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PQ4137
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A GIUSEPPE DE SPUCHES RUFFO

PRINCIPE DI GALATI.

Inanimito dalla veneranda voce di un inclito ingegno a imprendere un lavoro storico sul Teatro Italiano, io lo serbavo a conforto de'miei tardi anni, in quella età nella quale l'uomo con diletto ineffabile ritorna allo studio delle arti consolatrici della vita che va mancando. Ma perchè a noi non è dato prevedere le vicissitudini delle cose umane e molto meno signoreggiarle, il mutare dei tempi mi ha fatto cangiare pensiero. Con quanta letizia leggevo negli stranieri diarii i trionfi di una nostra insigne attrice, che levò di sè straordinario rumore nella metropoli della Francia rappresentando alcuni componimenti del Teatro nostro, con altrettanto rammarico

io scorreva le lunghe filastrocche dei critici, i quali, tranne pochissimi, mentre esaltavano l'artista, vitu peravano, mostrando incredibile ignoranza delle cose nostre, la Italia e gl'Italiani.

Alle oscene contumelie i nostri scrittori rispondevano con le invettive o lo scherno; ma ciò a me non parve modo convenevole. Egli era mestieri maggiore indulgenza verso i vecchi vicendevoli rancori dei popoli, tratti in inganno da coloro ai quali importava così fare; e invece con animo pacato e pieno di fratellevole carità, a sembianza del cristiano che eserciti le opere di misericordia, illuminare la loro ignoranza.

Fu questa la cagione che mi persuase a porre da parte ogni altro mio lavoro e compiere la Storia del Teatro in Italia: terreno quasi vergine, imperocchè nessuno, ch'io sappia, ha finora avuto il coraggio di inselvarsi nella infinita farraggine delle produzioni teatrali, di che per quattrocento e più anni è stato fecondissimo l'ingegno degli Italiani; nessuno nelle vicende storiche del popolo ha cercato le cagioni dello inalzarsi o declinare della drammatica nostra; nessuno finalmente ha concesso alla Italia il luogo che meritamente le spetta negli annali della drammatica risorta al risorgere delle lettere dopo la notte delle età di mezzo.

Deliberato quindi di rendere pubblico questo mio nuovo lavoro, io lo intitolo a voi, mio onorando amico. Lo studio lungo e il grande amore con che avete condotto a fine alcune elegantissime traduzioni dei tragici

greci, mi rende testimonianza che voi singolarmente prediligete la drammatica; e però facendo voti che vogliate arricchire le italiche lettere di altre versioni di capolavori ellenici, io penso che questa mia storia vi debba riuscire oltremodo gradita, mentre a me torna gratissimo che i miei lettori al primo aprire del libro lo veggano decorato del vostro illustre ed onorevole nome.

Firenze, 1860.

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PAOLO EMILIANI GIUDICI.

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È mio intendimento scrivere la storia della Drammatica Italiana dal suo risorgere fino ai tempi nostri. Se a bene ragionare di qualsiasi specie di letteratura fa mestieri primamente indagarne la idea primigenia nella Grecia, la qualé nello esplicamento della sua portentosa civiltà le comprendé quasi tutte, in ciò che spetta al Teatro, cotesto riascendere alle origini elleniche diventa impreteribilmente necessario. Imperciocchè il dramma è creazione al tutto greca; delle altre forme dell'arte si trovano vestigi in tutte le antiche e moderne letterature, ma quanto alla Drammatica i critici d'ogni tempo e d'ogni gente non hanno potuto scoprire la più lieve orma nei monumenti dei popoli che per la cultura precedettero i Greci. Le moderne nazioni hanno bensi modificato il dramma, ma non l'hanno trasformato in alcuna delle sue qualità essenziali, per guisa che a colui il quale voglia narrare la storia dei loro teatri, riuscendo inevitabile richiamarsi assai volte at dramma greco come a termine di paragone, è necessario definire e dimostrare la idea drammatica quale nacque

GIUDICI. Teatro Il., vol. I.

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