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Lo stile è sempre il solito suo purgato di lingua, ricco d'immagini, ma sovente compassato e concettoso di troppo: il che pregiudica ad una certa cotale fluida naturalezza, e lo rende meno adatto all'ingegno femminile. A questo se si aggiunga l'aridità non infrequente delle materie o del modo di svolgerle, mal proporzionato alla comune capacità donnesca, facilmente se ne dedurrà che scarso dev'essere il numero delle lettrici, le quali reggano a tutte inghiottirsi queste pagine della Donna del Tommaseo.

Anche la maggior parte delle cose, ch'egli qui espone, si può dire moralmente irreprensibile. Ma vi ha tali passi che, sebbene scritti con sana intenzione, pur tuttavia a dilicate donzelle e forse ancora a giovani spose non si confarebbe il leggerli, senza qualche pericolo. Per ciò il Tommasco, che talvolta si addimostra sì geloso del pubblico pudore, avrebbe meglio fatto a non riprodurli entro questa sua miscellanea, destinata, nella mente sua, a quell' essere in cui la verecondia è insieme ornamento e legge della natura.

Pel resto il volume olezza non raramente di quello spirito liberalesco italiano, di cui l'autor suo ebbe sino dall'adolescenza pieno il cuore. Non iscendiamo a particolarità, perchè le stimiamo inutili. Basti indicare, per modo di esempio, il dialogo fra un padre ed una madre, sull'educazione politica da darsi ai figliuoli; e il frizzo contro «< i moderni re ed imperatori, che si son tenuti il Dei gratia, non tanto per iscudo a sè, quanto per farne lancia contro i sudditi miseri » e ciò a proposito della Matelda di Dante. Anzi non ne va esente neppure il celebre appello ai padri ed alle madri italiane, contro le offese al pudore pubblico, per cui il Tommasco salì, nell'estimazione di alcuni, al grado di un santo padre d'Italia. Altrove noi esaminammo se e con quanta efficacia i liberali, aiutatori ed approvatori della italica rivoluzione, possano farla da apostoli di castimonia e di morigeratezza 1: nè torneremo a ridire il detto allora. Ma ci pare curioso che l'appello del Tommaseo fosse appoggiato da una signora Concettina Ramondetta Fileti sicula, con una canzone, che si riporta in questo libro, la quale canta :

1 Civ. Catt. Serie quinta, vol. IX, pag. 78 seg.

Non da gallica fonte (in essa è morte),
Ma lena attingi e voce,

Figlio d'Italia, sol dai nostri padri,

Dai Grandi che son vivi in Santa Croce.

Or convien credere che la signora Concettina abbia ignorato, essere ben pochi i « Grandi » sepolti in Santa Croce di Firenze, i quali meritino di esser proposti ai « figli d'Italia » per modelli di pudore e di costumatezza; se pure non abbia ella opinato che tali sieno altresì e l'empio Alfieri e il disonestissimo Machiavelli: opinione che discrediterebbe non sappiamo se più la lucidità, o la rettitudine del suo giudizio. Se non che la moda porta che i liberali e le liberalesse nostre non iscoprano virtù vera e grandezza solida, fuori di quel tempio, che intendono trasformare in Pantheon della italiana Massoneria.

In conseguenza, per tutte le esposte ragioni, noi non consiglieremo a nessuna donna, giovane o adulta, di cercar nutrimento al suo spirito, nè in queste pagine politicomorali, nè in altre, qualunque ne sia il tema od il titolo, di Niccolò Tommaseo. Maggiormente che in Italia non difettiamo di libri acconcissimi a formare gentilmente e cristianamente gli animi femminili; quali verbigrazia sono, la vera madre di famiglia del Fenoglio, i doveri della sposa cattolica del Pincelli, le istruzioni ai padri ed alle madri del Franco, la vera educatrice del Babini, le osservazioni intorno alle donne ed alla loro educazione del Cavazzoni Pederzini; ed altri simili, tutti fior di sapienza, tutti succo di pietà, e tutti compilati da uomini, che non credono conciliabile la ribellione al Vicario di Cristo, con la professione del cattolicismo apostolico e romano.

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Roma e le popolazioni cattoliche. Risposta ad un quesito
dell' Opinione dei 18 Luglio 1868.

L'Opinione dei 18 Luglio piglia occasione dai Casi di Trieste per proporre, con aria di sfinge, niente meno che al Concilio ecumenico avvenire un quesito ch'essa crede insolubile, in questi termini: «Come mai avvenga che le popolazioni cattoliche siano sempre pronte ad applaudire i loro Governi, appena che li vedono resistere a Roma, appena emanino una di quelle leggi, che Roma chiama nefande e deplorabili? »>

Veramente un tal quesito, inetto sempre e dimostrante col solo presentarsi tutt'altro che l'acutezza di mente di chi lo propone, proposto poi in occasione dei Casi di Trieste, mostra nel proponente un fondo senza fondo di semplicità ammirabile. Non è questo il luogo di narrar i Casi di Trieste. Ma sa ognuno che que' casi furono infausti appunto ai liberali, i quali toccarono colà (come poco prima a Venezia nel caso della Processione del Corpus Domini) il danno e le beffe dal vero popolo del contado. Sicchè, se si dovesse stare ai Casi di Trieste e da essi soli argomentare, il quesito dell'Opinione si dovrebbe invece proporre così: « Come mai avvenga che le popolazioni cattoliche siano sempre pronte a bastonare i liberali, appena che li vedono offendere la propria religione? »

Se poi, non dai casi soli di Trieste, ma da molti altri casi a scelta nostra si dovesse argomentare e proporre quesiti, non sappiamo come l'Opinione se ne caverebbe. Vorremmo infatti sapere come risponderebbe a chi chiedesse, per esempio: Come avvenga che, quando si vollero abolire nella valle d'Aosta feste cattoliche, alla cui abolizione avea pure consentito l'autorità competente, ci fu nondimeno una rivoluzione, che si penò non poco a raffrenare? Come avvenga che in mille luoghi siano stati malconci dalla popolazione cattolica que' liberali, che vollero turbare la Processione del Corpus Domini ed altre sacre funzioni? Come avvenga (secondo che notò

sapientemente il sig. profess. Bianciardi, volgarmente detto il Prior Luca, nella sua Veglia XIX), come avvenga che i liberali siano in credito quando non sono al governo, e in discredito ed in odio alle popolazioni appena si pongono a governare? Come avvenga che i liberali debbano sempre cominciare coll'ipocrisia fingendosi buoni cattolici e in Italia specialmente abbiano maledetto all'Austria perchè non dava alla Chiesa quella libertà, che poi le diede col Concordato? Ma non vogliamo abusare del punto d'interrogazione e ci basti l'aver così dimostrato che il quesito dell'Opinione per due lati è un quesito ineltissimo: primieramente perchè proposto a proposito de' casi di Trieste, i quali provano appunto il contrario di ciò, che l'Opinione intende; secondariamente perchè, quand' anche i casi di Trieste provassero ciò che l'Opinione desidera, il quesito non proverebbe però nulla, essendo fondato sopra fatti particolari ed accidentali, ai quali se ne possono opporre infiniti altri contrarii.

Rimangono però molti fatti particolari, a proposito dei quali il quesito dell' Opinione dee avere la sua risposta. Infatti essa segue così: « I casi di Trieste oggidì, la reazione anticlericale che si manifestò ovunque in Italia e fuori, tosto che si cominciò per parte dei popoli a poter esprimere i loro pensieri, è un fatto così importante, che non può sfuggire all'acume di tanti ecclesiastici raccolti a concilio, e dovrebbe venire naturale la domanda: Come abbiamo fatto con tutte le nostre buone intenzioni, colla nostra dottrina e colle nostre virtù a farci prendere in uggia a questo modo dalle popolazioni, che certamente era nostro intendimento di renderci amiche e benevole? Una ragione ci dee essere, e se non è quella che noi libertini abbiamo più volte accennata, dovrebbe il Concilio ecumenico trovarne un' altra. Intanto però la deliberazione del Municipio di Vienna e delle altre città dell'Austria indicano chiaramente quale sia quella ragione che la maggioranza delle popolazioni riconosce. » Nè qui nè altrove in quest' articolo l'Opinione accenna qual sia quella ragione colla quale i libertini spiegano questa pretesa opposizione fra il popolo e la Chiesa. Crediamo però ch'essa non sia altra, se non che il non essersi voluto la Chiesa adattare al liberalis

mo ed alle così dette esigenze della società moderna, approvando gli spropositi condannati dal Sillabo.

Pigliando atto in primo luogo della preziosa confessione sfuggita all'Opinione; cioè che la Chiesa ed i Vescovi hanno per sè le buone intenzioni, la dottrina e le virtù; e considerando in secondo luogo che, oltre agli uomini forniti di buone intenzioni, di dottrina e di virtù, ve ne sono al mondo più altri pieni di cattive intenzioni, d'ignoranza e di vizii, i quali sono per lo più i libertini, con queste sole due osservazioni, senza bisogno di nessun concilio ecumenico, ogni fedel cristiano fornito di qualche buon senso può trionfalmente sciogliere il quesito dell'Opinione, anche proposto nella forma che appare più concludente.

Infatti che cosa vi ha poi di tanto maraviglioso in questo che di quando in quando i ladri rubino ai proprietarii, i furbi imbroglino i semplici, i violenti sforzino i deboli, i cattivi in una parola trionfino sopra i buoni? Il maraviglioso ci pare che stia anzi nell'opposto: cioè che i buoni facciano seguire i loro consigli, che la Chiesa e i Vescovi siano uditi quando comandano e consigliano ciò che è contrario alle male inclinazioni naturali. E che questo si verificasse, non sempre per fermo, ma si verificasse sovente quando i Principi erano d'accordo colla Chiesa e la forza secondava il buon diritto, è ancor maraviglioso: ma non tanto certamente quanto è maraviglioso ora, quando i cattivi quasi da per tutto comandano, e la forza non serve per lo più che contro il diritto.

Di grazia consideri l'Opinione che cosa non otterrebbe la Chiesa, se avesse ai suoi ordini i mezzi che hanno ora i libertini? È chiaro che in un batter d'occhio sarebbe mutata la faccia di questo povero mondo, da loro si assassinato e corrolto. Non tanto assassinato però nè corrotto, che ancor non faccia impensierire i liberali; i quali non sanno come fare a scristianizzarlo e demoralizzarlo, secondo che desidererebbero. Or questo è il maraviglioso, signora Opinione, che la Chiesa senza mezzi, e contro tutte le arti e le violenze libertine, riesca a regnare sopra quanto vi è di onesto, di retto, di sensato, di buono, e non lasci al libertinismo che i libertini.

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