Immagini della pagina
PDF
ePub

certo nol veggo. L'Osio che fu il primo a pubblicarlo e il Muratori che lo riprodusse nel tomo X degli Scrittori delle cose d'Italia lo confrontarono co'manoscritti, uno de' quali era del 1378, l'altro del 1390, per tacer degli altri: e par bene che uomini tanto ingenui, i quali non erano per nulla impegnati in questa presente quistione, non volessero alterar per nulla un'opera data fuori al solo fine d'arricchire la storia civile e politica non già la storia poetica: quindi, non avvertendoci essi del contrario, dobbiamo supporre che l' Ezzelino anche ne' manoscritti fosse diviso in cinque atti. In quanto poi agli antichi esemplari di Terenzio e di Plauto, o manoscritti si vogliano o stampati, io vorrei ben essere inteso da' miei contraddittori. Altro è che qualche volta non vi si apponesse Actus primus, Actus secundus; altro è che scrivere non vi si dovesse. Oh! la sarebbe pur bella che, per non vedersi negli originali del Petrarca separati i quadernari e le terzine ne sonetti e le strofi nelle canzoni, negar si volesse che mai il Petrarca non distribuì il sonetto e la canzone in membri o comprensioni. In quegli esemplari dove tale distinzione era ommessa vi si sottintendeva; e ben i saggi sapevano in qual luogo cadesse il termine d'ogni atto. Nel farsi barbara a poco a poco l' Italia, e nella decadenza delle lettere, cominciò ad obbliarsi ciò che prima ben s'intendeva. Questi poeti drammatici, come riputati dannosi da'primi padri della Chiesa, da pochi si leggevano, e dall' incuria de' librai facilmente erano guasti, lasciandosi fuori anche ciò che talvolta sarebbe stato più necessario: quindi non era che gli atti non vi fɔssero in Terenzio ed in Plauto, ma era solo che non si potevano facilmente distinguere da chi non era molto in queste cose versato. Di ciò ne assicura Elio Donato, antichissimo gramatico, il quale nel quarto secolo fu precettore in Roma di san Girolamo, mentre nell' argomento dell' Andria di Terenzio da lui comentata scrisse: Divisionem actuum in latinis fabulis internoscere difficile est. Ecco ciò che si debba rispondere a questi sofistici che acchetar non si vogliono alla luce del vero. Ma dall' antichità primiera scendiamo un poco ai tempi più prossimi al Poliziano, e vediamo se di questi benedetti atti si conservasse più la semenza. Il chiarissimo signor abate Girolamo Tiraboschi nella seconda sua lettera, che io indicai nella prefazione, a me diretta, scrive: Questa biblioteca (del serenissimo signor Duca di Modena) non ha edizioni molto antiche di Terenzio e di Plauto, ma ne ha parecchi codici manoscritti; e veramente nella più parte non v'è la divisione, ma pur vi è in alcuni; e uno cartaceo singolarmente vi ha di Terenzio, scritto, come si legge al fine, nel 1448, nel quale gli atti sono chiaramente divisi, e le scene an

cora; benchè a queste comunemente non si ponga in fronte il nome di scena, ma sol si distinguano l'una dall' altra col porre nel mezzo i nomi degli attori che parlano in ciascheduna. Ne abbiamo un altro assai bello in pergamena dello stesso poeta, in cui non si vede segnato l'anno, ma che al carattere si conosce essere certamente del secolo XV, anzi forse ancora più antico, perchè è scritto come se le commedie fossero in prosa e non in versi: e in questo ancora si veggon distinti in margine collo stesso carattere gli atti e per lo più ancora le scene col loro proprio nome. Io poi, avendo spesi alcuni giorni del carneval di quest'anno in Reggio a visitar l'archivio del nobilissimo signor conte Cristoforo Torello, il quale si è molto cortesemente degnato d'influire alle mie storiche ricerche sopra Guastalla, di cui ebbero già i suoi antenati il dominio, ho ammirato tra le altre rare e preziose cose possedute da lui un bellissimo Terenzio in pergamena, che a mio giudizio antecede per certo l'anno 1450. Questo è corredato di note interlineari e marginali prese da vari antichi comentatori e specialmente d'un certo Iacopino da Mantova, del quale sono ancora i preludi che ad ogni commedia vanno avanti: e in quello che va a capo di tutta l' opera ho letto queste parole: Habet autem comœdia certos limites prolixitatis et brevitatis; non enim debet actibus pluribus vel paucioribus constare quam quinque: et idem de tragœdia intelligendum est: unde Horatius in Poetica:

Neve minor neu sit quinto productior actu
Fabula quæ posci vult et spectata reponi.

Est autem actus illa continua recitatio quæ sine interpolatione et temporis intervallo fiebat in scena et ad populum in theatro congregatum. Ad ogni commedia poi, sebbene nel testo il quale è in bellissimo e grande carattere non siavi il titolo degli atti, le postille di Iacopino accennano sempre dove comincino e dove abbiano fine. Per esempio, al primo verso dell' Andria, che comincia Vos istæc, la postilla dice: Hic primus actus, ec.; e dove leggesi poi, Quid ais, Byrria? ec., la postilla soggiugne: Hic incipit secundus actus, et durat usque, Jubeo Chremetem. Siccome poi questo postillatore viene qui riferito insieme colle postille e note di altri che aveano lavorato sopra Terenzio assai prima che scritto fosse quel codice, così dobbiamo tenere quel Iacopino. per antico scrittore e alla meno del secolo XIV. Intorno a quest' uomo ho consultato il signor abate Saverio Bettinelli, dopo ch'egli ha dato in luce i suoi due Discorsi Delle Lettere ed Arti Mantovane: egli però mi ha significato con sua cortesissima lettera de' 14 di marzo del corrente anno 1775 non aver

3

di lui trovato menzione, ma che forse è stato equivoco de' padri Quetif ed Echard il chiamarlo Gioannino, potendo essere lo stesso che quel Gioannino da Mantova domenicano, di cui parlano essi, il Tiraboschi, ed egli stesso, come d' uomo il qual visse fin verso il 1350 e poetò e postillò antichi scrittori. Or ecco ben nota la necessità di dividere i drammi in atti prima assai che nascesse il Poliziano. Facciamoci ora a que' tempi ne' quali egli scrisse l'Orfeo. Chi non sa quanti grammatici vivessero a que' dì? Io tacerò di molti, ma non già di Giorgio Merula morto contemporaneamente al nostro poeta ma assai più vecchio di lui; il quale comentò Plauto, e ben vi divise e distinse gli atti com' era d' uopo: lo che ognuno osservar può in tante ristampe che abbiamo di que' comenti. Mirabil cosa per altro! che, occorrendo stampar que' comici antichi, anche da coloro i quali erano persuasi della necessità di tale divisione questa si ometteva per un certo genio di uguagliar con quelle nobilissime prime edizioni la fedeltà di qualche manoscritto. Io posso far di tal uso apertissima fede, avendo veduto nella libreria di San Francesco di mia patria un testo magnifico di Plauto, stampato in foglio da Uldarico Scinzenzeler in Milano l'anno 1490, senza comenti e senza divisione di atti, ma con una lettera in fine di Eusebio Scutario vercellese a Giorgio Merula indirizzata, in cui somme lodi gli attribuisce per aver egli saputo distrigar gli atti nelle commedie di tal poeta, dicendo che, se prima era difficile il saperli distinguere, era avvenuto per la negligenza ed ignoranza dei librai: Horum inscitia quibusdam in comœdiis actus internoscere divisionemque, quam clarissimi grammatici existimant scitu intellectuque in hoc genere præcipuam, quæ per prologum prothasin epithasin et catastrophen fieri solet, vix percipere poteramus. Del pari ho veduto nella nostra libreria della Nunziata di Bologna un bel Terenzio in foglio, stampato in Trevigi per maestro Paolo Ferrari ai 5 di luglio del 1481, con i commenti del mentovato antichissimo Elio Donato che accenna ove debbansi gli atti distinguere, senza che poi lo stampatore abbiali nel testo separati. Anzi vi è di notabile in quest' opera, che il comentatore deduce motivo di distinguere atto da atto dal testo medesimo di Terenzio. Questi nel prologo dell' Hecyra si lagna che, avendo un' altra volta messa in teatro questa commedia e rappresentatosene a pena il primo atto, sparsa

1 Biblioth. Scriptorum ord. prædicator., tom. I, pag. 511.

2 Storia della Letteratura ital., tom. 5.

3 Note al primo discorso, pag. 28.

voce fra gli uditori che si dava in quel punto a' gladiatori la mossa, tutta la gente si partì di platea:

Primo actu placco: cum interea rumor venit
Datum iri gladiatores. Populus convolat,
Tumultuantur, clamant, pugnant de loco.
Ego interea meum non potui tutari locum.

Alle quali parole Donato prontamente soggiugne: Primo actu placeo: rationabiliter dixit primo, quia quinque sunt actus, partes fabulæ. Per tal modo spiegò anche tali parole Guidone ne' commentari suoi che ho veduti impressi colla commedia in Venezia nel 1508 a spese di Lazzaro de' Soardi. E queste dunque saranno quelle antiche edizioni e quegli inappellabili esemplari che vengono accennati dal padre Bianchi a favor della stitica opinione e della pedanteria ch' egli credette poter essere da ragion sostenuta ? Se il Trissino, il Rucellai, il Giustiniano, e qualche volta il Torelli che non sempre trascurò la divisione degli atti, e se anche lo Sperone, e tra' moderni lo scrupolosissimo e religiosissimo Lazzarini, ebbero tale distinzione per nulla e non ne fecero caso; potevano forse per questo annullar quelle poetiche leggi che l'uso e l'autorità e la serie de' secoli aveano già stabilite? Questi sì non curarono la distinzion degli atti, ma ne furono ancora da Gregorio Giraldi giustamente ripresi: Quinque sunt actus fabularum apud Latinos; tametsi hodie nonnulli hoc parum observant, multo contractiores fabulas actitantes, et præcipue in Hetruria.' Ma, per non diffondermi più che non conviene in cosa tanto chiara, basti l'aver provato che tanto prima quanto in tempo del Poliziano i drammi in cinque atti si dividevano: la qual cosa non potendo essere da lui ignorata, dovette benissimo esser mandata ad effetto nell' Orfeo. Tal cosa, ripiglio, non poteva essere da lui ignorata; laonde fece poi menzione degli atti ove lasciò scritto aver la tragedia origine da' poemi d' Omero: Idem et tragœdiæ summus habetur auctor, cum nihil profecto videri aliud Homeri poemata possint nisi actus quidam et dramata. Divise egli dunque l'Orfeo in cinque atti; e, per servire alla varietà e perchè diversa ne riescisse la condecorazione e la musica, fece il primo atto pastorale, il secondo ninfale, il terzo eroico, il quarto negromantico, e il quinto baccanale. Non fa ostacolo il veder il codice Vitali privo di tal divisione; primo, perchè non è il più antico, sic

1 Poet. Antiq., dial. 6, pag. 241.

2 Prælect. in Persium, pag. 489 editionis Episcopii.

come già dimostrai; secondo, perchè apparisce tal divisione ommessa a bella posta, come sono in esso tralasciati i due versi dell' Argomento che l'accennano. Tengasi pur dunque l'Orfeo in cinque atti diviso dall' autor suo; ed abbiasi per la prima delle tragedie volgari di tal pregio fornite.

OSSERVAZIONE 1V.

1 DELLA FISTOLA.

[Pag. 137, v. 51.]

Qui nominata veggiamo la fistola, dove prima additavasi la zampogna. Il peggio nelle stampe dell' Orfeo si è poi, che una volta la zampogna, un'altra volta la fistola viene indicata cosa che non va bene; poichè o che Mopso suonava la zampogna, e sempre zampogna chiamar si doveva; o che dava fiato alla fistola, e fistola mai sempre aveasi a dire; essendo questi due strumenti in realtà tra loro diversi. La fistola si è quell' organetto che da più canne dispari di misura e di suono congiunte insieme risulta; onde Virgilio

Est mihi disparibus septem compacta ciculis

Fistula.1

In tal maniera fu pure da Polluce descritta: Fistula est calamorum compositio lino et cera coniuncta, aut tumultuario et rudi opere Tibiæ multæ, singulæ paullatim sub singulis desinentes a maxima ad minimam arundinem, ex altera parte sibi invicem propter inæqualitatem supposito; ut res non sit absimilis alæ avis. Quemadmodum enim in ala pen næ superiores sunt longiores quam quæ sequuntur, earum ordo semper decrescit usque ad minimam pennam; ita et in fistula plures sunt calami impares, cera iuncti per ordinem; sensim decrescunt, ut inferiores semper breviores sint. Lucrezio ascrive al caso l'invenzion della fistola, dicendo che il vento soffiando per entro le canne potè far conoscere l' effetto armonico che avrebbero prodotto." Apollonio ne fece ri

1 Eclog. 2, vers. 36.

2 Presso il padre Filippo Bonanni, Gabin. Armon., num. XXII pag. 60. 3 De Natura Rerum, lib. 5.

« IndietroContinua »