Immagini della pagina
PDF
ePub

mici comuni, non eri molto zelante a predicare allora la buona morale.

Ma checchè sia di questa risposta, ognuno vede che l'Opinione ora disapprova quello che ha sempre approvato: cioè l'aureola che la politica dà ai delitti nell'opinione dei liberali. E vogliamo sperare. che non solo ai delitti di sangue, ma a quelli ancora di borsa vorrà l'Opinione estendere questo suo giudizio, e disapprovare perciò non solo gli assassinii, ma anche i furti di opinione. Secondo noi farebbe bene l'Opinione a dichiarare ai suoi lettori, che essa finalmente ha capito che, come col lodare gli assassinii politici sopra i conservatori, e i clericali, si corre pericolo di veder poi assassinati politicamente anche i Procuratori del Re, così col lodare i furti della proprietà ecclesiastica, si corre pericolo di vedere poi derubati, per principio di economia politica, anche i beni dei ricchi, siano cristiani, siano ebrei.

Benchè tra i varii giornali dottrinarii italiani, dai quali siamo soliti spremere quel po' di sugo che si può, la Nazione di Firenze, sia, ci duole il dirlo, quella da cui meno possiam ricavarne, pure non vogliamo in questa circostanza privarla del tutto delle nostre lodi, e confessiam volentieri che essa le merita amplissime per aver dichiarato nel suo no dei 13 Giugno, che a questo male delle sette e dei settarii ci vuol ben altro rimedio che le chiacchiere dei signori Deputati. In questo punto la Nazione superò di gran lunga in accortezza gli altri giornali, e segnatamente la Perseveranza, la quale da più giorni ha questa fissazione, che, se si discorre un poco in Parlamento di questa faccenda, le cose saranno subito aggiustate. Nel che la Perseveranza è scusabile perchè vive a Milano, lungi da quell'aula disgraziata; e da buona Provincialessa, aspetta tutto il bene dalla Capitale. Ma la Nazione che è in sul luogo e vede le cose da vicino, assicura che il meglio che possano fare i Deputati in questo caso si è di tacere e di pensare ad altro. Riconosce la Nazione che: <«< una simile discussione falta senza spirito di partito e col solo scopo di cercare le cause del male, di studiarne i fenomeni, di provvedere ai rimedii, produrrebbe un'eccellente influenza morale sulle popolazioni, e potrebbe dare qualche buon frutto. » Ma chi volete

che possa sperare una discussione senza spirito di partito e col solo scopo di cercar le cause del male? Si sa che i Deputati han ben altro da fare che cercar le cause. Perciò la Nazione opina che « per chi ha qualche esperienza delle nostre consuetudini parlamentari egli è evidente che la questione una volta penetrata nella Camera dei Deputati, per quanto sia posta in limiti ristrétti e in termini pratici, corre gran rischio di assumere proporzioni colossali. Dietro i fatti di Ravenna, cercheranno d'introdursi nell' agone i fatti di Terni, il brigantaggio delle province meridionali, il malandrinaggio di Sicilia, e via via la discussione ingrosserà fino al punto da allagare la Camera con un torrente di parole. In mezzo a tanto agitarsi di passioni, è pur lecito il supporre che l'Opposizione scorgerà una buona occasione per tentare di sollevare la questione politica. Il rovesciare il Ministero, si sa, è l'ideale della felicità per l'Opposizione. »

E siccome la conservazione del Ministero è l'ideale della felicità per la Nazione, molto più che la conservazione della pubblica sicurezza o di qualsiasi altro bene, così è naturale che si debba evitare ogni occasione di un tanto pericolo. La Nazione segue poi dimostrando, che il Parlamento non potrebbe nulla conchiudere neanche con un' inchiesta. «Nella efficacia pratica delle inchieste parlamentari, come si sogliono fare in Italia, noi, lo diciamo schietto, abbiamo una mediocre fiducia. A che cosa, hanno approdato la inchiesta sul brigantaggio, quella sulle condizioni della Sicilia, quella sulla marina, e tante altre che furono pur eseguite con zelo, con amore, con intelligenza? Arricchirono gli archivii della Camera di qualche dotta relazione, ma non portarono invero nuova luce per nessuna questione. » Non si poteva dare al Parlamento patente più netta di ignoranza e di inettitudine. La Nazione in questo è benemerita della patria.

Però siccome il male esiste, e qualche rimedio ci vuole, la Nazione opina come il Podestà del Manzoni nella questione degli incettatori di grano, agitata al pranzo di don Rodrigo. « Dei buoni processi, gridava il podestà. Che processi, gridava più forte il conte Attilio (ossia la Perseveranza); giustizia sommaria. Pigliarne tre, o quattro, o cinque, o sei, di quelli che per voce pubblica sono conosciuti come i più cani, e impiccarli. >>

E qui veramente leggendo i giornali ora in Italia, e parliamo dei giornali più savii tra i liberali, ci pare assistere ad un coro di matti e di disperati. Tutti vedono il male, tutti ne misurano la profondità, tutti intendono che gli onesti sono ora alla mercede dei tristi, i ricchi in balìa dei ladri, gli impiegati fedeli minacciati di coltello, gli uffizii pubblici in mano per lo più di falsarii e di traditori; tutti intendono che la depravazione è al colmo, che l'Italia è in pericolo di cadere nelle mani dei veri mascalzoni. Ma niuno sa che rimedio proporre. Chi passando per una fiera (diremo adattando al caso nostro la similitudine che segue alla citazione precedente) si è trovato a godere l'armonia che fa una compagnia di cantambanchi, quando tra una suonata e l'altra ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente in mezzo al romore degli altri, s' immagini che tale sia ora la consonanza di questi giornalisti. Le lodi della grande Italia nuova, una e imperitura, terribile a tutti, e invidiata dalle genti, si vanno mescolando alle indegnazioni sopra il suo presente, e le disperazioni sopra il suo avvenire.

Se in mezzo a tanto frastuono d'incondite voci fosse lecito anche a noi dare un consiglio al Governo italiano, noi opineremmo per una nuova levata di Garibaldini. Dopo ciò che è accaduto a Mentana, tutti i dappoco e i mediocremente onesti rimarrebbero a casa, sordissimi a qualunque invito del nuovo Rattazzi. Correrebbero bensì subito i Veri Mascalzoni, quelli tutti che sulla camicia nera, loro regalata da qualche benefattore, portano l'impresa del V. M. Radunatili così tutti, si potrebbero portare a Caprera a far la guardia nobile al gran Capitano; e l'Italia, come già nell'Ottobre passato, rimarrebbe, quasi per incanto, priva di ladri e di accoltellatori. II Fambri nella Camera ha rivelato al pubblico, che ne rise assai, che in quel mese, quando il fiore della gioventù italiana era corsa sotto le ali del Garibaldi, loro padre ed amico, in Italia non ci furono più quasi delitti. Invece appena tornati a casa costoro, subito l'Italia parve ridivenire una ladronaia. Se dunque si vuole purgar l'Italia, si faccia una nuova leva del suo bel fiore, e si faccia in modo che non possa più tornare a casa.

Ma siccome non vi è probabilità che sia seguito questo nostro consiglio, almeno per la seconda sua parte, anche perchè chi comanda ora in Italia è in gran parte affigliato a questa setta dei V. M., i quali naturalmente non hanno nessuna voglia di abbandonare il banchetto della nazione; così noi non sappiamo in verità che cosa augurare di buono di questa povera Italia assassinata, demoralizzata, taglieggiala, oppressa e schiacciata da quel torchio dispotico e tirannico, che le sètte le girano ogni giorno più calcato sopra le spalle.

Dove a servigio di alcuni crediamo dover dichiarare una cosa chiara: cioè che altra cosa è prevedere, altra cosa è desiderare. Noi prevediamo da un pezzo, e crediamo avere in ciò molti colleghi, che questa baracca italiana non può durare. E fin qui crederemmo far torto a qualsisia anche più liberale, purchè comecchessia cattolico, supponendo per un istante che questa previsione della fine dell'empio regno non possa nella sua opinione onestamente accoppiarsi al desiderio che la previsione si compia: se pure per i liberali, ancorchè cattolici, non è cosa onesta il desiderare che la roba rubata torni al legittimo padrone, specialmente quando il padrone è il Padre nostro comune.

Quale poi sia la guisa onde questa baracca italiana ha da crollare, questo può prevedersi diversamente secondo i lumi e la perspicacia di ognuno: ma certamente non può onestamente desiderarsi che sia terribile anzichè soave. Se però le circostanze tutte delle cose, de' tempi e delle persone fanno nascere naturalmente la previsione che le cose non hanno da andare così lisce come vorrebbero i conciliatori, è onesto certamente il pregare che ciò non avvenga; ma è pur onesto il manifestare l'opinione, che, senza un vero miracolo, le cose d'Italia hanno da peggiorare assai, prima di migliorare. Se poi sia onesto il confondere e l'imbrogliare le cose chiare accusando di desiderare il finimondo, l'abisso e la catastrofe, coloro che ne manifestano e ne prevedono il pericolo, questo lo lasceremo giudicare ad ognuno, fuorchè a coloro che posti tra i cattolici che dicono che due e due fanno quattro, e tra i liberali che dicono che due e due fanno cinque, per mostrarsi savii e conciliatori, definiscono che due e due fanno quattro e mezzo.

E così parimente, benchè non sia nè savio nè onesto il desiderare il male da cui si prevede un bene, è però non solo onesto, ma savissimo e conforme al tutto a ciò che c'insegna la storia maestra della vita, l'osservare che dai mali suole sempre la provvidenza ricavare il bene. E sotto questo rispetto è savio ed onesto il concepire buone speranze per l'Italia da questo eccesso di mali, che le versarono sopra i pazzi ed empii liberali.

Tra le quali buone speranze vogliamo qui in fine accennarne una, che quanto è naturale a sorgere dall' osservazione de' fatti presenti, altrettanto è del tutto provvidenziale e fuori dei calcoli e delle previsioni liberalesche. I liberali tutto fecero fin'ora contro la Chiesa e i chierici, non badando a ruinare sè e l'Italia, purchè con loro e coll'Italia perissero Chiesa, chicrici e Papato. A questo solo fine non badarono a ruinare l'istruzione, purchè riuscissero a cacciare gli insegnanti del clero secolare e regolare; a ruinare le finanze, purchè riuscissero ad abolire ogni proprietà ecclesiastica; a ruinare la morale, purchè riuscissero a gettar lo sprezzo sopra la religione e i suoi professori; a ruinare il proprio credito e l'opinione dell' Italia presso tutte le estere nazioni, purchè riuscissero a spiantar dal mondo l'ultima rocca di Roma, da cui il Capo della religione difende contro loro, la morale, il diritto, la verità.

Parea naturale che, con tanti sforzi ed avendo tutto sacrificato a questo solo di rendere odiosa e contennenda la Chiesa e il chiericato, i liberali dovessero almeno essere ora alquanto sicuri di questo. Ma non è così. Gli odiati e i disprezzati sono ora essi i liberali, in Italia e nel mondo. Contro essi si lavora ora nelle sèlle segrete, contro essi si affilano i pugnali, contro essi si ordiscono le congiure, contro essi si inveleniscono i giornali, alle loro ricchezze anelano i proletarii, alle loro cariche i repubblicani, alla loro fama la stampa.

Contro la Chiesa e i chierici, nei brutti momenti che paiono prepararsi, poco o nulla si potrà più tentare. Tutto è stato già loro rubato. Il Clero e la Chiesa sono ora, per così dire, fuori di causa. La Provvidenza ha voluto che il Clero per l'opera stessa dei suoi nemici sia stato collocato nella condizione più favorevole ad essere poi nella prossima probabile catastrofe quello che sempre fu in tutte le pre

« IndietroContinua »