di quello di Sofocle, più ci commovono il Filippo, il Don Garzia e la congiura de' Pazzi; tragedie d'arte inferiori alle prime. Ma tuttavia, condotti in questa scelta, di essere o più perfetti artefici, o maggiormente verisimili ed efficaci maestri di morale civiltà, dobbiamo anteporre il secondo vantaggio; persuadendoci di questa verità, che nelle lettere e nelle arti le forme possono mantenersi immutabili, o leggermente mutabili, sì come ci mostra la natura ne' corpi, che in tanto volgere di stagioni non cangiano di organi e di aspetti; ma la materia convien che muti, come vediamo che gli stessi uomini non pensano ed operano oggi come pensavano e operavano venti secoli fa. E se non tutti i tempi recano materia da composizioni tragiche, convien considerare quel che altrove pur notammo, che ogni letteratura non può nè dee esprimere che l'età ond'è prodotta ; e chi oggi consigliasse a seguitare a far soggetto di tragedie gli Oresti, le Antigoni, gli Edipi ec., dopo che tanti ingegni antichi e recenti con tanta gloria ne hanno replicatamente scritto, consiglierebbe. di far opera da riescire tediosa, quando non ci fosse altro inconveniente; sicchè la questione potrebbesi ridurre a que--sti termini: se l'età moderna debba astenersi dall' epopeia e dalla tragedia per difetto di argomenti a' detti due generi accomodati, o trattarle come e quanto gli è conceduto ragionevolmente.

8. Da quali e quante storie si possono trarre soggetti che. sieno oggi sentiti, e insieme rispondano all'altezza tragica.— Per risolvere con chiarezza la prefata quistione, convien con-siderare da quante e quali storie possiamo trarre soggettŕ che ci convengano, e insieme rispondano alla tragica altezza; e per venire a questa importantissima cognizione non è di lieve momento nè secondario il distinguere le storie mitologiche o favolose, e appartenenti all' età detta veramente eroica, da quelle che proprie storie si domandano, e appartengono alle età umane o civili: conciossiachè, come nelle

prime gli avvenimenti si annodano a un soprannaturale che non può oggi essere dall'universale nè inteso nè apprezzato, nelle seconde si collegano a una virtù straordinaria sì, e da secoli gagliardi e popoli virilmente liberi; che il vederla rinnovata sarebbe vano desiderio; ma in fine non tale da non potere anche presentemente essere concepita e stimata; se pure anzi non potrebbe acconciamente servire a metterci un po di vigore e di amore alle grandi opere. E in effetto, nella tragedia dell' Alfieri, Virginio che alla presenza del popolo uccide la propria figliuola, anzichè vederla svergognata da Appio tiranno, usando questa lacrimevole occasione per recuperare la libertà alla patria, è tal subbietto che a fare che non commova nè svegli i più generosi affetti, convien supporre un secolo così prostrato, da non concepire qual potere in un animo forte e magnanimo abbia l'amore, la libertà, la patria. Quindi lo stesso Alfieri confessava che de' soggetti da lui trattati, nessuno come questo lo aveva interamente soddisfatto. E alla Virginia, per la stessa cagione, aggiungi i due Bruti, l' Ottavia, il Timoleone, e simili. Adunque, dalle storie greche, successive alla vittoria contro a' Persiani; e dalle romane, non più remote della prima guerra cartaginese, crediamo non debba essere in generale vietato il pigliare argomenti da tragedia, purchè in questi non si cerchi di annodare l'azione al sentimento che religiosamente tira al soprannaturale. Il quale non potrebbe aver luogo verisimile se non in soggetti tolti da storie susseguenti all'anno cristiano: se bene l' affinità, come di madre a figliuola, fra la religione mosaica e la cristiana, è buona ragione a poter cavare soggetti tragici ancora dalla Bibbia; e l'esempio del Saul nell'Alfieri, una delle più ammirate tragedie di quel terribile ingegno, n'è ottima riprova; tanto più che ne' soggetti biblici è quella larghezza di costumi orientali ed antichi, molto acconcia (come nelle opere di pittura) alla tragica maestà.

9. Della difficoltà di trovare nelle storie soggetti tragediabili. Siccome nelle storie non appartenenti all' età mitologica non si trovano le favole già create e ridotte a uso di poesia (onde a' tragici antichi quasi poco più faceva mestieri, che recarle in iscena e volgerle a qualche fine morale

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