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sione del supplizio futuro, loro amareggia ogni dolcezza presente. E forse questa è la ragione, per cui i Professori liberaleschi d' Italia l'hanno risuscitata dalle ceneri, in cui giaccva; perchè conscii delle ingiustizie, dei sacrilegii, delle rapine, onde han procurato il presente stato d'Italia, tanto connesso colla presente lor floridez

sentono un sacro orrore del Dio dei mistici, nel quale dovrebbero scontrarsi dopo la morte del corpo. Meglio dunque è persuadersi che col corpo perisce anche l'anima: così niun tetro fantasma verrà ad offuscare la serenità dei lieti giorni. Ma torniamo all'argomento del Fiorentino.

Egli teme che, se l'anima nostra è immortale, la vita presente perda ogni serietà, le nostre fatiche appariscano balocchi, e gli affetti più santi un traviamento ed una illusione. Noi crediamo che il contrario piuttosto sia vero; e che tutte queste cose abbiano luogo nella sentenza della mortalità dell'anima, da lui sostenuta. Imperocchè, in quella sua ipotesi, qual pregio potrebbe più avere per noi un'esistenza, la quale dovesse in poco d'ora spegnersi interamente? E che varrebbe logorarsi la vita in opere faticose, le quali non avessero altro effetto, che quello di abbreviarcela? La vita presente nel suo aspetto assoluto continuerebbe ad apparire spregevole, attesa la sua brevità e la mescolanza di tanti mali; e perderebbe ogni pregio, che le viene dal suo aspetto relativo, perchè non sarebbe più avviamento a una vita beata. Al contrario per noi l'esistenza presente riveste un valore inestimabile, quando per rispetto alla parte nostra più nobile, dovrà continuarsi eternalmente, e i nostri sforzi son destinati a sortire una corona immortale. Per fermo, gli allori del guerriero, che muore in difesa della giustizia, apparirebbero più tosto un insulto, quando di lui non rimanesse più nulla; ma brillano di vaghezza sovrumana, quando si scorgono come un'immagine di quelli, ond' egli è coronato nei cieli.

Il Fiorentino ricorre alla virtù nel senso degli Stoici. Ma che cosa è la virtù, quand'essa non è incoazione d'un amore incorruttibile, destinato a perfezionarsi in un ordine eterno per la visione del bene infinito? Se è temporanea tendenza verso un barlume della pura materia, sotto il dettame della mia soggettiva ragione, seguirà il va

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riare del primo, e l'arbitrio della seconda. Più curioso poi di tutto il resto ci sembra ciò che egli dice dei nostri affetti più santi, che cioè essi sarebbero una deplorabile illusione, se l'anima fosse immortale! Noi non sappiamo quali affetti nell'etica del sig. Fiorentino ricevono il nome di santi. Ma certo, se son quelli che s'intesero fin qui per tali, non sappiamo renderci ragione di questa sua singolare affermazione. Noi ci appelliamo a chiunque abbia fiore d'intendimento, e lo interroghiamo dove scorga piuttosto illusione, se nell' ipotesi di affetti che non morranno col tempo, ma purificati e condotti a compimento si continueranno nei secoli eterni, ovvero nell'ipotesi di affetti che si circoscrivono al giro di alcuni lustri. Prendiamo, a cagion d'esempio, l'amicizia. Dove ella avrà più consistenza e realtà? Quando gli amici sanno che la loro amistà dovrà durare anche dopo di questa vita, o quando di ciò è tolta loro ogni speranza? Prendiamo anche, se così vi aggrada, l'amor coniugale. Dove diventa egli più forte ed elevato? Allorchè i coniungi si considerano come due persone destinate ad accrescere il numero degli eterni adoratori di Dio, ed amarsi quaggiù per amarsi poi assai meglio nel cielo; o allorchè si considerano come due esseri, destinati a moltiplicare gl' individui d'una razza, presso a poco come il giumento ed il toro, e credono che il loro-affetto si estinguerà tra breve in un colla loro esistenza?

Sapete quando la vita e i suoi affetti e le sue operazioni perderebbero ogni serietà? Quando si volessero riguardare in loro stesse, e fuori la norma della divina legge. Allora disgiunti da ciò che è eterno, e posti anzi in opposizione con esso, restano nella misera proporzione d'un bene finito, appetto d'un bene infinito, o, che ancora è peggio, avran sembianza d' un baratto, in cui il secondo si scambia col primo.

E tanto basti di questo pessimo libro del Fiorentino, nel quale egli s'imbranca cogli atei e coi materialisti, gonfiandosi d'essere così giunto all' apice del progresso moderno. L'uno e l'altro errore son ciarpe vecchissime, vanamente ripulite dalla moderna sofistica. Ma questa matta presunzione moverebbe piuttosto a riso. Quello, che muove a lagrime, si è che dottrine si turpi e distruttive d'ogni buon

senso nell' uomo, s' insegnino in una pubblica Università, col tacito consenso del Governo; e la nazione e i padri di famiglia ne debbano stipendiare largamente i professori, acciocchè con esse avvelenino la mente e il cuore de' loro figliuoli. Quali speranze potrà fondare l'Italia sopra una gioventù così ammaestrata? Di quali opere sarà ella feconda? Beati i posteri che dovranno goderlasi, quando cresciuta negli anni entrerà al maneggio dei pubblici affari, e da lei dipenderanno le sorti del civile consorzio!

II.

Elogio di Tommaso Campanella, recitato nella festa letteraria annuale del R. Liceo Spedalieri in Catania, il 17 di Marzo 1868 dal Professore di Lettere italiane GIUSEPPE BUSTELLI stabilimento tipografico Caronda, 1868.

Catania,

Se qualcuno de' nostri lettori o ignora o non si rammenta chi fu Tommaso Campanella, cioè il personaggio di cui il sig. Giuseppe Bustelli fa l'elogio che annunziamo, non isdegni di leggere le poche notizie, che diamo qui appresso.

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Tommaso Campanella di Stilo in Calabria nacque nel 1568, e professò sino dalla sua giovinezza la vita religiosa. Fu di cervello balzano e di natura tumultuosa, e per questo si tirò addosso guai senza numero. Tentò di riformare la filosofia, che correva in quel tempo; come dice Pietro Giannone, « egli discreditò questa impresa; perchè non tenne nè modo nè misura; e perchè negl' infiniti volumi, che scrisse a tal effetto, non tanto si dimostrò uomo di vasto ingegno e di varia dottrina, quanto per un gran imbrogliatore, per un fantastico e di spirito inquieto e torbido 1. » E si badi, che questo Pietro Giannone, il quale così parla, è il celebre fautore delle pretese ragioni delle regalie; e quindi è tenuto in grandissimo conto da tutt'i regalisti, specialmente nelle province meridionali d'Italia.

Ma, ciò che è più, come racconta lo stesso scrittore, «< il Campanella fu per porre sossopra la Calabria, ideando libertà e nuove

1 Istoria civile del Regno di Napoli, lib. XXXIV, cap. 8.

repubbliche. Pretese riformare Regni e Monarchie, e dar leggi e fabbricar nuovi sistemi; inviluppandosi in una congiura, nella quale scovertosi che vi avesse la maggior parte, si discreditò maggiormente; poichè preso, e lungamente detenuto nelle carceri di S. Ermo, fu condannato a starvi perpetuamente 1. »

« Egli, così continua il Giannone, persuase a molti, che nell'anno 1600, secondo gli aspetti degli astri, di cui ben s'intendeva, doveano accadere grandi rivoluzioni e mutazioni di Stati, e specialmente nel Regno ed in Calabria; che perciò bisognava prepararsi, é far comitiva di gente armata, perchè a lui gli dava il cuore, in quella rivoluzione, di mutar le Calabrie ed il Regno in un'ottimá repubblica, con toglierlo dalla tirannide de' Re di Spagna e de' loro Ministri, gridando libertà. E perchè era un grande imbrogliatore, sovente nelle sue prediche diceva, ch' egli era destinato da Dio a tal impresa, e che di questo suo fatto, nelle profezie di S. Brigida, in quelle dell'abate Gioacchimo e del Savonarola, e nell'Apocalissi stessa, si faceva memoria, ancorchè ad altri oscura, a lui molto chiara. Che perciò egli aveva eletti due mezzi, cioè la lingua, e le armi 2. »

Ecco ciò che diceva colla lingua: « Da sè e per mezzo di altri, è il Giannone che parla, insinuava ai popoli, che i Re di Spagna erano tiranni, e che questo Regno se l'avevano tirannicamente usurpato, e che perciò erano a casa del diavolo; e che li popoli per li tanti pagamenti e collette erano costretti, per soddisfarle, a perder l'anima ed il corpo. Che era volontà di Dio, che il Regno si cavasse da simili suggezioni, per la poca giustizia de' Ministri del Re, che vendevano il sangue umano per danari, scorticando i poveri. Onde dovevano tutti accorrere per agevolare l'impresa procurando altri loro amici e confederati, li quali in determinato giorno, sentendo gridar libertà, si sollevassero tutti; essendosi concertato di ammazzare tutti gli ufficiali del Re, rompere le carcer, liberare i carcerati, ed in segno di libertà abbruciar tutti li processi 3. »

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Colle armi, secondo lo stesso Giannone, egli ed i suoi consorti fecero quanto segue. « Per terra, oltre i Castelli, de' quali si promettevano, avevano uniti milleottocento fuorusciti, ed alla giornata cresceva il lor numero, per l'impunità promessa e libertà sognata. Promettevano di liberare tutte le Monache dai Monasteri, uccider tutti i Preti e Monaci, che non volevano aderire ad essi, e passar a fil di spada tutti i Gesuiti. Volevano abbruciar tutt'i libi, e far nuovi Statuti; che Stilo doveva esser Capo della repubblica, e far chiamar quel Castello Mons Pinguis; e che Fra Tommaso Campanella s' avea da chiamare il Messia venturo, siccome già alcuni congiurati lo chiamavano. Per mare, teneva il Campanella nella marina di Guardavalle sentinelle, le quali, quando passava qualche legno turco, col pretesto di doversi riscattare qualche schiavo, andassero a trattar coi turchi, ed insinuar loro la resoluzion presa di sollevarsi; e che perciò fosser pronti ad accorrere, ed agevolar l'impresa. Di vantaggio fece nella marina di Castelvetere imbarcare Maurizio di Rinaldo con otto altri compagni sopra le galee di Murath Rays, perchè trattassero col Bassà Cicala il soccorso della sua armata, offerendogli molte fortezze e terre. Ed in fatti, essendo comparso nel mese di Giugno le galee di Murath nella marina di S. Caterina e Guardavalle, per conchiudere il trattato e stabilire il modo da tenersi, fu conchiuso per la mediazione di Maurizio, che l'armata fosse venuta nel mese di Settembre; perchè alla sua comparsa si sarebbe fatta la sollevazione, con entrare nelle terre, e gridando libertà, ammazzare gli ufficiali del Re, e tutti coloro, che si fossero opposti 1. »

Scopertasi la cospirazione, fu cogli altri sottoposto alla tortura lo stesso Campanella, «< il quale, come narra il Giannone, fece una lunga deposizione, in cui a guisa di fanatico e di forsennato, sia per malizia sia per lo terrore, ora affermando ora negando, tutto s’intrigò e s'inviluppò; e gli riuscì per tante cose strane ed inette, che gli uscirono di bocca, farsi credere pazzo, onde fu condannato a perpetuo carcere 2. >>>>

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