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posto, essere stati principi i capi di quei paesi, i quali non avessero goduto della cittadinanza romana (rapport I, p. 2); opinione al primo aspetto assai probabile, la quale però deve ora modificarsi dirimpetto agli altri esempi di quella dignità, più tardi da lui recati alla luce. Imperocchè abbiamo un princeps anche a Kalama (2773; cf. 2774, dove il Renier crede di trovare un subprinceps), Cuiculum (2543), Oppidum novum (3695), Arsennaria, oppure Quiza (3844), tutte città rette da duumviri, o conosciute come colonie, alle quali aggiungo Madauri, dove Appuleio dice il suo padre essere stato loco principis duumviralem cunctisque honoribus perfunctum (Apolog.. p. 447 Oud.) 1. Dall' altro lato due principes ex castello Tulei (4291; 4292), di nomi assai barbarici, vengono in appoggio della sentenza del ch. editore, sostenuta particolarmente da un princeps et undecimprimus gentis Saboidum (? 1824), il quale è d'importanza tanto più grande, in quanto che spetta ad una delle tribù indigene summentovate. Lo stesso princeps mentovato a Kalama porta nomi indigeni, e vien dal Renier creduto capo de' Musulamii ivi vicino dimoranti. Dall' altro lato però quello di Oppidonovo (3695) è ascritto ad una tribù ed aveva sostenuto tutti gli onori municipali. La sentenza adunque del ch. Renier al parer mio dovrà modificarsi in guisa da riconoscere si il principato per un onore proprio delle città romane o latine di queste provincie, ma da accettar altresì i principi puranche come capi delle tribù e de' castelli non godenti di cittadinanza romana, ai

Il ch. Zumpt, Comment. epigr. I, p. 423 e Berliner krit. Jahrbb. 1843, p. 697, ha voluto emendare loco principe; ma in faccia a' nuovi esempj non dubito che non abbandonerà la sua congettura come non necessaria.

quali avranno presieduto insieme con una specie di senato formato dagli anziani; il che ci fanno supporre gli undecimprimi testè citati. Se quindi in questo riguardo non son privi d'importanza i titoli de' principi, sono peraltro di qualche rilievo anche quei relativi al principato nelle colonie; giacchè, quantunque non sia rara nemmeno in altre regioni la menzione di principi delle colonie e municipj (cf. l'Indice all' Orelli III, p. 153), essi però non solevano considerarsi come ornati d'una dignità particolare, ma piuttosto come viri principales ossia primates, primarii di quelle città. Le nostre lapidi, alcune delle quali sono poste ob honorem principatus, mentre una per mezzo di esso segna eziandio l'anno, non, lasciano alcun dubbio dell' esser esso stato, se non dappertutto, almeno nell' Africa una dignità analoga p. e. al princeps senatus, e conferita ad una persona sola e per un dato intervallo di tempo.

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Un'altra particolarità delle costituzioni municipali della Numidia e probabilmente anche della Mauretania si è l'uffizio sacro del flamen perpetuus, che, men tre rade volte si trova in altre parti dell' impero (cf. gli Indici alle I. N. del Mommsen XI ed al mio Orelli, p. 50), frequentissimo ricorre nelle dette provincie 1, dove esso era preposto al culto degli imperatori. Tro

Ne cito in esempio: Lambaesis I. A. 117; 120; 237; 469; Thamugas 1506; 1527; 1528; 1530; 1534; 1535; 1542 (cf. la flaminica perpetua 1536; 1537; 1538); Verecunda 1428; 1429; 1430; 1446; 1448; 1449; 1452; 1453; Diana 1718; 1719; 1723; 1726; 1729; 1730: 1733; Cirta 1827, 1880; 1884; 2324; Rusicade 2163; 2171; IIII Cirt. et Cuiculi 2529; 2530; Aminaedara 2715; Kalama 2725; 2733; 2734; 2740; Thagaste 2898; Madaurus 2926; 2928; Tubursicum 950; 3033; Theveste 3096, dove vien mentovato insieme col flamonium annuum; Lanasba 1096; 4101. Nella Mauretania, dove a paragone della Numidia, scarseggiano i monumenti, l'abbiamo p. e. in Auzia, 3559, ed in Sitifis, 3330.

ANNALI 1860.

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viamo un flamen Augusti perpetuus a Kalama (2755; 2764; cf. 4247), e la flaminica, chiamata ivi semplicemente perpetua, in un altro titolo del medesimo luogo vien detta flaminica Augustorum perpetua (2765); ugualmente a Sitifis havvi un flamen (trium) Augustorum (3330), mentre un flamen perpetuus Martis) ultoris) di Lamasba non è nè di lezione nè di spiegazione sicura (4101), tanto più che anche i pochi titoli non africani riferibili a simili flamini sembrano quasi tutti aver rapporto al culto di Roma e de' Divi Augusti (cf. I. N. 4336; 1985; 222; Or, 748 ecc. Grut. 478, 7; 101, 3 ecc.). Più rimarchevole peraltro si è, quel che già altra volta fu da me accennato (Annali 1851, p. 26), che, cioè, in epoca più recente in varie città della Numidia il flamonio perpetuo vien unito alla curatio della repubblica: ne cito Lambaesis (I. A. 117; 120; 184; 237), Thamugas (1519; 1523), Kalama (2725; 2733; 2734; 2740), aggiungendo da altra fonte Cirta (v. Ann. 1. 1.) e Zama (Grut, 364, 1). Chiudiamo intanto questi pochi cenni sulle istituzioni municipali delle nostre provincie col notare come singolarità un augur perpetuus a Jomnium (4070) ed un annuo pontificato a Kalama (2773), mentre ambedue i sacerdozj dovrebbero credersi perpetui, non che una sacerdos magna a Thagaste (2908), nuova essa pure, per quanto io mi sappia,

Ho detto sul principio di quest' articolo che non entrerei qui in discussioni sugl' importantissimi risultamenti relativi all' organizzazione delle milizie romane, a molte istituzioni romane, a' fasti consolari, alla storia di più d'un personaggio illustre, alle antichità della vita privata, alla conoscenza della stessa lingua latina, che şi sono ottenuti per mezzo della magnifica raccolta del

ch. Renier; tutte cose che assai meglio che in un articolo di questa sorta, saranno un giorno sviluppate ed illustrate nel secondo volume di essa dal dotto autore che alla profonda scienza epigrafica ed antiquaria unisce puranche la conoscenza del paese, indispensabile per molte parti di simili ricerche. Chiudo adunque questi cenni che non hanno la pretensione nè d'esser completi, nè di non aver bisogno di molte rettificazioni, facendo caldi voti che volesse compiacersi il Renier di far presto seguire ai testi stampati i commentarj suddetti che accresceranno maggior utilità all' opera e maggior gloria al nome dell' autore.

G. HENZEN.

PROMETEO E PANDORA.

(Mon. dell' Inst. vol. VI, tav. XXXIX.)

Lo studio dei graffiti sulle arcaiche ciste di Palestrina di molto vantaggio dovrà essere a lungo andare a fine di ben conoscere lo stato di coltura civile dei municipii latini. Il quale argomento, poichè si può trattare meglio nell' opera che preparo intorno alle insigni scoperte fatte in Palestrina dal sig. principe Barberini, mi basti di averlo per ora sol indicato, intendendo di illustrare due ciste possedute dal sig. Francesco Martinetti, le quali sopra molte la vincono per importanza dell' argomento. La prima offertami a stu diare dal colto e gentile possessore è di ellittica forma, ha quattro piedi a zampa di leone, e per manico una figura di donna che fa arco della persona supina, poggiando colle piante dei piedi e colle mani nel mezzo del coperchio sopra palmette. Questi ma

nichi, e talvolta ancora i piedi delle ciste portano inciso un numero di richiamo ovvero una lettera tra i piedi di questa figura vedesi inciso un B volto a sinistra. Il coperchio è fermato sul corpo della cista dall' unione di due laminette terminanti in due cannelli, dentro i quali, quando si uniscono, per le corrispondenti tagliature s'infilza un perno che pende ivi allato da una catenella. Intorno al corpo della cista sono graffite cinque rappresentanze divise da colonne scanalate d'ordine ionico, le quali, poichè non possono significare l'interno di un nobile edifizio ovvero di un tempio, parmi che vi stiano a figurare piuttosto un portico, il cui muro di fondo si debba immaginare coperto dalle predette pitture. E veramente sembra molto verisimile che l'idea siasi presa dall' uso che vi aveva in quei giorni, onde leggiamo essersi ornata di pitture la oro Toxin in Atene e quella presso i propilei da Polignoto; e l'uso medesimo essere passato dai Greci in Italia, dove troviamo i portici interni delle case decorati da rappresentanze talvolta tolte dalla Iliade o dalla Odissea, come appunto finge Petronio che Encolpio uno ne veda in casa di Pompeo Trimalcione, e interrogato l'atriense, quas in media porticu picturas haberent, udi rispondersi che l'Iliade e l'Odissea: Iliada et Odysseam, inquit.

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Veniamo ai graffiti. Il coperchio mirasi cinto da una corona di alloro, nell' interno della quale è figurata una pugna di due grifi, l'uno contro un toro, e l'altro contro un cavallo nell' atto di scontro il terreno è rappresentato da una serie di sassi che gira intorno anche di sopra alla lor testa, lasciando però in mezzo il campo sgombro. Sul corpo della cista è disegnata la favola del Titano Prometeo, il quale miserando la condizione dei mortali, cui Giove avea sot

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