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considerino, le idee comfe cause efficienti, forse perchè quivi questa intuizione è più chiara che in altri dialoghi. E del resto dove mai il carattere trascendente delle idee platoniche trovasi a più chiare note che p. e. al 78 D, al 79 D, all'80 B, 102 D ec. del Fedone? Il chè era poi naturale mentre questo dialogo, come risulta da vari indizi, è posteriore cronologicamente alla Repubblica, dove la teoria delle idee è compiutamente formata.

La dottrina dell'immortalità nel Fedone si è liberata dunque dal dubbio di Socrate come si trova in Senofonte non meno che nella Apologia platonica, poichè è rannodata colla teoria delle idee, che ha assunto quivi una forma dogmatica, essenzialmente propria di Platone. È ben vero che quella parte del Fedone che dal 96 A va al 100 B e dove si descrive la necessità di risalire dalla causa materiale all'ideale, dal naturalismo all'idealismo, si riferisce meglio a Socrate che a Platone, tanto più che secondo l'osservazione del Grote (') qui non si fa cenno dei rapporti con la dottrina d'Eraclito che Platone ha avuto per mezzo di Cratilo, come ci attesta Aristotele; ma non è men certo che in seguito viene sviluppata la dottrina metafisica della partecipazione estranea al pensiero genuino del Socrate storico, quanto appunto la dottrina della immortalità che ne è la conseguenza. Ed ha un gran valore il fatto accennato dal Bonghi stesso: che nè l'Apologia pseudosenofontea nè i Memorabili ci rivelano nulla delle speranze di Socrate nella immortalità; nei momenti anzi ne' quali potevano queste essere alte ragioni di conforto.

(') Grote, Plato and the other companions of Socrates. Vol. II pag. 174. Londọn 1865.

Nell'Apologia Socrate dichiara di essere giunto a un termine nel quale era meglio che vivere, il morire oramai; che il prolungare la vita lo avrebbe esposto a tutti li incomodi della senilità; ond'egli trae motivo di ringraziarne gli Dei. E nei Memorabili ripete, che alla vita infelice che oramai gli avanzava, preferiva una morte che lo poteva onorare presso i posteri.

Una grave difficoltà potrebbe però ancora sollevarsi; la precisa testimonianza di Cicerone, che sembra sfuggita e al Bonghi, e allo Zeller ('). Nel libro De Amicitia (IV. 13) egli afferma di dissentire da coloro che reputarono anche l'anima perire col corpo, ed accostarsi invece alla sentenza dei Pitagorici e specialmente di Socrate« qui non tum hoc, tum illud, ut in plerisque, sed idem dicebat semper: Animos hominum esse divinos, iisque quum e corpore excessissent reditum in coelum patere, optimoque et iustissimo cuique expeditissimum ». Se non chè questa testimonianza perde ogni valore se si osserva che sta in aperta contraddizione con un luogo delle Tusculane (I. 16, 38-39), riferito pure dal Bonghi, dove parlandosi degli antichi che reputarono l'anima immortale, si tace affatto di Socrate. E di più quell'incertezza in tutte le altre questioni che nel passo riferito viene attribuita al filosofo d'Atene, si oppone al vanto che Socrate stesso si fa in un dialogo curioso con Ippia il Sofista nei Memora. bili ('), di avergli dettosempre sugli stessi argomenti le stesse cose, per tutta la sua vita.

(') Zeller, Die Philosophie der Griechen II. I. p. 149 (3a ed.) Leipzig 1875. A questo luogo di Cicerone ho già accennato nel mio libro: Interpetrazione ec. p. 72.

() Xenoph. Memor. IV. 4. 6.

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Ma (si chiederà infine), se Socrate non credeva davvero alla immortalità, se non come una cosa molto incerta, come mai Platone ha potuto così violare la verità storica da esporre per bocca di lui in tono tanto dogmatico, li argomenti della immortalità? Neanche questa obbiezione ha gran peso, a parer mio: poichè già si potrebbe rivolgere contro tutti li altri dialoghi platonici, dove spesso Socrate espone dottrine molto diverse dalle sue proprie; e poi non tien conto della libera invenzione artistica, della quale Platone si giova sempre largamente, e della convenienza di quei discorsi sulla vita futura rispetto all'ora e all'uomo, notata da Platone stesso. Ma oltre a questo nel Fedone occorre distinguere profondamente la personalità di Socrate, dalla dottrina che Platone gli fa esporre. La personalità di Socrate è in pieno accordo con quella della Apologia platonica, nella tranquilla fiducia, nella equanimità solenne, dinanzi alla morte imminente, per la quale nell'un caso trionfa sugli accusatori e sui giudici, nell'altro sui timidi consigli e sullo sgomento degli afflitti amici ('). Mentre però tutto ciò che v'ha di personale nel dialogo è schiettamente Socratico, l'enfasi dogmatica, l'apparato d'argomenti e di ipotesi è esclusivamente Platonico; noi vi sentiamo Platone che parla per bocca di Socrate, non più nel tono dubitativo, ma risoluto e dottrinale. E in questo rispetto, il dialogo contrasta mirabilmente colla Apologia. Ma il contrasto diminuisce se si pensa che un unico intendimento, morale ed estetico insieme, rannoda l'uno e l'altro dialogo. Poichè o che il destino nell'anima nostra sia dubbio, come dice l'Apologia, o che di là l'attenda certamente un'altra vita,

(') Grole, Plato and the other ec. II p. 195.

come dimostra il Fedone, il filosofo non deve temere la morte, ma affrontarla con animo fermo ed impavido, e a raggiungere questa serena equanimità, volgere ogni studio durante la vita. A Platone dunque premeva questo sopratutto; mostrare nella figura di Socrate, come l'uomo saggio sa da forte sopportare la condanna per ingiusta che ella sia, nè indietreggia di fronte alla morte. E che Socrate così di fatto si conducesse nei supremi momenti della sua vita, ci fanno fede anche la ultime pagine serenamente solenni dei Memorabili Senofontei.

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Bibliografia.

L'Hérédité psychologique par TH. RIBOT. Paris, 1882.

Nessuno in Francia, mi sembra, va innanzi al Ribot nello scrutare con ingegno osservatore insieme e sintetico i problemi dell'Antropologia, scienza pressochè nuova e la qual tramezza opportunamente tra la scienza dello spirito e quella dell' organismo. Egli dottissimo in fisiologia tanto da non cedere il passo a veruno dei professanti quella vasta disciplina, sentesi portato dal suo genio speculativo a tentare di raccogliere la congerie quasi infinita dei fatti o fenomeni d'ogni corpo vivente sotto il patronato, a così domandarlo, d'alcun principio induttivo e d'alcuna ragione causale. E sebbene possieda e maneggi tuttodi con rigore i metodi sperimentali, nulla di manco aspira continuo a superarli e illustrarli mediante le astrazioni e le ipotesi, non le confondendo però giammai coi risultamenti positivi ed esatti dell'osservazione la più circospetta e minuta e coi dati troppo numerosi ma patenti e certi dell'empirismo.

Nè in veruno scritto giudicherei comparire evidenti e splendide coteste doti dello ingegno del Ribot quanto nel libro citato qui sopra e meritevole di amplissime lodi sia per la materia sottile e difficile e sia pur anco per la forma la quale sotto la penna di lui senza perdere di severità e di precisione, piglia un abito brioso, efficace e come in Francia usano dire, incisivo. Altre volte egli discorreva della eredità psicologica con qualche abbondanza; ma riferendo piuttosto le altrui dottrine che i propri concepimenti (') e

() Vedi Lu Psycologie Anglaise contemporaine.

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