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Articolo primo.

(Tavv. d'agg. F. G. H.)

Il territorio falisco trovasi collocato in mezzo agli Etruschi, agli Umbri, ai Sabini; ma intorno alle origini del popolo che l'abitava non sono concordi gli antichi. Perocchè Catone li dice Argivi, Dionigi Pelasgi, Strabone Etruschi; altri li dividono fra Etruschi e Falisci, senza dire a quale nazione questi Falisci appartenevano. Fra i moderni fu primiero il Niebuhr a sospettarli Sabini, preso argomento dal nome di Aequi Falisci dato agli abitanti dell'Aequum Faliscum, città situata sulla Flaminia fra Otricoli e Roma. Quanto alle notizie storiche dirò che tardi si parla di loro, cioè nella guerra fatta dai Romani a quei di Fidene il 317, Liv. IV, 17: Nec (hostes) ante in campos digressi sunt, quam legiones auxilio Faliscorum venerunt; tum demum castra Etruscorum pro moenibus Fidenarum posita. Combatterono insieme tre popoli, i Veienti, i Fidenati e i Falisci, occupando i Fidenati il centro, i Falisci l'ala sinistra, e i Veienti la destra. Il dittatore romano Marco Emilio Mamercino ai tredici di settembre ne trionfo (Liv. IV, 20). L'anno seguente 318 entrarono le armi romane nel territorio veiente e falisco, ma Livio afferma che alle città non si fece guerra (IV, 21): Urbes tamen non oppugnatae. Presa Fidene, i Veienti e i Falisci spedirono intorno legati alle città etrusche, perchè si radunassero a consiglio al fanum Voltumnae. Qui è la prima volta che ai Falisci apertamente si assegna la propria città, dicendo Livio che le due città, quella

cioè dei Veienti, e quella dei Falisci, mandarono loro legati per l'Etruria (Liv. IV, 23): Igitur cum duae civitates legatis circa duodecim populos missis impetrassent, ut ad Voltumnae fanum indiceretur omni Etruriae concilium etc. Ma del nome che portava questa città dei Falisci non troviamo ancora vestigio. Livio all'anno 353, quando narra dei Romani, che portarono la guerra a Vej, a Capena ed a Falerj, la nomina la prima volta (V, 10): Bellum multiplex fuit eodem tempore ad Veios et ad Capenam et ad Falerios. Fa pertanto meraviglia che i Nepesini posti in mezzo ai Veienti ed ai Falisci non prendano mai parte alle guerre si frequenti coi Romani; e che appena qualche volta si narri che i Romani combatterono contro ai Falisci nelle terre nepesine. Indi trovasi nominata Falerj la seconda volta nel libro V di Livio c. 15, dove racconta che Valerio Potito a Falerj e Camillo a Capena predarono e devastarono l'anno 356 le campagne: Duo summi imperatores, Potitus a Faleriis et Camillus a Capena, praedas ingentes egere, nulla incolumi relicta re, cui ferro aut igni noceri posset. Nel qual luogo è degno di notarsi che lo storico dice a Faleriis, d Capena invece di ab agro Falisco, a Capenate; con che dimostrasi ad evidenza che per Livio Falerj vale tutto l'agro falisco, siccome Capena tutto il capenate, e Vej il veientano; senza che ci si desti neppure il sospetto di altra città nello stesso territorio. Succede l'anno 358, nel quale si narra che l'esercito falisco fu battuto dai Romani nelle campagne di Nepi (Liv. V, 19), e che nel 359 i due consoli Cornelio Cosso e Cornelio Scipione devastarono l'agro falisco (V, 24). Furio Camillo nel 360 menò le armi romane nel territorio falisco, e cominciò a predare i campi, ad incendiare le abi

tazioni campestri: pei quali danni i Falisci che aveano deliberato di aspettare il nemico dentro le mura, furono costretti di uscire fuori, e si accamparono in luogo distante appena un miglio dalla città, fidando, anzichè nel trinceramento, piuttosto nella posizione del campo medesimo difficile a prendersi d'assalto, perchè aspri e dirotti erano all'intorno gli aditi, e dove vi avevano sentieri, erano questi stretti e scoscesi (Liv. V, 26): Quum primo moenibus se hostes tenerent, tutissimum id rati, populatione agrorum atque incendiis villarum coëgit eos egredi urbe; sed timor longius progredi prohibuit. Mille fere passuum ab oppido castra locant; nulla re alia fidentes ea satis tuta esse, quam difficultate aditus asperis confragosisque circa et partim arctis partim arduis viis. Ma Furio, fattosi guidare da una buona scorta, essendosi mostrato sull'alba in luogo alquanto più elevato, ed avendo posto un grosso nerbo di gente in difesa, cominciò a piantare ivi il campo. La qual cosa come ebbero veduto i Falisci, subitamente prese le armi, assalirono i Romani; ma ne furono respinti con tanto vigore che scompigliati, e non bastando più a riparare nell'accampamento, corsero a chiudersi dentro le mura. Molti di loro intanto furono uccisi, molti feriti; e Camillo, dopo che ebbe depredato il campo, menò l'esercito vittorioso all'assedio di Falerj (Liv. VI, 26). Allora avvenne che il pedagogo tentò dare in mano al nemico i figli dei primari cittadini, onde crebbe cotanto la fama e la gloria di Camillo, non meno virtuoso che forte, il quale sdegnò consentire al maestro si vile prodigione; e legate a lui a tergo le mani lo rimandò ad essere punito, come meritava, dagli assediati Falisci. So che il Niebuhr, H. R. I, 244, 245, ed. Golbéry, non passa per vero questo racconto,

perchè si dice che i legati falisci furono mandati a Roma per donare ai Romani la loro patria, dedere se (cf. Plutarch. in Camill. 10: rà xad' autoÙÇ ETITρÉпOVTES): parendo incredibile che l'ammirazione destata nei Falisci della romana probità potesse consigliarli a tanto. Ma il seguito della narrazione che parla solo della pace loro accordata, e delle condizioni di essa, dimostra, che quella frase è piuttosto oratoria, e che non deve prendersi in uno stretto senso legale. Fu adunque imposto loro di alimentar l'esercito romano per quell'anno, e Camillo tennesi vincitore di Falerj:

Vicit et opposito quos clausit Marte Faliscos, Brachia fallaci religato in terga magistro (Carm. de viris illustr. ed. Mai Class. Auct. III, 359). La frase di Livio è quindi qui Falerios cepisset lib. V, e nel lib. VI memora Falerios captos. Diodoro Siciliano dice solo L. XIV, 98 che i Romani fecero la pace coi Falisci: Ρωμαῖοι πρὸς Φαλίσκους εἰ ρήνην ποιησάμενοι, la qual cosa in qualche modo è ancor riferita da Livio V, 27, dove scrive: Apud eos pacem universa posceret civitas: e in fine: Pace data exercitus Romanus reductus: e così l'intese anche Plutarco, che scrive in Cam. φιλίαν πρὸς ἅπαντας Φαλίσκους θέμενος.

Dopo trentasei anni di pace narrano Diodoro e Livio che si ruppe di nuovo guerra tra i Romani e i Falisci (Diod. XVI, 31. Liv. VII, 16). Al 398 dunque scontraronsi le due armate, quella dei Falisci che si erano uniti ai Tarquiniesi, e la romana comandata dal console Marco Fabio Ambusto. I Romani al primo azzuffarsi furono scompigliati dai Falisci e Tarquiniesi, e crebbe lo spavento, quando i nemici fecero apparire i loro sacerdoti agitanti fiaccole e vibranti serpi, come gli antichi solevano dipingere ed immaginare le Furie: ma

riscossi da quella sorpresa misersi ciecamente, spinti dalla vergogna e dall'ira, a dare addosso l'esercito dei Falisci e Tarquiniesi, fino ad entrare nel campo e impadronirsene. Per la quale disfatta tutta levossi in armi l'Etruria, e presi a loro guida i popoli predetti, marciarono con l'esercito verso Roma. Quì, poichè furono i Tarquiniesi rotti e dispersi (Liv. 19 e 20), mossero i Romani contro i Falisci e i loro alleati, devastando le campagne, e ancor questa volta si passarono di porre l'assedio alle città (Liv. 20): quum populatione peragrati fines essent, ab oppugnatione urbium temperatum. Di poi l'anno 403 il console Tito Quinzio Penno guidò l'esercito contro ai Falisci, e Caio Sulpicio Petico contro i Tarquiniesi; e questi due popoli non essendosi mostrati, i Romani misero a sacco e guastarono da per tutto le loro campagne, i quali gravissimi danni non potendo oramai più lungamente sostenere costoro, dimandarono finalmente una tregua, che fu loro accordata per quarant' anni (Liv. c. 22). Ma essi chiesero l'alleanza (Liv. c. 38), e questa fu con loro fatta l'anno 412. Onde si narra, che il console Scipione lasciò il carriaggio in Falerj con poca gente d'armi, allorchè si disponeva a dare una battaglia agli Etruschi: Inde in Faliscum agrum copiis reductis, quum impedimenta Faleriis cum modico praesidio reliquisset, expedito agmine ad depopulandos hostium fines incedit (Liv. X, 12): e ancora che nel 457 i Romani si aquartierarono nelle terre falische (Liv.X, 27). Ma questo stato di cose mutossi nel 459, avendo i vicini popoli dell'Etruria ribellati contro i Romani, tratto seco ancora questa volta i Falisci; onde fu loro dichiarata guerra (Liv. X, 46) e cercando essi di nuovo la pace (c. 47), il console Carvilio concesse la tregua di un anno, imponendo una multa di cento mila lib

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